20 aprile 1999, 25 anni fa. Tanto è trascorso dalla sparatoria alla Columbine High School di Littleton, in Colorado. 13 morti: 12 studenti e un insegnante, oltre a 24 feriti. Una strage di massa, la prima ad essere trasmessa in diretta tv, passata tragicamente all’onore delle cronache per aver mostrato al mondo il volto violento dell’America, un Paese “armato” in cui la diffusione di pistole, fucili e armi automatiche, soprattutto nelle scuole e in altri luoghi non militarizzati, è diventata un’autentica emergenza, che nessuna amministrazione e nessun presidente è riuscito ad affrontare realmente. Complice, va detto, lo strapotere della lobby delle armi, la temibile NRA (National Rifle Association), nei confronti della quale l’ex presidente Trump ha dichiarato di recente: “Con me nessuno vi toccherà”.
Eric Harris, neo diciottenne, e Dylan Klebold, 17 anni, raggiunsero la scuola che frequentavano intorno alle 11. Vestiti di nero, avevano portato con sé anche degli esplosivi, nascosti in due borsoni e programmati per detonare alle 11.17. Li piazzarono nella caffetteria, dove cominciarono a fare fuoco. Ma, per un fortunato contrattempo, il meccanismo si inceppa.
I due, allora, spinti dal solo obiettivo di eliminare più persone possibile, si dividono tra l’esterno e l’interno dell’istituto scolastico: Harris spara nel cortile, Klebold rientra, probabilmente per trovare la ragione dell’inceppamento. Intanto accorrono i primi poliziotti, che ingaggiano con Eric e Dylan un conflitto a fuoco.
Poi, i due ragazzi vanno verso la biblioteca. Nei corridoi sparano verso qualsiasi cosa si muova. La raggiungono intorno alle 11:30: qui si sono nascosti 52 studenti, oltre a due insegnanti e a due impiegati. Qui moriranno in 10. Alle 114.5 gli assassini ritornano in caffetteria: non si sono rassegnati all’idea che gli esplosivi facciano cilecca. Poi ancora in biblioteca. Alla fine, la strage si conclude con il suicidio dei due ragazzi. La polizia riesce a entrare nell’edificio cinque ore dopo, quando gli artificieri riescono a mettere in sicurezza l’area.
Sulla vicenda si è detto e scritto molto, sottolineando come il primo massacro in una scuola americana si sia ripetuto quasi quattrocento volte nell’ultimo quarto di secolo, come ha calcolato il Washington Post, con decine di episodi fotocopia e il loro drammatico strascico di sangue e morti, da Newtown (Connecticut) a Parkland (Florida), fino a Uvalde (Texas). Lo scorso anno, negli Stati Uniti, ci sono state 656 sparatorie, una dozzina a settimana. La situazione, lo dicono i numeri, segnala ancora oggi un’emergenza.
Un episodio così tragico e rimasto indelebile nella memoria di un’intera nazione da aver ispirato anche opere, documentari, film: impossibile non citare Elephant di Gus Van Sant, Palma d’Oro al Festival di Cannes del 2003; e Bowling a Columbine di Michael Moore, Oscar per il miglior documentario nello stesso anno.
All’epoca si evidenziò subito come i due autori della strage si fossero procurati le armi con estrema facilità, programmando inizialmente la mattanza per il 19 aprile, e poi spostandola al 20 per un ritardo nella consegna del materiale; da qui, le congetture sulla data scelta, in onore di Adolf Hitler (che era nato il 20 aprile): Harris e Klebold erano estimatori dei gerarchi nazisti. Scrivevano frasi deliranti, come Harris sul suo blog: “Sai cosa odio? Odio chi si ferma in mezzo al corridoio. Sai cosa mi piace? LA SELEZIONE NATURALE! Dannazione, è la cosa migliore che sia mai accaduta sulla Terra. Liberarsi di tutti gli esseri stupidi e deboli”.
Eppure, attraverso le indagini delle autorità e i reportage giornalistici, le storie e le testimonianze raccolte, emerse il ritratto di due tipi “normali”, socievoli, “i due killer della porta accanto”, come titolò una celebre copertina di Time. A sottolineare come le potenzialità della rete, allora agli albori, avessero consentito ai due ragazzi, apparentemente innocenti, di costruirsi il proprio personale arsenale, imparando a fabbricare un esplosivo o a ordinare a casa un’arma automatica, come fosse una pizza; e, al contempo, di crearsi un personalissimo immaginario distorto, fatto di rancore, delirio, asocialità, da propagandare in rete a beneficio del proprio pubblico.
“Ho incontrato moltissime famiglie che hanno perso i loro cari a causa della violenza delle armi da fuoco. Il loro messaggio è sempre lo stesso: fate qualcosa. La mia amministrazione ha risposto al loro appello” e “continuerà ad agire, ma il Congresso deve fare la sua parte”: il presidente americano Joe Biden ha commentato così il 25mo anniversario della sparatoria, ricordando come “oltre 370mila studenti” sono stati esposti “agli orrori della violenza armata”.