di Piero Di Antonio
— In un giorno qualsiasi, non appena il viaggiatore extramuros lascia il deprimente non-luogo dell’autostrada, ci si aspetta di entrare in un posto speciale perché Ferrara, dando credito allo storia e osservando ciò che ci ha lasciato, speciale lo è.
Oggi viadotti, asfalti, buche tappezzate alla bell’e meglio, i binari, i brutti manufatti delle aree artigianali, fanno presagire l’arrivo in una qualsiasi anonima città italiana. Lo stesso panorama di sempre, le stesse periferie mangiate dallo sfruttamento del territorio.
Ma da Ferrara, e questo lo si sa, ti aspetti altro. Si comincia ad avvertire qualcosa di diverso dai cartelli che ti indirizzano ai monumenti, ai musei, alle residenze nobili e alle vie perfette. Spesso basta l’indicazione del centro per pregustare l’apparizione di una città dell’anima, che poi sarebbe quell’intreccio di vie spesso non diritte ma ordinate, palazzi di prestigio con giardini nascosti e ben curati, piazze allegre e gente che lo è altrettanto.
Si ammirano le Mura, che per secoli hanno difeso la città dalle orde nemiche. Ma Ferrara è lì, intatta. Non si è arresa. I turisti, sempre meno però, sciamano per la città, mappe e cellulari in mano, alla ricerca di ciò che hanno letto in qualche testo sul Rinascimento o in qualche depliant dell’agenzia di viaggio.
E gli altri? Coloro che vivono qui e che della città conoscono tutto, o quasi tutto? Si aspettano di ritrovarla intatta, forse migliore. Ma il viaggiatore extramuros, che ha da poco lasciato alle spalle l’insignificante autostrada, stavolta avverte che qualcosa di fastidioso ha trasformato la sua città.
In estate ha sopportato quegli orrendi bagni chimici posizionati, eterni e immobili, davanti alla Cattedrale. Oggi, invece, deve prendere coscienza per la prima volta che la città è stata conquistata e che le Mura non sono servite granché: il nemico ha già vinto. Lo avevano in casa. Una quinta colonna che è riuscita a impossessarsi di tutto, dispensando la falsa allegria dei concerti e dello spritz, del “doman non v’è certezza” che da sempre affascinano gli animi semplici che si accontentano del superfluo pur non avendo il necessario per essere felici.
Ad ogni angolo, in qualsiasi strada che tocca imboccare, compaiono manifesti elettorali. Una giungla di facce e slogan. A decine, a centinaia… ma, dio mio, quanti sono? Piazzati in ogni angolo strategico della città. Un lavoro certosino, pianificato. Vicino alla stazione c’è l’onnipresente Naomo, il duro e puro della Lega, che si erge a difensore delle frazioni e che, appellandosi alla sicurezza che solo lui ha visto, chiede il voto.
Il viaggiatore non se lo vedrà davanti una volta sola. Compare a ogni frenata che il traffico e le precedenze impongono. Così come vedrà apparire gli altri della maggioranza che con le loro facce e i loro slogan hanno concorso a una tale diffusa e perfino arrogante occupazione degli spazi pubblici.
Manifesti onnipresenti, fastidiosi, ma portatori di un messaggio, questo sì, allarmante: rassegnatevi, Ferrara è nostra. Non una città dell’armonia, non una città plurale, viva, ma un monopolio del centrodestra (poco centro e molta Destra) che si è trovato a raccogliere i frutti caduti da un albero scosso dal centrosinistra prima di accomodarsi all’opposizione.
C’è un altro semaforo, la coda. Sulla destra c’è la coppia “Fabbri, sindaco, Balboni jr., assessore”, con il primo che agli esperti di comunicazione apparire leggermente intimidito. Che sia il figlio del senatore il vero candidato sindaco? Bah, il manifesto non lo dice, né può farlo. Si limita a far sapere che c’è ancora tanto da fare, come se cinque anni non fossero stati sufficienti a difendere la città dall’invasione.
La fila si allenta, il verde dà il via libera, si svolta a destra e compare il cartellone di Forza Italia che annuncia di tifare per Ferrara e che con malcelato orgoglio avverte di aver abbassato le tasse. Rapido consulto dell’iPhone e dall’ultimo cedolino si scopre che di minori tasse o imposte neanche l’ombra.
Quei manifesti, se si fa caso, sembrano soldati che presidiano Ferrara, simili a torrette di avvistamento che un tempo venivano piazzate ai quattro lati della fortezza. Oggi sono ovunque. Ma il viaggiatore si chiede anche: e la Lega di Salvini? Dov’è la Lega del vicepremier? Forse è troppo impegnato con il caso Vannacci, il generale che un assessore ferrarese, sedicente moderato, ha invitato a un’affettuosa conferenza solo per difendere, dice lui, la libertà di parola.
No, la Lega è viva e lotta insieme a noi, perché se ne esce di lì a poco con un cartellone su cui, perentoria, scrive “Più Italia e Meno Europa”. Siamo o non siamo tutti Orban?! Il che, comunque, ci aiuta a ricordare che l’8 e 9 giugno si voterà per il nuovo Parlamento europeo.
Scampati alla vera invasione, quella dei manifesti – senza riuscire però a soddisfare la curiosità di sapere quanti ne sono stati affissi e, soprattutto, quanto sono costati – tocca misurarsi ora con l’Europa. Il pensiero va ad Amsterdam, a Copenhagen, a Parigi, alle biciclette, ai chilometri di piste ciclabili che fanno vivere gli europei del Nord abbastanza tranquilli e in salute.
Freniamo un attimo. La risposta ferrarese non scherza. Che dire di quelle strisce bianche dipinte ai lati della carreggiata con la vernice. L’illusione di una ciclabile. Meglio di niente, avrà pensato qualche genio dell’urbanistica e della qualità della vita che ha dato il suo via libera per farci viaggiare sicuri. Ragazzi, niente ironia e niente risatine, qui di comico c’è poco.
L’arrivo a casa tranquillizza finalmente il viaggiatore scampato ormai alla visione di una città che ha cambiato la tappezzeria. Ma resta l’interrogativo finale: che fare? Sarebbe esaltante e liberatorio se si riuscisse a scalzare i padroni di Ferrara, chiamando a raccolta tutte le persone, sì deluse, ma ancora di buona volontà. Se si riuscisse a sbeffeggiare una tale ostentazione del potere, mai stata, in verità, nelle corde della città. Se si riuscisse – con un voto che si somma a un altro voto e poi a un altro voto… fino ad arrivare a tanti voti – a poter dire “il re è nudo” o a cantare, il 10 giugno, Bella ciao.
Non sarebbe lo spettacolo più bello del mondo?