Tutto come da tradizione nel cambio dei direttori. A Repubblica, Mario Orfeo subentra a Maurizio Molinari, che resta editorialista del giornale da New York, secondo un copione di belle parole e ringraziamenti di circostanza che potrebbe apparire come il voler mettere la polvere sotto il tappeto. Troppe dimenticanze tra vecchio e nuovo direttore , che poi sarebbero i punti che hanno portato alla sfiducia di Molinari: l’indirizzo del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari con troppe ingerenze nella stesura dei pezzi e la triste vicenda degli articoli a pagamento. C’è da ricordare che Molinari più volte è stato nel mirino della maggioranza dei suoi redattori che l’hanno siduciato per alcune decisioni in palese contrasto con la storia del quotidiano. L’ultima, la più clamorosa, è sfociata in due giornate di sciopero per via di un inserto di 100 e più pagine con articoli a pagamento, alla faccia dell’autonomia e del rispetto del lettore.
Ebbene di queste vicende che hanno portato al cambio del timoniere di quella che un tempo è stata una corazzata dell’informazione liberal italiana, nessun accenno. Nel suo editoriale d’addio (“Informazione di qualità e coraggio di innovare”), dopo 4 anni e mezzo di direzione, Molinari parla del percorso della testata, iniziato dal fondatore Eugenio Scalfari, “a cui hanno contribuito le direzioni dei miei predecessori Ezio Mauro, Mario Calabresi e Carlo Verdelli”. Dopo aver augurato buon lavoro al suo successore Mario Orfeo e aver ringraziato l’Editore Gedi, cioè John Elkann, anch’egli dimissionario.
Molinari non nomina mai né l’Ucraina né la Russia. Né Israele, né la Palestina, anche se durante la sua direzione ci sono state uscite dovute proprio alla linea di grande attenzione per Israele. Come quella del mitico inviato Bernardo Valli, al quale era stato chiesto di cambiare l’attacco di un pezzo sulla politica di Tel Aviv; come quella di Gad Lerner; come quella di Raffaele Oriani, che lasciò Il Venerdì per “la reticenza sulla strage a Gaza”. Molinari critica piuttosto “i più temibili nemici al momento in circolazione: populismo e autocrazie”.
L’addio di Molinari porta la data del 7 ottobre, il giorno dell’attacco di Hamas agli insediamenti israeliani attorno a Gaza. Nel suo editoriale di arrivo, l’8 di ottobre, Mario Orfeo (“Noi, i lettori e un’idea di Paese senza rancore”) nomina il fondatore Scalfari, nomina l’Editore di allora Carlo Caracciolo, nomina Ezio Mauro: con tutti Orfeo ha lavorato a Repubblica alla fine del ‘900. Nomina Molinari perché farà parte dell’”autorevole squadra degli editorialisti” del giornale, trascura Calabresi e Verdelli. E ringrazia Gedi, che lo ha chiamato e gli ha “dato fiducia e libertà di mandato”. Neanche lui cita mai Ucraina, Russia, Israele e Palestina. Dice che “solo chi è in malafede può confondere aggressori e aggrediti o regimi e democrazie” e che “allo stesso modo non deve essere consentito a nessuno di chiudere gli occhi davanti alle stragi quotidiane di civili innocenti, madri e bambini”.
Inoltre, va sottolineato, Orfeo (così come Molinari) non dice una parola sui motivi che hanno portato la redazione de la Repubblica a proclamare due giorni di sciopero il 25 e 26 settembre: intrusione di Gedi nella realizzazione dei pezzi su “Italian Tech Week”, convegno a Torino sulle start up di nuove tecnologie, e articoli pagati dalle aziende e presentati sotto forma giornalistica. Una battaglia del Comitato di redazione e dell’assemblea delle giornaliste e dei giornalisti per l’indipendenza dell’informazione e la trasparenza nei confronti dei lettori.
Non una parola sulla battaglia che ha portato alla fine della Direzione Molinari e all’inizio della Direzione Orfeo. Che il cambio a Repubblica non sia altro che un’operazione degna del Gattopardo? Cambiare affinché tutto resti come prima? Non resta che attendere prima di esprimere giudizi. (In collaborazione con professionereporter.eu)