I tempi sono maturi. Per mandare all’altro Paese la nuova imprenditoria del giornalismo italiano, fatta di aspiranti editori che ritengono di saper confezionare un giornale meglio di chiunque altro, fingendo di rischiare i propri capitali. Si ritengono in grado di poter fare qualsiasi cosa in virtù di un dogma , aver avuto successo nel business, lo dicono il fatturato e il conto in banca. La nuova sociologia dell’editoria è che i milioni e i miliardi accumulati in altre attività altro non sono se non la conferma della teoria delle predestinazione, una sorta di appartenenza alla classe eletta baciata dalla grazia e dal sapere. Ahinoi. Affacciarsi al mondo dell’editoria è tutt’altra cosa delle noiose serate tra colleghi, tra un sigaro e un bicchiere di whisky, a darsi reciproca ragione su come investire nella carta stampata. Per loro, all’inizio dell’intrapresa, fare i giornali è uno scherzo da ragazzi. “Son partito da zero ed eccomi qua, pronto a spiegare il mondo al mondo”. Basta affidare il ruolo di direttore a uno del gruppo, al quale non c’è alcun bisogno di spiegare cosa dire, come dirlo, o cosa pubblicare o cosa gettare nel cestino o mandare al macero. Lo sanno già, fiutano l’aria, abili nello stare a galla sempre e comunque. Con il mare calmo o forza 7. Sono la punta di diamante della nuova classe sociale che da anni si è imposta in Italia, ne fanno parte coloro che comunque la si giri riescono sempre a vincere.
Perché questa amara introduzione? Nel seguire le ultime vicende dei giornali, dove certi meccanismi vengono agevolmente celati grazie ad abili manovre di misinformazione che altro non è se l’in formazione non accurata, inattendibile, i cui contenuti, diffusi frettolosamente sui giornali e sui vari media, vengono spesso accettati come veritieri tanto difficile o impossibile da verificare. Il caso Gedi ne è l’aspetto più clamoroso e significativo. Un grande gruppo industriale
Martin Lutero, Ulrico Zwingli e Giovanni Calvino sostengono tutti la predestinazione: la vera chiesa è formata dagli eletti (Lutero in questo si oppone a Erasmo da Rotterdam: la necessità della grazia incondizionata per poter essere in grado di scegliere per Dio).
di Alberto Ferrigolo
Confezione inedita per L’Espresso numero 41 in edicola l’11 ottobre 2024: dorso rigido al posto dell’usuale spillatura con doppia graffetta. Una spiegazione c’è: la necessità di tenere insieme, nell’ultima parte del settimanale, le 45 pagine sponsorizzate di Speciale Space Economy, illustrate da un inedito editoriale del Direttore Emilio Carelli. Il quale spiega che “in questo speciale abbiamo sentito il parere di figure chiave come il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, il presidente dell’Agenzia Spaziale italiana, Teodoro Valente e il responsabile della Space Division di Leonardo, Massimo Comparini”. I quali hanno “tutti confermato l’ottimo stato di salute della Space Economy e la sua stretta correlazione con l’innovazione tecnologica”. Tanto più che “in un contesto globale il mercato spaziale si avvia a raggiungere un valore di 1.800 miliardi di dollari entro il 2040”, mentre “il governo sta incentivando il settore con ingenti investimenti”.
senza precedenti
Pertanto “vi invitiamo a esplorare con noi le infinite possibilità delle Space Economy, scoprendo l’impatto positivo che questo settore avrà sul nostro futuro (…) in un viaggio senza precedenti nel cielo delle opportunità”. A dimostrazione, sempre più evidente, che l’anima del giornalismo, per la sua stessa sopravvivenza, si rifugia nella pubblicità.
In un’altra sezione del magazine, sempre il Direttore si occupa in prima persona d’intervistare Ettore Prandini, il potente presidente di Coldiretti, grande alleato del ministro Francesco Lollobrigida (“Per l’agricoltura meno burocrazia più investimenti”, il titolo) e della compagine del governo di centrodestra, ma anche grande sponsor, in qualità d’investitore pubblicitario, sulla carta stampata.
sfilate e congressi
Lo storico settimanale venduto da Gedi e acquisito nella primavera 2022 per 4,5 milioni dal gruppo editoriale Bfc Media, è controllato in un primo momento da Danilo Iervolino, 43 anni, imprenditore napoletano, originario di Palma Campania, proprietario della Salernitana calcio, che ha fondato l’Università telematica Pegaso. Poi, esattamente un anno dopo, primavera 2023, Iervolino rivende il 100% delle quote del giornale a Donato Ammaturo, titolare del Gruppo Ludoil Energy (già socio di minoranza della Bcf Media di Iervolino) e della società Alga che si occupa di vendita, logistica e distribuzione di prodotti petroliferi, logistica infrastrutturale e energie rinnovabili (Alga organizza pure congressi, convegni, sfilate, promozioni, concerti e mostre e si occupa di gestione aziendale).
Oggi L’Espresso non va affatto bene. E per diversi motivi, primo fra i quali ci sono le vendite, che in edicola sarebbero sulle 10 mila copie circa, secondo quando riferito alla redazione dallo stesso direttore Emilio Carelli, quarto uomo al comando – dopo aver ricoperto per un periodo anche il ruolo di amministratore delegato, con Ammaturo – in poco più di due anni, in seguito alle destituzioni di Lirio Abbate e Alessandro Rossi da parte di Iervolino, Enrico Bellavia per opera di Ammaturo.
un milione di followers
Delle vendite reali in edicola, così come degli abbonamenti cartacei e digitali, non si sa nulla. Proprietà e Direzione giornalistica non ne fanno mai cenno. A domanda specifica la risposta, generica, è sempre la stessa: si parla di un milione di followers. I followers, però, non sono i lettori. E va anche considerato che dal 17 settembre 2023 il settimanale va in edicola da solo, non più abbinato e trainato da la Repubblica.
Secondo motivo per cui il giornale viaggia nell’incertezza riguarda la parte giornalistica vera e propria. Secondo fonti di redazione, Carelli – abituato fino a qualche anno fa alla tv, prima dell’esperienza parlamentare a 5 Stelle – concepisce il racconto dei fatti nella loro immediatezza, come se dovesse andare in onda o in stampa un minuto dopo il fatto, mentre il settimanale dovrebbe essere in grado di approfondire o persino prevedere, ipotizzare come andrà il mondo, le sue tendenze. Fa fede la copertina del numero in edicola fino a giovedì 17 ottobre: “Fermate il massacro”. Il riferimento è ai bombardamenti di Gaza, il cui stop chiedono in molti, a partire da Papa Francesco dall’inizio del conflitto, appello che viene ripetuto a partire dalla orrenda data del 7 ottobre 2023, quando Hamas ha massacrato oltre 1.200 israeliani rapendone e sequestrandone oltre duecento.
garante e tutore
Altro motivo di generale scontento (i giornalisti rimasti sono venti, incluso il Direttore) riguarda gli articoli che vengono bloccati, rimandati o lasciati nel cassetto. Il Direttore, cauto, si concepisce piuttosto come una figura che fa da “filtro”, anche se si proclama garante e tutore dell’autonomia della redazione. Ma quando in piena estate scoppia il caso di due contratti in scadenza, quelli di due collaboratori, Chiara Sgreccia e Simone Alliva, che smaltiscono una grande mole di lavoro, Carelli non firma il rinnovo e i due contratti cessano di esistere.
La redazione, sfidata, s’impunta e decide lo sciopero, ma editore e direttore optano per la “serrata”, mandando ugualmente in edicola un Espresso composto dallo stesso direttore, con qualche aiuto. Ma com’è che il settimanale è potuto andare in edicola ugualmente? I nomi degli eventuali “crumiri” non escono.
accesso negato
Malumore e nervosismo circolano tra le redazioni di Roma e Milano. Scatta una guerra di comunicati, che però puntualmente vengono bloccati dalla proprietà. Sia sul sito, al quale i singoli redattori non hanno più accesso, così come non hanno più accesso ai social, e non vengono pubblicati nemmeno più sul giornale di carta. Il fronte giornalistico si trova davanti a un bivio: lottare o mediare? Prevale la seconda opzione, con la contestuale richiesta dei redattori di riottenere l’accesso al sito. Carelli promette di prodigarsi per farglielo riavere, ma la richiesta cade nel vuoto. A tutt’oggi, dopo oltre un mese e mezzo, la redazione per ottenere la pubblicazione di un articolo sul sito dell’Espresso deve passare per il Direttore o per il suo Vice. Il risultato è un sito con notizie e approfondimenti vecchi e gestito “da non si sa chi” a Milano, con molti refusi e nessun appeal. Quel che è certo è che con ciò che appare su espresso.it la redazione non ha nulla a che vedere.
aggressività e ironia
Così il giornale appare senz’anima, sostituita semmai dalla pubblicità, dagli speciali per attirarla, dai redazionali, come nel numero 41, “a cura de L’Espresso media”, oppure “a cura della Cassa dei Ragionieri e degli Esperti Contabili”, “a cura di Abi”, l’Associazione bancaria italiana, di Gedi, l’editore di Repubblica e anche dell’Espresso prima della vendita a Iervolino, mentre del vecchio L’Espresso, il cui cardine è sempre stato politica-economia-cultura, conditi d’aggressività, ma anche ironia e quel tocco che dava la cifra in più della curiosità, della leggerezza, resta poco o nulla.
Dopo aver lasciato la sede al civico 90 di via Cristoforo Colombo, nella nuova, al 131L di via Ostiense a Roma, dov’è il rettorato di RomaTre, la sensazione sempre più forte è quella di trovarsi in un giornale in disarmo.
(nella foto, Emilio Carelli)