L’industria automobilistica italiana attraversa una crisi gravissima, con 25.000 posti di lavoro a rischio che potrebbero raddoppiare nel breve periodo, secondo un’analisi condotta da Alix Partners e rilanciata da Dataroom, la rubrica sul Corriere della Sera di Milena Gabanelli. Cifre drammatiche, non da oggi però.   Il 2024 si chiuderà con meno di 500.000 veicoli prodotti, il peggior risultato da 68 anni a questa parte. Ma quali sono le ragioni di questa totale de-industrializzazione?

La situazione è il risultato di diversi fattori: lo stop ai motori a combustione dal 2035 deciso dall’Unione Europea, la concorrenza cinese e il declino della produzione italiana in atto ormai da più di 30 anni. Stellantis (Peugeot più ex Fiat) unico grande produttore rimasto in Italia, continua ad avere un ruolo da protagonista assoluto nonostante le tensioni con il Governo.

LEGGI ANCHE

ALTRI MONDI / Nissan licenzierà 9.000 dipendenti, l’ad si dimezza lo stipendio

Tra gli elementi che potrebbero compromettere la ripresa del settore, il costo del lavoro in Italia. Ma attenzione, perché nel nostro Paese non è il più alto d’Europa: 29 euro l’ora contro i 35 della Francia e i 44 della Germania. In Spagna, dove Stellantis produce già un milione di veicoli l’anno, il costo è di 25 euro l’ora. In quest’ultimo caso, la differenza con l’Italia non è così rilevante. Ci sono poi le aree dell’Est: in Polonia si scende a 12 euro l’ora e in Serbia addirittura a 7 euro l’ora. Paesi dove, tra l’altro, Stellantis ha già degli stabilimenti.

Altro tema di rilevante importanza è la produttività. Quella degli stabilimenti italiani è bassa e ciò è dovuto principalmente al sottoutilizzo degli impianti e alla mancanza di investimenti e non direttamente ai lavoratori. A influire c’è poi – ovviamente – anche l’età media elevata del personale (57 anni a Mirafiori) e il fenomeno dell’assenteismo, ma i problemi sono più che altro strutturali.

Il vero problema, però, è il costo dell’energia che incide per il 12% sui costi totali ed è il più alto tra i Paesi europei dove opera Stellantis: 103 euro/MWh contro i 53,7 della Spagna. Ma come si può ridurre il prezzo per ritornare competitivi? Una soluzione immediata potrebbe essere l’uso di energie rinnovabili a prezzi slegati da quelli del gas per i settori a rischio delocalizzazione. Altri interventi (esempio il ritorno al nucleare) richiederebbero anni di pianificazione e investimenti. Ma l’industria dell’auto italiana non ha tutto questo tempo a disposizione.

La logistica è un altro punto debole, con costi significativamente più alti rispetto ad altri Paesi europei a causa di infrastrutture non adeguate e datate. Servono investimenti mirati in collegamenti ferroviari e stradali, vincolati però alla continuità produttiva degli stabilimenti.

Il rapporto tra il governo italiano e Stellantis è ai minimi storici e ciò può avere pesanti ripercussioni anche sull’indotto. L’ultima legge di Bilancio ha cancellato con un tratto di penna i 4,6 miliardi stanziati dal governo Draghi per il settore automotive da spendere entro il 2030, segnalando l’assenza di una strategia di lungo periodo.
Per salvare l’industria automobilistica italiana serve dunque un cambio di passo, con una nuova visione industriale e investimenti mirati. Solo così si potrà garantire un futuro al settore e ai suoi lavoratori, evitando di perdere competenze e capacità produttive cruciali per l’economia del Paese.
La crisi profonda dell’auto impone anche di evitare i colossali errori del passato: al gruppo torinese partecipato dagli Agnelli è stato concesso di non avere concorrenti in Italia (chi non ricorda il no alla vendita di Alfa Romeo alla Ford?)  mentre in Spagna i produttori sono attualmente cinque.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui