di Piero Di Antonio
— La certezza su cui fare affidamento nelle ore deludenti del dopo-elezioni – in Europa, Italia e Ferrara – è che sono già pronte e impacchettate nella mente dei progressisti e degli esperti delle sconfitte le tante “originali” motivazioni del perché ciò sia potuto accadere.
Hai voglia a lodare Elly Schlein e il Pd che è andato avanti del 4%.. hai voglia a dire che in Europa i progressisti penderanno dalle labbra della delegazione italiana… hai voglia a parlare di Naomo e soci… qui, nell’Italia che arriva sempre dopo gli eventi, ognuno ha in serbo la sua analisi. C’è gente che ancora oggi si incaponisce, nei conciliaboli politici, a elaborare il lutto della perdita di consenso della sinistra a vantaggio di una classe politica, non se ne abbia a male, che sta toccando livelli infimi di arroganza, pressappochismo, sciatteria, ignoranza e tanto altro, mai visti.
Dinanzi a una tale regressione, siamo assaliti dal dispiacere di un degrado nelle relazioni sociali ormai divenuto quotidiano e che dovrebbe allarmarci. Non solo disagio materiale, legato ai problemi del riuscire o meno a fare giornata o a tentare di vivere con dignità, è un male oscuro che da tempo ci costringe a rattrappirci nel nostro vissuto, fatto di solitudine e facce imbronciate, una sofferenza spesso nascosta con cui fare i conti. Ma farli davvero è complicato.
Non cadiamo nell’errore di occuparci da qui agli anni a venire nell’indagare i perché non ce la facciamo a costruire un’alternativa alla Destra trionfante e senza peli sullo stomaco. Non è una questione meramente partitica o di schieramenti, ma esistenziale, il che vuol dire del tutto politica.
Queste settimane di campagna elettorale, nello sforzo encomiabile di conquistare consensi e far prevalere una certa idea di società e di comunità, sono state occasioni di contatto con il mondo vero, mai sopra le righe, che guarda ed è costretto di conseguenza a prendere in considerazione un altro di mondo, il pianeta diverso e quasi sconosciuto agganciato a un’orbita che ci porta sempre più lontano.
Davanti si parava gente perbene, mossa dalla passione, educata, rispettosa, con il volantino in mano che ti chiedeva di dare un po’ del tuo tempo e del tuo talento per una causa quanto mai necessaria in questi tempi dove il buio, l’arroganza, una certa protervia e l’ignoranza tentano di mettere in disparte il nostro perenne bisogno di verità, di aderenza ai fatti.
Ma davvero il desiderio comune è quello di illuminare le nostre esistenze oppure è sufficiente qualche momento di allegria, ridanciano e ballerino, per fingere di stare bene?
Le ore che seguono una delusione politica sono le più importanti e difficili da affrontare. Sopraggiungono i sensi di colpa, si rivedono, impotenti, le situazioni da affrontare in maniera diversa, arrovellandoci per l’aver trascurato un aspetto del problema o per aver sottovalutato un compagno di viaggio o per le distrazioni in frivolezze fuori contesto.
La sinistra è maestra dell’analisi, sa aggrovigliarsi in raffinati ma tortuosi ragionamenti attorno a un concetto o a un problema, non accorgendosi il più delle volte che è lo stesso concetto a imprigionarla e a ridurla in una gabbia. Spesso la dialettica post sconfitta – e a Ferrara l’8 e 9 giugno rappresentano la sconfitta – sterilizza le azioni positive di cui la città ha tanto, ma tanto bisogno. Generosità, passione, entusiasmo e coraggio sono tutto ciò che appare molto di rado all’orizzonte del nostro vivere, poiché l’analisi e la giustificazione dell’insuccesso fanno aggio sulla razionalità che i fatti e le cifre impongono. Ma senza far parlare soltanto la matematica e i suoi equilibri poiché politica è l’insieme di mille idee, strategie, convinzioni, desideri ed esigenze che quasi mai, però, fanno somma pari.
A questo punto, qual è il salto che il mondo progressista deve compiere? Qui entra in ballo l’analisi antipatica e impietosa che qualcuno deve pur fare, anche a costo di alienarsi simpatie e consensi. Il salto lungo e importante è quello dall’ordinario e prevedibile all’azione coraggiosa che muove dalla passione. I calcoli e le alchimie verranno dopo.
Da anni si studiano i perché della perdita di appeal della sinistra progressista senza venirne a capo, perché c’è sempre qualcuno che nella scomposizione dell’atomo trova il minuscolo rifugio per i suoi convincimenti. Il tutto ruota, però, su frasi e concetti prevedibili e sentenze scontate, che non scalfiscono l’indifferenza altrui, anzi impediscono di far venire alla luce i veri handicap. La sinistra, è bene che i tanti professionisti del giorno dopo se ne rendano conto, parte sempre svantaggiata. Nei tempi e nelle strategie, e nei pregiudizi su cui non scivolare non appena intrapreso un cammino. L’impresa del futuro, nel laboratorio che si chiama comunità e non palazzo, è ridurre quell’handicap di partenza.
E qui c’è bisogno di illustrare di nuovo l’enorme differenza tra la destra e la sinistra, tra l’autocrazia e la democrazia compiuta, tra il decisionismo e la perpetua ricerca dell’analisi cavillosa che non porta a nulla. E se una prima ministra dice di sè di non essere ricattabile, un sincero progressista dovrebbe contrapporle un concetto semplice: sono le mie idee e i miei principi a non essere ricattabili.
Rassegnamoci a una verità che potrebbe far male: i progressisti perdono perché non hanno coraggio. Qualcuno dice perché troppo rispettosi ed educati, altri perché indecisi a tutto oppure per la predominante ambizione che li muove.
Ciò che manca, invece, è proprio il coraggio, la forza di mettere in campo gente dai talenti insospettati, mai fatti emergere perché la stanza delle ambizioni è troppo affollata di cacicchi. Non c’è mai posto. Marine Le Pen sarà pure un’estremistra di destra poco raccomandabile, ma ha indicato come futuro primo ministro un giovane di appena 29 anni, tale Jordan Bardella, scoperto nella periferia parigina. E un Bardella italiano che fine avrebbe fatto in mano alla nostra sinistra? non se ne sarebbe saputo nulla, perché soffocato in fasce.
E che dire di quei riti stucchevoli? Vai a una manifestazione e devi sorbirti il giovane esibizionista con la sciarpa al collo alla cheguevara de’ noantri e appena scambi due parole ti accorgi che nella sua testa albergano frasi fatte e luoghi comuni, e che le sue passioni sono molto ma molto terra-terra. Perché questo? Perché quel militante (non tutti, non offendetevi) non studia, ma vive soltanto le passioni che ha costruito nella sua mente, importate da certa retorica pubblicistica da Quarto Stato, ma che non poggiano su niente di solido. Risultato: si perde la prontezza della reazione, se non tirare fuori qualche slogan dal cassetto delle frasi fatte. Basta, per esempio, col dire l’indignato “vergogna” a ogni malefatta del potere e fermarsi lì. Il potere non si fa processare, mai, il potere marcio va portato alla luce e contrastato con l’essere, e dimostrare di esserlo, diversi, anticonformisti, non seguaci di un’agenda fitta di problemi dettati però da altri. Studiare, leggere, informarsi, parlare con gli altri, osservare e capire… quante azioni ci sono riservate negli anni a venire.
Ci sono giovani molto preparati, non c’è dubbio. Ma troppo spesso sono ripiegati in posizioni di rincalzo, mai che qualcuno li spinga a salire sul palco e a dire qualcosa di nuovo e di interessante, e soprattutto di giusto per quel momento. Parecchi scelgono la strada dell’adeguarsi ai riti della prassi politica. Scontata, da decenni. Altri vengono caldamente invitati a togliere il disturbo. “Scansatevi che qui ci siamo noi” sembra di sentirli certi soloni della politica inamovibile e perdente.
Nella generazione affluente cui dare il testimone del nostro futuro politico e della speranza di vittoria, c’è carenza di una grande dote, necessaria per imporsi: la semplicità. Frutto dello studio, dell’osservazione, del personale bagaglio culturale, delle buone letture, della curiosità, dell’attenzione verso gli altri. La semplicità è sintesi rigorosa di tante cose. E basta con il farla precedere dai pipponi moralisteggianti, basta applaudire personaggi buoni nello spazio di un mattino e che, questo è sicuro, te li ritrovi dall’oggi al domani dallìaltra parte.
Se alla Destra basta lo spritz e l’apertitivo al bar, ai progressisti e alla sinistra ciò non è sufficiente. Se parli di emergenza climatica e dei disastri connessi, devi prima di qualsiasi altra cosa cominciare a rivendicare la pulizia dei fiumi e il riassetto degli argini, denunciare le costruzioni senza criteri di sicurezza, e preservare un territorio. Anche con gesti semplici ma quotidiani. Incalzare il Comune sulla necessità di lavori di rammendo, per dirla con Renzo Piano. L’elettore vuole questo, non l”indignazione a babbo morto.
Se un problema viene addossato a un’entità onnicomprensiva e generica – l’ambiente, la politica, l’economia, la stampa… – quel problema resterà irrisolto per anni, perché la complessità scoraggia il fare. La semplicità, frutto della sintesi migliore, è l’arma che apre i cuori e la mente dei nostri interlocutori, suscita attenzione. “La politica fa schifo” è uno dei ritornelli. No, è quel politico, con tanto di nome e cognome, a non essere all’altezza, non la politica in quanto tale.
Oppure il fastidioso”voi della stampa tutti uguali”. Quante volte ce lo siamo sentiti ripetere… Invece bisogna avere il coraggio di fare i nomi e avere la preparazione per confutare.
Fate questo esperimento. Ogni notte armatevi di pazienza e sopportate le varie rassegne stampa sui canali tv, magari dopo aver seguito qualche talk show confezionato per illuderci di avere a che fare con il pluralismo, in una confusione e indeterminatezza tali da far scomparire i fatti. Compaiono sempre gli stessi giornali e giornalisti. Hanno uno spazio predominante. Eppure se vedete i dati delle vendite vi accorgerete che nelle poche edicole rimaste aperte vanno via soltanto poche copie, inversamente proporzionali agli spazi che la generosità del potere mette a disposizione. Libero, ad esempio, vende 17mila copie in tutta Italia, per non parlare di altre testate, eppure sembra il New York Times.
Che vuol dire? Che a certi editori-industriali-finanzieri fa comodo comparire in tv e lanciare messaggi politici, non sono affatto interessati al mercato o a presentare un prodotto editoriale decente. La stampa odierna equivale, in massima parte, a stampare banconote false.
Che deve fare allora il buon progressista? Solo rifiutarsi di partecipare alla quotidiana costruzione della Torre di Babele e abbracciare una strategia diversa, che rimuova quell’enorme macigno che è la paura. Perché è sulla paura che il potere costruisce le sue fortune. Ma il mondo progressista non deve abdicare a ciò. La sinistra deve tornare a costruire una sua rete, la potremmmo chiamare “relazioni del coraggio”. E soprattutto avere l’umiltà di riconoscere negli altri il talento e la generosità. Non fare calcoli, è tempo di dimostrare di avere coraggio e la capacità di riequilibrare questo mondo, di cui Ferrara purtroppo fa parte, con l’asse terrestre tutto spostato a destra.