di Sara Di Antonio
Ora capisco cosa provano le mie figlie, quando hanno gli occhi al cielo nella pura montagna estiva. È quella sensazione di essere lontani dalle difficoltà e dai problemi, ma al tempo stesso abbastanza vicini a sé stessi per trovare la chiave che apre il fortino dei brutti pensieri e delle ansie, che non vogliono saperne della temperatura, calda o rovente, per andare via.
A proposito, dove sono le mie figlie? Sono nelle foto di Instagram, nelle storie che scelgono di condividere, tra i miei “stai attenta” e “mi raccomando” lanciati a velocità industriale, come se si trattasse di tempestare qualcuno di una scarica elettrica di preoccupazioni e rimbrotti, e non di fidarsi.
Di fidarsi, lo si può fare giusto di questo cielo che da subito ispira saggezza e decisione, come di quelle giornate senza nuvole e senza dubbi che mi dicono esistano – davvero esistono, in qualche parte del globo e del mondo. Non alle mie latitudini, quando dico ad A. che è già ora di rientrare, è che ora di scendere verso le cose belle e semplici, dunque verso il mare.
Intanto, la montagna ha schiarito i pensieri, la montagna avara e stanca di Silone, le durezze degli Appennini, la straordinaria grandezza del Corno Grande che protegge perfino me che arrivo in braghe corte e ciabatte, recalcitrante e nervosa.
Poi l’epifania: bastano due arrosticini, una fetta di pecorino, un bicchiere di Cerasuolo per riprendere il filo e parlare, straparlare di ciò che ci aspetta, avido, a settembre. I settanta chilometri che ci separano dal mare sono una porta girevole fatta di sensazioni e ricordi: e G. e V. non lo sanno, mentre sono lontane e appiattite, altrove.
La loro mamma cerca di assorbire un dialetto ma effettivamente non ricorda, qui siamo tra Teramo e L’Aquila e comunque in un lacerto di mondo che non intende farsi capire o penetrare, e ti offre la sua roccia dura e ruggente giusto per riposare, e per dare un senso alle tue domande.
Qualcuno gioca a carte, ma non capiamo se è un tressette, o busche, chiedo: “busqué, francese?”, ma naturalmente non so nulla di giochi, e di queste cose. Apprezzo la calma, fare finta di nulla mentre la casa brucia, mentre invio una foto nostalgica a V., una di quando aveva due anni, lei però non capisce.
E poi ci mettiamo in viaggio per riguadagnare la fretta e il caos, l’aria umida e i dopobarba estivi del mare, le teste colorate delle signore con la messa in piega, i volti colorati dal sole. A. riesce a ripescare i suoi ricordi, gli ultimi, di quando scrisse un romanzo, o qualcosa, venendo in un posto simile, dove c’erano mille abitanti o poco più.
Io ripenso alla Madonnina della chiesa di Castelli, i suoi occhi che sembravano senza pupille, vuoti, eppure rumorosi e sinceri. Sembrava interrogassero, sembrava che mi mandassero messaggi misteriosi. “Stai bene?” chiedo a G. impaziente, immaginando una risposta che sveli ogni segreto su WhatsApp. Nessuna visualizzazione, osservo, mentre la nostra montagna mi saluta severa non appena me la lascio alle spalle, correndo veloce verso il mare, ah sì, il mare, che bello.
Aldina Puglia
Il nostro gigante dorme sereno e fortunatamente sente solo in sottofondo il chiasso della costa. A noi basta guardarlo e chiudendo gli occhi respiriamo la sua calma. Non ti stancare mai di visitare le nostre colline e montagne, le cose da scoprire sono meravigliose
Scrivilo tu: romanzo, autobiografia, racconto di viaggi geoesistenziale. Ti viene naturale e ti viene benissimo. Paola Spinozzi
Grazie per questi dieci minuti di te e di bellezza ❤️
Susanna Aldini
Tesoro mio è una poesia trasformata in prosa💓sei speciale ❤️
Mariafrancesca Marsili