giovedì 28 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

OBAMA, VENT’ANNI FA A BOSTON…

Barack Obama torna sul palco di una Convention democratica due decenni dopo il suo memorabile debutto. Stavolta il suo compito è diverso. Nel 2004, era un giovane senatore statale dell’Illinois che si presentava alla nazione. Il candidato democratico alla Casa Bianca era John Kerry, poi battuto da George W. Bush. Il suo discorso giunse mesi prima della sua elezione al Senato di Washington e costituì la base per la sua ascesa alla presidenza, quattro anni più tardi.

Ora Obama è l’anziano statista 63enne che ha servito due mandati alla Casa Bianca e che è passato alla storia come primo presidente black. Nel suo intervento di stanotte alla Convention di Chicago dovrà promuovere un altro passaggio storico: l’elezione della prima presidente donna black, Kamala Harris. Nel suo discorso alla convention di Boston del 2004, “il ragazzino magro con un nome buffo”, così si è definito lui stesso, catturò l’attenzione della platea democratica, andando oltre il compito che gli era richiesto, il sostegno a John Kerry. Obama presentò la sua visione di una “politica della speranza” e di una “unica nazione, gli Stati Uniti d’America”, che non fosse schiacciata dal peso delle proprie differenze. Kerry perse le elezioni di novembre, ma la figura di Obama rimase impressa nella coscienza nazionale, dando il via a un’incredibile scalata che, quattro anni dopo, lo portò nello Studio Ovale.
Omaggio alla ‘legacy’ di Joe Biden, suo vice negli otto anni alla Casa Bianca

Parlando nella sua città, Chicago, il primo presidente nero renderà omaggio alla ‘legacy’ di Joe Biden, suo vice negli otto anni alla Casa Bianca. E sosterrà un’altra figura storica, quella di Kamala Harris, che a novembre si confronterà con Donald Trump in una riedizione di quello scontro culturale e ideologico del quale Obama parlò venti anni fa. Anche la ex first lady, Michelle Obama, salirà sul palco dello United Center.

I due decenni di vita pubblica di Barack Obama sono stati caratterizzati da discorsi seminali. Il suo corpus di opere presenta una gamma di toni e scopi, una serie di scelte mentre cerca di trovare il giusto equilibrio per Harris che prova a diventare la prima donna, la seconda persona di colore e la prima persona di origine sud asiatica a raggiungere la presidenza.

Nel 2004 Obama usò il suo spazio alla Convention per mescolare temi elevati con l’umorismo e la sua biografia di figlio di un uomo di colore del Kenya e di una donna bianca del Kansas. “Ammettiamolo, la mia presenza su questo palco è piuttosto improbabile”, disse ai delegati e al pubblico televisivo nazionale. In 16 minuti, meno di un tipico discorso di accettazione della candidatura, di un discorso inaugurale o dello Stato dell’Unione, Obama raccontò la sua storia, inquadrò le elezioni del 2004 e parlò di Kerry e del candidato vice, John Edwards.

L’accusa alla politica divisiva di quegli anni toccò corde sensibili. “Non esiste un’America liberale e un’America conservatrice; ci sono gli Stati Uniti d’America. Non esiste un’America nera e un’America bianca e un’America latina e un’America asiatica; ci sono gli Stati Uniti d’America”, disse in quello che è forse il passaggio più citato del suo discorso. “Partecipiamo a una politica di cinismo o partecipiamo a una politica di speranza?”, chiese. Due anni e mezzo dopo, Obama riprese quel tema quando lanciò la sua campagna presidenziale davanti a migliaia di sostenitori riuniti fuori dalla capitale dell’Illinois, Springfield. Il suo motto della campagna: ‘Speranza e cambiamento’. Se i temi idealistici, persino fumosi, portarono Obama sulla soglia della Casa Bianca, furono la politica nuda e cruda e un realismo glaciale a farcelo entrare.

Nel marzo 2008, l’allora candidato Obama venne messo alla gogna per la sua amicizia con il suo pastore nero, il reverendo Jeremiah Wright, noto per le sue posizioni radicali e controverse sulla supremazia dei bianchi in America. La polemica nacque da un video di Wright che, dal pulpito della chiesa frequentata da Obama, dichiarava: “Dio maledica l’America”. Quella volta la retorica non avrebbe funzionato. Obama scrisse a mano un discorso di quasi 38 minuti in cui spiegava il suo rapporto con Wright, con il contesto della storia degli Stati Uniti e delle relazioni razziali all’inizio del XXI secolo.

Non posso rinnegarlo più di quanto non possa rinnegare la comunità nera”, disse Obama, mentre respingeva la “visione di Wright che vede il razzismo bianco come endemico e che eleva ciò che non va in America al di sopra di tutto ciò che sappiamo essere giusto in America”. Il discorso, intitolato ‘Un’Unione più perfetta’, funzionò. Il discorso di Obama alla convention di quell’agosto presentava sicuramente le sue caratteristiche promesse di speranza e cambiamento. Il luogo e la folla, 84.000 persone nello stadio di football dei Denver Broncos, confermarono il suo status di celebrità.

Un altro aspetto da tenere a mente, però, fu il blitz di Obama sul candidato repubblicano John McCain. Dopo aver trascorso settimane a resistere alle richieste dei democratici di attaccare l’eroe della guerra del Vietnam, Obama martellò il senatore dell’Arizona, accusandolo di avere avallato le politiche dell’Amministrazione Bush, ormai invisa alla maggior parte degli americani e debole sulla scena mondiale. Quel discorso avrebbe anticipato quello più spietato pronunciato nel 2020 alla convention virtuale (a causa della pandemia) dei democratici.

Parlando a nome di Biden, il suo ex vicepresidente, Obama inquadrò Trump come fondamentalmente inadatto alla carica. Fu l’accusa più feroce nei confronti di un presidente in carica da parte di uno dei suoi predecessori nella storia moderna degli Stati Uniti. “Questa amministrazione ha dimostrato che distruggerà la nostra democrazia se è ciò che serve per vincere”, disse Obama, quasi cinque mesi prima che i sostenitori di Trump attaccassero il Campidoglio nel tentativo di impedire la certificazione di Biden come vincitore delle elezioni del 2020.

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