Una giornata in fila assieme alle Swifties. Stasera e domani Taylor Swift torna in Italia dopo più di un decennio. Biglietti esauriti da mesi, con cifre alle stelle soprattutto negli ultimi giorni. In un servizio televisivo trasmesso dalla Rai una ragazzina da alcuni giorni in tende in tenda davanti a San Siro alla domanda su quanti concerti della Swift avesse seguito, ha risposto “Amsterdam e Londra”. “E quanto hai speso?” “5.000 euro”. Per festeggiare il suo ritorno, Rivista Studio (sito) ha trascorso una giornata in compagnia dei fan più accaniti, già accampati vicino allo stadio in attesa del concerto. Ecco il resoconto.
di Lorenzo Camerini *
— Taylor Swfit, persona dell’anno in carica secondo il Time, torna in Italia a tredici anni di distanza dall’ultima volta (all’epoca i biglietti costavano 30 euro). L’imperatrice del pop si esibirà a San Siro nella centoquattordicesima e centoquindicesima tappa dell’Eras Tour, il più remunerativo nella storia della musica. Taylor Swift rimane, per certi versi, un rebus del pop contemporaneo e mentre certe sue colleghe come Lana Del Rey o Billie Eilish ispirano editoriali e smuovono i sentimenti della nostra classe creativa, di Swift si tende a dire che canta canzoni tutte uguali, fra le righe bruttine. I suoi fan sono descritti come una setta di giovani superficiali che intrecciano braccialetti di perline, finti hippy seguaci del capitalismo e affascinati da banali slogan motivazionali. Sarà davvero così?
Courtney Love l’ha definita «un’artista non importante», nonostante lo stratosferico successo, mentre Neil Tennant dei Pet Shop Boys ha ribadito che nel suo repertorio non esiste una canzone rilevante. Ma i fan, gli Swifties, cosa ne pensano? Da settimane su internet giravano regolamenti (ovviamente non ufficiali) sull’organizzazione, militare, delle code di fronte a San Siro.
Siamo andati a vedere, in un soleggiatissimo pomeriggio milanese. Intorno al perimetro dello stadio, niente campeggi autogestiti. I pochi steward a guardia delle porte di accesso al Meazza fanno spallucce. Al terzo giro esplorativo in bici, allargando la ricerca alle vie limitrofe, intercetto una coppia. Lei ha i capelli tinti d’azzurro, lui uno zainetto sulle spalle. Sembrano il target giusto, li avvicino. Siete fan di Taylor Swift? Proprio no, si indignano. Sono reduci degli anni Novanta, in zona per Avril Lavigne e i Sum 41, live stasera all’Ippodromo, qualche centinaio di metri più in là parte la loro coda, un’altra. Ci sono spot peggiori per promuovere la scena musicale milanese.
È online, ovviamente, che cresce l’attesa. Iniziano a circolare nuove regole. Il divieto di portarsi power bank getta molti nello sconforto. Farà caldo, mangiate la frutta, si raccomandano. Sono state predisposte le coreografie celebrative: la principale durante “Enchanted”, chi vuole partecipare alla “Fan Action” dovrà stampare a casa e portare con sé un foglio con la scritta “we are enchanted to meet you after 13 years” incorniciata da due cuoricini tricolori, da alzare all’inizio della canzone. Già stabiliti sei cori celebrativi, saranno intonati in momenti precisi del concerto: da «1, 2, 3 let’s go bitch» a «Taylor you’ll be fine».
Tutto pronto, o quasi. Ieri sera, finalmente, nell’antivigilia, si diffonde una voce sui social, ne hanno parlato anche al tg: è partita la coda. Esco subito e pedalo sull’asfalto rovente di una Milano semideserta per raggiungere lo stadio. Vicino ai cancelli, di nuovo, non si vedono tende o accampamenti. Un altro viaggio a vuoto? Chiedo a un inserviente in pettorina gialla fosforescente. All’inizio fa il vago. Gli offro una sigaretta, si apre: gira voce che le Swifties siano accampate duecento metri più in là, al parco di Trenno. Per la precisione davanti a un chiosco, il Los Locos. Estrema periferia ovest. Vado da Los Locos, buco nell’acqua. C’è un gruppo di giovani donne che bevono birrette ma non sono fan di Taylor Swift.
Torno allo stadio, preoccupato da due gocciolone di pioggia tropicale. Non avrà scoraggiato il bivacco? Controllo il meteo sul telefono, nessun temporale. Rinfrancato, intercetto un altro steward. Finalmente una fonte affidabile e loquace: sì, c’è qualche tenda. Il Comune ha messo a disposizione un parcheggio vicino allo stadio. È là, di fianco al Parco dei Capitani. Seguo le sue indicazioni, evitando un bel po’ di motociclisti con il gas a martello (il quartiere è noto per ospitare di notte gare clandestine).
Dietro una curva a destra s’intravedono una camionetta della polizia e un’ambulanza, di guardia a un parcheggio senza macchine. Bingo. Eccoli, campeggiati all’ombra di San Siro, duecento metri dietro alla tribuna vip, seduti in cerchio nell’aiuola sotto a un albero, a pochi passi da una dozzina di tende montate sul cemento: gli Swifties più devoti, una ventina di ragazzi e ragazze fra i sedici e i ventisette anni, facce pulite, si guadagnano con la militanza un posto in prima fila. C’è un clima da gita scolastica, stranamente non ascoltano musica. I più amichevoli concedono volentieri una breve intervista collettiva.
«Avevamo paura di non vedere bene Taylor. Vogliamo i posti migliori», questo mi dicono quando chiedo perché sono lì con un così largo anticipo. Mi spiegano che se la cosa verrà gestita bene, «e se non ci sono bulli», questo è il metodo giusto per accaparrarsi i posti sotto il palco. Vengono da Bergamo, Trieste, Verona, Milano, Torino, a un certo punto il gruppetto mi indica una persona dicendomi «lui è americano».
L’americano è un tizio in polo molto più vecchio di tutti i presenti, che si accorge di essere l’oggetto della conversazione e mi si avvicina. Sembra la bambina con il manuale di fisica quantistica a passeggio di notte nei vicoli in Men in Black. È di New York, mi dice, ma non arriva da New York perché lui l’estate la passa a Londra. Non posso esimermi e gli chiedo che ci fa qua fuori, alla sua età, poi. «Be’, la mia età… non sono così vecchio, ho 51 anni. Sono qua a Milano per il concerto. Avrebbe dovuto venire con me mia figlia, ma è tornata negli Stati Uniti due settimane fa. Oggi stavo passeggiando intorno allo stadio, per dare un’occhiata all’arena, ho visto queste tende nascoste nell’angolino e mi sono fermato». Incuriosito da questo peculiare stile di vita, gli chiedo che mestiere fa: «Sono un avvocato. E un fan di Taylor Swift».
Gli e le Swifties mi spiegano che alcuni di loro si conoscevano già, avevano chiacchierato nei gruppi dedicati su Whatsapp. «Quando abbiamo visto i primi post su TikTok siamo corsi ad assicurarci i posti migliori. L’obiettivo è cercare un eye contact, un’interazione con Taylor». C’è chi è qui dal giorno prima, altri sono arrivati poco prima di me. La notte devono stare qui, mi dicono, «a meno che non ci sia l’esigenza di andare in bagno o a comprare qualcosa», perché ad allontanarsi per troppo tempo c’è il rischio di perdere il posto guadagnato.
Ma come fate con i bagni, chiedo. Ci sono i bagni chimici, usate quelli? «Ci sono, là dietro, ma in linea di massima noi abbiamo preso tutti un hotel per rinfrescarci una volta al giorno». Ma allora allontanarsi è consentito, chiedo, confuso. «Io tipo ho mio fratello che vive a Milano, domani vado a fare la doccia da lui. Non è un regime dittatoriale, siamo qua per divertirci», mi spiega una ragazza.
L’organizzazione del tutto mi stuzzica molto, voglio sapere come funzionano i pasti. Per esempio, se hanno pensato di organizzare un barbecue. «Credo che grigliare non sia consentito. Io mi sono portata un sacco di cose da casa, ho preso la borsa frigo, faccio i panini. Comunque, c’è un supermercato dietro l’angolo, qualcuno si è ordinato una pizza», mi spiega un’altra Swiftie. Per terra, nell’accampamento, noto un sacchetto di carta con il logo di una catena che vende poke, un paio di bottiglie di birra da 33 cl e una confezione vuota di gelati industriali. Immagino questo stesso posto una volta scesa la notte, mette un po’ di paura. Chiedo se non ne hanno anche loro, a dormire lì: «No, no. Io non è la prima volta che faccio la notte, l’ho fatta per Harry Styles qualche anno fa a Torino. Comunque non mi sento insicura, siamo in trenta persone. Poi, fra tutti quelli che si possono derubare, proprio noi che abbiamo speso tutti i nostri soldi per Taylor Swift?». La risposta mi soddisfa e zittisce.
Una ragazza mi spiega che questo fenomeno delle file che partono giorni prima sembra sia solo italiano, fatto confermato dall’americano: «Da noi non esiste, abbiamo i posti numerati dappertutto», mi dice lui. La ragazza riprende il discorso e completa la spiegazione, dicendomi che «quando sono andata a sentire Harry Styles ad Amsterdam mi sono presentata la mattina stessa alle otto, ed ero in prima fila. In Olanda o a Londra non puoi andare la sera prima, se ci provi ti mandano via». A questo punto chiedo se sperano che tutti questi sforzi vengano ricompensati, magari Taylor verrà a salutarli. «Ma col cazzo che viene a salutare noi». Qui interviene un ragazzo che invita tutti alla calma: «Aspetta, non dipingerla così. Anni fa invitava i fan a casa sua, adesso è troppo famosa, non tocca nemmeno più nessuno ai concerti».
Come si fa a diventare così grandi? I presenti sono tutti concordi nel dire che è successo perché Swift «è genuina, è umile. Nella sua musica è sempre stata onesta e coerente. Si scrive le canzoni da sola, è per quello che siamo così affezionati. Racconta vicende che abbiamo vissuto tutti con testi sinceri e credibili. È il modo in cui scrive che la rende speciale».
Dico che oltre che una cantautrice di successo è anche una brava imprenditrice. Opinione che viene confermata: «Ha sempre tenuto pulita la sua immagine, sono trent’anni che si costruisce una carriera. Ogni cosa è preparata, non è che fa uscire un album a caso. Genuinità nei testi, sì, ma Taylor è anche la capitalista per eccellenza. Il pop esiste da cinquant’anni, è sempre stato un discorso di immagine e commercializzazione. Ringo Starr, per esempio, è stato scelto perché era bello».
Certo anche lei delle macchioline sull’immagine se le è ritrovate. È diventata un meme per il suo presunto abuso del jet privato, è stata criticata anche perché non esprime posizioni politiche chiare, nette. Nessuna delle due cose sembra interessare granché il manipolo di Swifties che mi sta parlando. L’opinione è che «un’artista non si deve esporre, non è un obbligo morale». E comunque lei lo ha fatto, a suo modo, precisano: «Quando nel 2020, alle ultime elezioni americane, ha detto “raga andate a votare” si è registrato un aumento pazzesco delle registrazioni per il voto. È in una situazione pericolosa, se lei si espone e dice una cosa sbagliata rischia di rovinarsi la carriera. Non si deve chiedere agli artisti di fare informazione».
Sui jet privati però hanno nicchiato, e io su questo tasto dolente continuo a premere. «La questione ambientale adesso è delicata, si sono accaniti, è lei il bersaglio in questo momento perché è sulla bocca di tutti, però se vai a vedere le emissioni degli ultimi anni lei non è neanche nella top 30 delle celebrità più inquinanti». Ah, be’, gran traguardo. Passa un attimo di imbarazzo, e poi una delle presenti interviene per ristabilire la verità dei fatti: «No, ragazzi, un anno era prima. Dopo che hanno tracciato il suo aereo deve aver fatto qualche escamotage. Ovviamente consuma a manetta, secondo me la cosa da lodare è che lei ha comprato i… come si chiamano… tu vai a investire i soldi che servono per compensare le tue emissioni, lei ne ha comprati il doppio di quelli necessari [compensazioni di carbonio, in inglese carbon credit, nda].
Però la gente di questo non parla, dice che lei usa il jet per andare da Starbucks. La odierebbero comunque per altri motivi, ha troppo successo. Hanno preso i voli privati perché non trovavano altro, ma ci metto una mano sul fuoco che è una bella persona. Io ci andrei a cena, con Taylor Swift».
Saluto il gruppetto, riprendono a parlare fra loro, in inglese per includere l’americano. Pochi metri più in là c’è l’area notte, tende con pochi fronzoli montate nel lato del parcheggio più lontano dalla strada, senza protezione dal sole del mattino. Anche qui non c’è una colonna sonora musicale, nessuno orchestra balletti da mettere su TikTok, solo la classica coreografia di chi si prepara a trascorrere una notte all’adiaccio. Il morale è buono. Incontro le due pioniere della fila, una studentessa di Biologia lucchese venticinquenne e una caposala romana ventiduenne. Ieri non c’era nessuno, mi raccontano già un po’ nostalgiche. Sono le generalesse: una gestisce la coda del sabato, l’altra quella della domenica. Catalogano progressivamente gli Swifties che arrivano, scrivendo il numero come dal salumiere, ma sul dorso della mano con un pennarello nero. Si lamentano di una troupe passata poco fa a filmarle, puntando la telecamera senza chiedere il permesso: «Non siamo animali da circo, siamo solo fan appassionate. Ci stiamo divertendo».
Insomma, decidiamoci. Quando i giovani stanno a casa li accusiamo di apatia e dipendenza dal telefono. Se però una passione, per quanto curiosa, si trasforma in un mini festival anarchico senza power bank che si trascina per tre notti in città, allora ci scappa da ridere. Che cinismo. Nel frattempo, en passant, un alloggio modesto per una persona a Milano domani su Airbnb costa 200 euro e gli ultimi biglietti per il concerto di Taylor Swift a San Siro, se qualcuno volesse levarsi lo sfizio, sono ancora in vendita aggiungendo uno zero.