Due anni fa, in questo giorno, l’uccisione in Iran di Mahsa Amini. A 24 mesi dalla morte ci si interroga sulle ingiustizie sociali e le riforme economiche incompiute alla luce del nuovo esecutivo guidato dal riformista Pezeshkian. L’analisi di Farian Sabahi e il commento di Pegah MoshirPour
Anche quest’anno le autorità hanno proibito la commemorazione della morte di Mahsa Jina Amini. A Saqqez nel Kurdistan iraniano dove è sepolta la giovane morta per un velo messo male il 16 settembre del 2022, la polizia pattuglia il cimitero di Aichi dove si trova la sua lapide. Al suo funerale due anni fa furono in centinaia di migliaia a sfilare per rendere omaggio a quella che fu poi considerata un’eroina dell’Iran.
Quest’anno i suoi famigliari speravano di poter dare il via alla sua commemorazione. A nulla è servito il messaggio del padre Amjad Amini – che nel 2023 fu obbilgato agli arresti domiciliari temporanei. Commemorazioni si tengono, invece, altrove: a Milano e a Roma, ad Amburgo e a Colonia e in Olanda dove la diaspora iraniana è numerosissima e urla lo slogan della protesta di Donna Vita Libertà il movimento scaturito dalla tragica morte della 22enne e con il quale in molti avevano visto la possibilità di combattere per un cambiamento radicale e perfino per il rovesciamento del regime sciita nato con la rivoluzione khomeinista del 1979.
A distanza di otre 40 anni sono ancora molti gli interrogativi sulla tenuta della teocrazia guidata da Ali Khamaenei dall’alto dei suoi 85 anni di età: su buona parte della popolazione pesano le regole religiose dettate dalla ferrea lettura della sharia da parte degli ayatollah. Dogmi sulla vita sociale e sulle strategie politiche ed economiche che i giovani della generazione Z cresciuti tra i social all’ombra dei modelli occidentali oramai mal sopportano.
Nonostante il recente nuovo esecutivo a guida riformista in molti denunciano sanzioni più severe per le donne che non rispettano il codice di abbigliamento, comprese “multe esorbitanti”, “pene detentive prolungate”, ”restrizioni al lavoro e alle opportunità di istruzione” e ”divieti di viaggio”.
Oggi a distanza di 24 mesi ci si chiede quale sia l’eredità di Mahsa Amini e cosa abbia lasciato nelle coscienze degli iraniani. “Le proteste hanno lasciato il passo alla disobbedienza civile” ha detto a Rainews.it Farian Sabahi docente e storica italo-iraniana.
Mahsa Amini era stata arrestata a Teheran il 13 settembre 2022, mentre era in visita nella capitale iraniana con la sua famiglia. Secondo gli agenti, indossava impropriamente il suo hijab, il velo obbligatorio a partire dai 7 anni di età. A poche ore dalla sua detenzione, fu ricoverata in coma in ospedale, dove morì il 16 settembre. La foto di lei sdraiata in un letto di ospedale con evidenti segni di percosse, fece il giro del mondo. La storia fu raccontata da due giornaliste che hanno pagato col carcere quel loro scoop.
Le proteste che ne seguirono durarono mesi, diffondendosi nelle principali città del Paese e trascinando uomini e donne nelle strade al grido di slogan contro la Repubblica islamica e la Guida Suprema, Ali Khamenei. Una situazione ritenuta insopportabile per il regime che ordinò una feroce repressione a suon di arresti, percosse ed esecuzioni.
Le notizie spesso tragiche di morti e impiccagioni arrivarono a noi divenendo virali grazie anche all‘uso dei social network:immagini di iraniani che bruciavano il velo e gigantografie di Khamenei. Ong come Iran Human Rights e Amnesty International lanciavano appelli affinchè il regime allentasse la presa.
Ad oggi 10 uomini sono stati giustiziati in relazione alle proteste per attacchi alle forze di sicurezza durante le dimostrazioni e dopo processi ritenuti sommari. In carcere sono detenuti i principali oppositori e dissidenti iraniani tra cui spicca la Premio Nobel per la pace 2023 Narges Mohammadi.
Alle vittime, alle loro famiglie e alle persone sopravvissute continuano a essere negate verità, giustizia e riparazione per i crimini di diritto internazionale e per le altre gravi violazioni dei diritti umani commessi dalle autorità iraniane durante e dopo le proteste”, ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
“Non abbiamo dimenticato; non abbiamo perdonato; non ci siamo nemmeno tirati indietro. Giuriamo sul sangue dei nostri giovani caduti che resisteremo fino alla fine di questo viaggio”, scrivono i giovani iraniani che distribuiscono volantini anti-regime. E’ un fatto che per la prima volta una protesta così importante sia potuta circolare anche grazie all’uso dei social network e al tam tam che ne è seguito tra le centinaia di migliaia di rifugiati iraniani della diasporanel mondo. Social che ora sono nel mirino dei pasdaran e dei servizi segreti iraniani.
Tra loro c’è Pegah Moshir Pour iraniana di nascita, fuggita dall’Iran quando aveva solo 9 anni con i suoi genitori. Volto noto dell’attivismo in Italia e che oggi lancia un appello ai nostri microfoni: “Il mondo non resti in silenzio di fronte alle sofferenze degli iraniani, io sono fortunata a vivere in Italia un paese libero loro invece sono ancora lì”.
In questo contesto “non c’è una vera speranza che le vittime e i sopravvissuti possano accedere pienamente e in modo significativo ai diritti e alle libertà fondamentali”, ha affermato la missione chiedendo a Teheran di fermare le esecuzioni dei manifestanti e di annunciare una moratoria sulla pena capitale.
* RaiNews