Salari in calo e produttività in aumento: questi sono alcuni dei dati registrati da UILTuCS, la Uil del terziario che sottoscrive i contratti collettivi di commercio, turismo e servizi. “Da questi dati relativi al settore del commercio si può dedurre che, nonostante la pandemia e le sue conseguenze, le imprese hanno accumulato utili enormi. Quasi nulla di questi utili è stato reinvestito, contribuendo alla spirale inflattiva e alla stagnazione dell’economia del Paese”, ha sottolineato il segretario generale UILtuCS Paolo Andreani. I dati sono chiari: i salari reali sono crollati dell’8% dal 2010 al 2022 nel settore terziario, con una punta del -15% nel commercio. In controtendenza, invece, la produttività del lavoro, che registra un +16,3%
Questi sono i dati della ricerca pubblicati da UILTuCS, dove emergono in particolare le dinamiche salariali e la contrattazione collettiva in Italia negli ultimi 10 anni messe a confronto con quelle di altri 8 Paesi dell’Unione europea, in cui la contrattazione copre una larga maggioranza della forza lavoro. Si parla di Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Spagna, Svezia. A livello di salario medio (31.530 euro nel 2022), l’Italia è al penultimo posto rispetto agli altri 8 Paesi considerati, che si muovono in un range tra i 41 mila e i 62 mila euro. In concreto, in Italia il salario medio annuo è superiore di poco più di mille euro rispetto alla Spagna, all’ultimo posto; di circa 10 mila euro inferiore al terzultimo, la Francia, e di oltre 20 mila euro inferiore a quello del primo paese in classifica, la Danimarca
Non va meglio a livello di crescita di salario lordo nel periodo 2010-2022: quella italiana è la seconda più bassa (+13%), seguita solo dalla Spagna (+10%), che ha visto però crescere del +58% il suo salario minimo legale. Nello stesso periodo, i salari medi degli altri paesi sono cresciuti da un minimo del +23% in Francia ad un massimo del +37% in Svezia
Confrontando i dati con l’inflazione registrata tra il 2010 e il 2022, la ricerca di UILTuCS ha evidenziato come soltanto in Italia e Spagna i salari reali siano diminuiti, mentre in Paesi come Svezia e Germania sono aumentati rispettivamente del +15% e +14%. Per tali dati c’è una ragione di fondo: se per Berlino a fare la differenza è stata l’introduzione del salario minimo legale, per Stoccolma, invece, ha inciso tanto l’uscita dal cosiddetto periodo di moderazione salariale dei primi anni 200Il dato della Spagna, peggiore di quello dell’Italia (-8% per Roma, -13% per Madrid), si spiega con la storia recente vissuta dal paese iberico, passato da una stagione di tagli salariali e smantellamento del Ccnl, in particolare durante la crisi del debito sovrano, a una serie di riforme avviate dai governi progressisti che stanno lentamente facendo vedere i propri effetti sui sala
In questo senso la Uil segnala la presenza del salario minimo legale, che troviamo in Paesi come Belgio, Francia, Germania e Spagna, dove convive con la contrattazione collettiva senza aver intaccato negativamente l’efficienza. “Il salario minimo legale non ha un impatto negativo sulla contrattazione e sul potere del sindacato dove questi sono forti, ma all’opposto diventa uno strumento necessario di tutela quando si indeboliscono la contrattazione collettiva e la rappresentatività sindacale”, evidenzia la Uil
Mostra un segno positivo la produttività del lavoro (calcolata tenendo conto del valore aggiunto e dell’effettivo apporto del lavoro alla crescita della produttività), che in Italia è cresciuta in tutti i settori, con l’eccezione dell’agricoltura, con una media del +3,2%. Estrapolando il macrosettore dei servizi (commercio, turismo, trasporti e logistica), la produttività del lavoro è cresciuta del +7,8%, contro la media nazionale del +3,2%. Se si considera il solo commercio la produttività del lavoro è cresciuta molto più della media nazionale (+16,3% contro +3,2%). Inoltre, tra il 2015 e il 2021, il Mol (Margine operativo lordo) delle imprese è cresciuto nel commercio del 44,9%, mentre gli investimenti nel commercio sono ristagnati (+1,6%)
- Per riformare la contrattazione collettiva in Italia, la UILTuCS ha presentato una serie di proposte:
- Sostituire l’Ipca, indicatore del costo della vita, con un indicatore basato su un paniere in linea con l’inflazione reale;
- Portare o confermare la vigenza del contratto nazionale a quattro anni e confermare i due livelli contrattuali, nazionale e decentrato;
- Prevedere l’adeguamento biennale del salario nazionale di settore all’inflazione, e introdurre per via contrattuale un meccanismo di recupero certo di una parte sostanziale dell’inflazione reale nei casi di mancato accordo e di scostamento tra salari e inflazione;
- Assicurare che gli accordi aziendali prevedano erogazioni di salario legate alla produttività e al suo incremento;
- Introdurre e privilegiare l’incremento della produttività del lavoro accanto agli indicatori di redditività, efficienza, ed efficacia fin qui usati nella distribuzione organizzata;
- Assicurare la partecipazione e l’accesso dei lavoratori all’organizzazione del lavoro delle imprese, ai bilanci e ai dati sulla base dei quali l’impresa determina il raggiungimento degli obiettivi per l’erogazione dei premi;
- Estendere e rafforzare forme di contrattazione territoriale con meccanismi di redistribuzione di quote della produttività del lavoro
“Non possiamo più accettare che in presenza di una sostanziale stagnazione degli investimenti, più 1,6%, la crescita del margine operativo lordo di molte imprese che si è spinto al 44% e un aumento generalizzato dei profitti, non venga redistribuita la produttività realizzata. Serve ora un protagonismo delle parti e diffusa responsabilità sociale d’impresa nel rispetto del patto costituzionale”, ha concluso il segretario generale UILTuCS Paolo Andreani.