sabato 23 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

FERRARA / IL QUARTO UOMO

di Piero Di Antonio

— Dopo Alan Fabbri, che tenta di essere riconfermato, Fabio Anselmo, che tenta di ridare forza e anima vincente al centrosinistra e Anna Zonari, che tenta la sorpresa di un assalto al palazzo municipale, ecco spuntare il quarto candidato a sindaco di Ferrara.

E’ Daniele Botti, cinque anni fa sostenitore del centrodestra, oggi in corsa con la lista civica Ferrara Futura con il sostegno di Italia Viva, il partito di quel rabdomante che risponde al nome di Matteo Renzi, uomo in perenne oscillazione tra la Destra e il Centro.

Piglio da manager con sneakers (un tempo le scarpe da ginnastica) e look da convention a Seattle, modernista e ipertecnologica, Daniele Botti, one man show, ha presentato il suo progetto di città alla sala Estense, affollata, ma non piena, anche di giovani, nonostante fosse domenica, il clima estivo, tanta voglia di mare e niente aperitivo, lasciando intendere in questo modo che il suo, diversamente dagli altri candidati, non è un pubblico di scrocconi. Parla di 200 persone in sala, forse meno, ma questo non conta, e di domande senza filtri: in verità solo due, con un primo intervento di plauso per aver accolto in lista Italia Viva.

Come da manuale del perfetto comunicatore, tiene a presentarsi, a dire chi è e che cosa ha fatto di importante finora nei suoi 29 anni: famiglia numerosa, che si è presa anche cura di bambini e ragazzi non molto fortunati, creatore di una società di graphic design, web development, media production e communications strategy, in pratica un’agenzia di pubblicità con 8 collaboratori, che “lavora ogni giorno accanto a voi – scrive di sé stessa – per dipingere al meglio ogni tratto del vostro brand”.

E’ stato anche nel cda di Acer, le case popolari, da cui è andato via per un suo piano da perfetto esponente civico non accolto dai partiti, quindi dalla giunta di centrodestra. Fino a ieri è stato membro del direttivo nazionale dei giovani imprenditori di Confcommercio, da cui si è dimesso, appunto perché candidato.

Botti accoglie di persona gli ospiti all’ingresso della Sala Estense, stringe la mano e si presenta: “Sono Daniele”. Sale sul palco, da solo, alla maniera di Steve Jobs, e fa partire le slide. Cinque i punti del progetto: famiglia (ovvero la natalità), lavoro, giovani, salute e, nell’ormai essenziale riferimento all’era del digitale, smart city.

Si autodefinisce un Davide che lotta contro Golia, insistendo sul fatto di essere l’unico candidato che ha presentato in un’ora il suo programma con proposte concrete e dati certificati. Sulle slide scorrono le percentuali del declino demografico di Ferrara, sulla disoccupazione, sul turismo che arretra e su altre negatività fotografate dalle varie classifiche sulla qualità della vita. Attribuirne le responsabilità, però, neanche l’ombra. Bene la descrizione degli effetti, incerte le cause, sintesi, secondo molti, dell’ormai noioso e inefficace discorso centrista.

Botti appare il perfetto moderato in grado di indicare obiettivi inconfutabili e condivisibili, ma con un’evidente carenza di fondo, comune a tutti i cercatori del Centro: si potrebbe dire loro: “Manca la base”. La descrizione dei problemi e degli obiettivi con perfetta lucidità matematica o euclidea ha, infatti, un suo evidente limite.

Come una macchina diretta verso una meta ambiziosa ha bisogno di benzina, ovvero dell’energia per farla avviare e muovere, così la politica e la sua fondamentale derivazione amministrativa hanno bisogno di propellenti ben più potenti della benzina stessa, che sappiano accendere nei cittadini interesse e motivazioni, di cui oggi siamo a corto: la passione, il coraggio dell’anticonformismo e delle idee che smuovono le persone, che le riuniscano, le entusiasmi e le convinca della bontà delle ricette sociali ed economiche.

Non è sufficiente la fredda elencazione delle carenze e dei vuoti che qualsiasi potere decisionale lascia intorno a sè. Serve un obiettivo suggerito dal cuore e dal cervello, che sarebbero poi i motori dell’agire politico.

Se il quarto candidato della corsa a sindaco di Ferrara ha sintetizzato il suo lavoro di programma nei cinque punti, considerandoli fondamentali e supportandoli con i dati, in alcuni passaggi si viene sfiorati da una sensazione di scarsa originalità, di un già visto e sentito. Non altrettanto convincente Botti appare quando affronta il tema cruciale di un eventuale ballottaggio. Tiene a precisare che “potremo dire con chi staremo quando conosceremo i programmi degli altri, la loro visione della città. Molte persone sostengono che io non sia un vero civico – ha detto – perché con me c’è Italia Viva, con cui ho trovato una comunanza di temi. A queste critiche rispondo che non ho pregiudizi partitici, abbiamo un’idea di città aperta a tutti”.

Un’affermazione, appartenente alla categoria “né con la destra né con la sinistra”, che potrebbe far trasparire o lasciare intendere una visione opportunistica, non poggiata sui principi della buona politica che i cittadini reclamano. Nel peggiore dei casi potrebbe dare il la a una malevola interpretazione: che qualsiasi decisione potrebbe dipendere non dalla valutazione dei programmi, ma dalla scupolosa analisi dei risultati dell’8 e 9 giugno, e, va da sè, dallo scommettere sul vincitore più probabile e giocarlo sulla ruota fortunata del secondo turno.

In quest’ultima ipotesi, di cui il nostro Paese ci ha dato purtroppo un’infinità di esempi, si entrerebbe di diritto nel cast di Groucho Marx, quando, sigaro in bocca e sguardo furbesco, ci fa sapere: “Ragazzi, questo sono i miei principi, ma se non vi piacciono ne ho degli altri”.
Comunque, in bocca al lupo.

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