Il 12 agosto del 1944, i soldati tedeschi, con la complicità dei fascisti, misero a ferro e fuoco il paesino dell’Alta Versilia dove avevano trovato rifugio migliaia di sfollati in fuga da guerra e bombardamenti. Le vittime accertate furono 560, in prevalenza donne e minori. Un giorno terribile che ricordiamo, anche con le parole dela Capo dello Stato, attraverso le storie di mamme e bimbi, perchè la memoria è un dovere di fronte all’attuale rigurgito di idee e simboli nazifascisti.
Quando i fascisti accompagnavano i carnefici nazisti nelle loro stragi. Sono passati ottanta anni dall’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, da quando, in quel 12 agosto del 1944, i nazifascisti trucidarono 560 persone: 130 erano bambini. Tra loro anche neonati di poche settimane massacrati in braccio alle loro madri. Tanti gli anziani e le donne.
Alle prime luci di quel giorno, nella zona tra le Alpi Apuane dichiarata come “bianca” – ossia destinata ad accogliere la popolazione civile sfollata – tre reparti della 16ª divisione Panzergrenadier «Reichs;führer-SS», accompagnati da bande di fascisti, circondarono l’abitato, mentre un quarto si attestava più a valle, sopra il paese di Valdicastello, per bloccare ogni via di fuga: in poco più di tre ore si compì uno dei più gravi massacri di civili della nostra storia.
IL DOCUMENTARIO SULLA STRAGE – Testo di Carlo Cassola
I sopravvissuti, quei pochi, che all’epoca erano ancora bambini, non hanno potuto cancellare i ricordi: “Mia madre mi nascose in una nicchia dietro la porta. Vidi che le scaricarono un mitra addosso. Era ferita alla testa ma trovò la forza per lanciare uno zoccolo verso un soldato che stava per scoprirmi. Morì. Morirono tutti. Poi aprirono i lanciafiamme sulla paglia e sui cadaveri e ci diedero fuoco”, racconta ancora Mario Marsili che all’epoca aveva solo sei anni.
“Quel giorno uccisero Evelina, che quel mattino aveva le doglie del parto, uccisero Genny, la giovane madre che, prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario, scagliò il suo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle, uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati nazisti perché risparmiassero la sua gente, uccisero gli otto fratellini Tucci, con la loro mamma. 560 ne uccisero, senza pietà in preda ad una cieca furia omicida. Indifesi, senza responsabilità, senza colpe. E poi il fuoco, a distruggere i corpi, le case, le stalle, gli animali, le masserizie. A Sant’Anna, quel giorno, uccisero l’umanità intera”, ricordano ogni giorno, ogni anno.
Le parole di Sergio Mattarella: “Una grande eredità lasciata dai sopravvissuti” È una giornata che “per la Repubblica oggi è giorno di memoria, di raccoglimento, di testimonianza. Il 12 agosto di ottant’anni or sono reparti delle SS naziste, con la complicità fascista, compirono nelle frazioni di Stazzema uno degli eccidi più spietati della Seconda Guerra Mondiale, uccidendo senza pietà donne, anziani, bambini, sfollati che pensavano di aver trovato un rifugio sottraendosi ai combattimenti. Fu la guerra portata alle popolazioni civili, lo sterminio di comunità locali incolpevoli. Fu la tragedia che si abbatté sui villaggi della linea Gotica, a Padule di Fucecchio, a Marzabotto, fra le altre”.
Con queste parole il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricorda la ferita di quel giorno che ancora sanguina: “Il baratro nel quale allora sprofondò l’umanità ha reso questi luoghi un sacrario europeo del dolore, e un simbolo di riscatto di quella rinascita umana e civile che ha saputo opporsi alla barbarie, generando democrazia, libertà, pace, laddove si voleva cancellare ogni speranza. Ai discendenti e alle genti di Stazzema, che rinnovano oggi il dolore della propria comunità per lo sterminio dei propri cari, va il sentimento commosso dell’intera Nazione. Una grande eredità morale è stata lasciata dai sopravvissuti. La Repubblica può qui riconoscere le sue radici. Quelle che, anche oggi, ci spingono a respingere le ragioni della guerra come strumento di risoluzione delle controversie. Il testimone della memoria e dell’impegno continuerà, come a Sant’Anna di Stazzema, a passare di mano in mano, per ricordarci che si tratta di crimini imprescrittibili, per accompagnarci sulla strada della civiltà e della pace, sconfiggendo chi fa crescere l’odio”.
“Per la Repubblica oggi è un giorno di memoria, di raccoglimento, di testimonianza”. Con queste parole il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha commemorato l’80esimo anniversario dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, una delle pagine più drammatiche della Seconda Guerra Mondiale.
“Il 12 agosto di ottant’anni or sono, reparti delle SS naziste, con la complicità fascista, compirono nelle frazioni di Stazzema uno degli eccidi più spietati della Seconda Guerra Mondiale, uccidendo senza pietà donne, anziani, bambini, sfollati che pensavano di aver trovato un rifugio sottraendosi ai combattimenti.”
Il Presidente ha poi proseguito ricordando la brutalità di quei giorni: “Fu la guerra portata alle popolazioni civili, lo sterminio di comunità locali incolpevoli. Fu la tragedia che si abbatté sui villaggi della linea Gotica, a Padule di Fucecchio, a Marzabotto, fra le altre”.
Mattarella ha sottolineato come questi luoghi, teatro di una violenza inaudita, siano diventati simboli di una rinascita umana e civile. “Il baratro nel quale allora sprofondò l’umanità ha reso questi luoghi un sacrario europeo del dolore, e un simbolo di riscatto di quella rinascita umana e civile che ha saputo opporsi alla barbarie, generando democrazia, libertà, pace, laddove si voleva cancellare ogni speranza”.
Rivolgendosi alle comunità locali e ai discendenti delle vittime, il Capo dello Stato ha espresso il profondo dolore e il rispetto di tutta la Nazione: “Ai discendenti e alle genti di Stazzema, che rinnovano oggi il dolore della propria comunità per lo sterminio dei propri cari, va il sentimento commosso dell’intera Nazione”.
Infine, il Presidente ha evidenziato l’importanza di mantenere viva la memoria di questi tragici eventi, riconoscendo il valore morale che i sopravvissuti hanno trasmesso. “Una grande eredità morale è stata lasciata dai sopravvissuti. La Repubblica può qui riconoscere le sue radici. Quelle che, anche oggi, ci spingono a respingere le ragioni della guerra come strumento di risoluzione delle controversie. Il testimone della memoria e dell’impegno continuerà, come a Sant’Anna di Stazzema, a passare di mano in mano, per ricordarci che si tratta di crimini imprescrittibili, per accompagnarci sulla strada della civiltà e della pace, sconfiggendo chi fa crescere l’odio.” Parole per ribadire l’importanza della memoria storica e il suo ruolo fondamentale nella costruzione di una società basata sulla pace e sulla giustizia.
LE TESTIMONIANZE DI QUELL’ECCIDO
“12 agosto 1944, Sant’Anna di Stazzema. La vittima più giovane, Anna Pardini aveva solo 20 giorni. 560 persone tra cui molti bambini, donne e anziani persero la vita in una delle più drammatiche stragi nazifasciste della storia del nostro Paese. La Toscana non dimentica”, così il presidente della Regione sui profili social.
Enrico Pieri, curatore del Museo della Resistenza del paese toscano, Enio Macini aveva sei anni: con la sua famiglia fu messo contro un muro, il giorno della strage aveva dieci anni: nascosto nel sottoscala, si ritrovò davanti al massacro della mamma Irma, incinta di quattro mesi, delle due sorelle più piccole Luciana e Alice, del nonno Gabriello e della nonna Doralice, degli zii, del papà Natale, uccisi in meno di cinque minuti a scariche di mitra nella cucina di casa insieme ai vicini. Insieme a un altro centinaio di persone.
Le mitragliette erano già pronte, “ma all’ultimo momento un ufficiale nazista ordinò di spostare tutti i prigionieri. Incolonnati, i civili vennero affidati al controllo di un unico nazista, un ragazzo giovanissimo, che, rimasto solo con loro, gli ordinò a gesti di stare zitti e di scappare”. “Ci hanno spinto contro il muro, con botte tremende – ricordava Licia Pardini, medaglia al valore nel 2012 e mancata due anni fa – Con me c’era mamma con la mia sorellina Anna di 20 giorni, Adele di 4, Maria di 16 e Lilia di 10. Spararono alla mamma che mi cadde addosso e morì. Avevano colpito anche me e il dolore era tremendo. Nel cadere sono andata a sbattere contro una porta che non era stata chiusa a chiave. Era la cantina e riuscii ad afferrare Adele, Lilia e Maria. Restammo là come paralizzate, non so per quanto tempo, ma sentivo che il fuoco divorava la casa e rischiavamo di morire bruciate. Scappammo. I tedeschi ci videro e spararono ancora. Poi silenzio. La mia sorellina Anna di nemmeno un mese, era in fin di vita. Morì dopo una settimana di agonia. La vittima più piccola della strage. Morì anche Maria”.
Così lo scrittore Manlio Cancogni descrisse gli avvenimenti di quella terribile giornata. “Li avevano presi quasi dai loro letti; erano mezzi vestiti, avevano le membra ancora intorpidite dal sonno (…) Li ammassarono prima contro la facciata della chiesa, poi li spinsero nel mezzo della piazza, una piazza non più lunga di venti metri e larga altrettanto una piazza di tenera erba, tra giovani piante di platani, chiusa tra due brevi muriccioli; e quando puntarono le canne dei mitragliatori contro quei corpi li avevano tanto vicini che potevano leggere negli occhi esterrefatti delle vittime che cadevano sotto i colpi senza avere tempo nemmeno di gridare”.
“Poi c’erano i bambini, i teneri corpi dei bimbi a eccitare quella libidine pazza di distruzione – ha scritto – Fracassavano loro il capo con il calcio della «pistol-machine», e infilato loro nel ventre un bastone, li appiccicavano ai muri delle case. Sette ne presero e li misero nel forno preparato quella mattina per il pane e ivi li lasciarono cuocere a fuoco lento. E non avevano ancora finito”.
L’ARMADIO DELLA VERGOGNA. La scoperta del massacro mezzo secolo dopo. Ci vorranno 50 anni per conoscere quello che accadde, dopo il ritrovamento casuale a Palazzo Cesi, negli archivi della procura generale militare di Roma, dei 695 fascicoli sui crimini di guerra commessi dai nazifascisti dopo l’8 settembre 1943. Si trovavano in quello che fu definito l’“armadio della vergogna” che qualcuno aveva spostato con le ante verso il muro in modo da non poter essere scoperto. E ce ne vollero altri dieci per l’apertura del processo da parte del Tribunale Militare di La Spezia, nel 20 aprile del 2004. Solo nel 2005 la condanna all’ergastolo di 10 appartenenti alle SS.
(In collaborazione con l’Avvenire e RaiNews)