Il velo integrale imposto alle donne o la separazione di uomini e donne negli spazi pubblici spaventano la maggioranza degli italiani: lo rivela il Rapporto Censis 2024 (è il 58esimo) da cui emerge che l’arrivo di persone con culture molto diverse dalla propria rappresenti – ancora- un elemento destabilizzante per i cittadini di nazionalità italiana.
Infatti per il report “il 57,4% degli italiani si sente minacciato da chi vuole radicare nel nostro Paese regole e abitudini contrastanti con lo stile di vita italiano consolidato, come ad esempio la separazione di uomini e donne negli spazi pubblici o il velo integrale islamico”.
Non solo: per il 38,3% degli italiani anche l’ingresso nel Paese dei migranti rappresenta una minaccia. E ancora: il 29,3% prova ostilità per chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale, il 21,8% vede il nemico in chi professa una religione diversa, il 21,5% in chi appartiene a una etnia diversa, il 14,5% in chi ha un diverso colore della pelle, l’11,9% in chi ha un orientamento sessuale diverso. “Se il ceto medio si sfibra, il Paese non è più immune al rischio delle trappole identitarie”: è la motivazione fornita al tenore delle risposte dal Censis.
L’Italia più vulnerabile: poche conoscenze di base nell’istruzione, divorzio tra città e campagne, aumento della spesa per la sanità privata, meno risparmio e difficile reperimento delle figure professionali più richieste
In tema di istruzione, o quella che viene definita “la fabbrica degli ignoranti”, emerge che la mancanza di conoscenze di base “rende i cittadini più disorientati e vulnerabili”. In termini di apprendimento, non raggiungerebbe l’auspicato traguardo per la lingua italiana il 24,5% degli alunni al termine del ciclo di scuola primaria, il 39,9% al terzo anno della scuola media e il 43,5% all’ultimo anno della scuola superiore (dato che negli istituti professionali sale vertiginosamente all’80%).
Sotto la lente anche il “divorzio” tra città e campagne, soprattutto sotto il profilo dei servizi (pubblici e privati): se in media in Italia le famiglie hanno difficoltà a raggiungere una farmacia (13,8%, pari a 3,6 milioni) o per accedere a un Pronto soccorso (50,8%, circa 13 milioni), nel caso dei Comuni fino a duemila abitanti le difficoltà riguardano rispettivamente il 19,8 e il 68,6% dei nuclei famigliari. E, ancora sul welfare, secondo il Censis nel periodo 2013-2023 si è registrato un balzo in avanti del 23% in termini reali della spesa sanitaria privata pro-capite, pari nell’ultimo anno a oltre 44 miliardi di euro.
Il 45,7% delle famiglie dichiara consumi in aumento nel corso del 2024 rispetto all’anno precedente, per il 54,6% i risparmi sono diminuiti, il 36,3% si trova in una situazione analoga a quella dell’anno precedente, il restante 9,1% ha aumentato la quota del risparmio.
Nel 2023, ricorda il 58esimo Rapporto Censis, i consumi delle famiglie avevano registrato una leggera crescita in termini reali, pari al +1% rispetto al 2022, e contribuivano per il 57,3% alla formazione del Pil. Le disuguaglianze tra le famiglie, evidenzia poi il documento, sono evidenti. Il 79,5% dei nuclei famigliari con un basso livello socio-economico segnala una contrazione dei risparmi e solo l’1,4% ha visto un loro aumento, contro rispettivamente il 40,1% e il 16,7% delle famiglie a livello medio-alto.
Nel 2023 la quota di figure professionali di difficile reperimento rispetto ai fabbisogni delle imprese è arrivata al 45,1% del totale delle assunzioni previste (era pari al 21,5% nel 2017). È aumentato soprattutto il peso delle figure difficili da reperire per esiguità dei candidati: dal 9,7% del totale delle assunzioni previste nel 2017 al 28,4% nel 2023. Tra gli under 29 anni, sono di difficile reperimento per esiguità dei candidati il 34,1% delle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione e il 33,3% delle professioni tecniche. Nel 38,9% dei casi non si riescono a trovare giovani che vogliano fare gli artigiani, gli agricoltori o gli operai specializzati. Specialisti e tecnici della salute sono ormai la primula rossa del mercato del lavoro. Il ridotto numero di candidati riguarda ben il 70,7% della domanda di lavoro per infermieri e ostetrici, il 66,8% per i farmacisti e il 64,0% delle posizioni aperte per il personale medico. Ristoratori e albergatori non riescono a trovare soprattutto cuochi (il tasso di irreperibilità per ridotto numero di candidati è salito al 39,1%) e camerieri (35,3%). La carenza di candidati riguarda anche gli idraulici (il 47,7% delle assunzioni previste) e gli elettricisti (40,2%)
“SI E’ ITALIANI SOLO PER DISCENDENZA DIRETTA”
Sulla stessa linea d’onda le risposte ai quesiti sulla cittadinanza. Mentre infatti il dibattito politico si arrovella sui criteri normativi da adottare per regolare la sua acquisizione, il 57,4% degli italiani ritiene che “l’italianità sia cristallizzata e immutabile”, definita dalla discendenza diretta da progenitori italiani, per il 36,4% è connotata dalla fede cattolica, per il 13,7% è addirittura associata a determinati tratti somatici.
In controtendenza, i numeri reali dell’integrazione. Negli ultimi dieci anni infatti sono stati integrati quasi 1,5 milioni di nuovi cittadini italiani, che prima erano stranieri. Così conferma il rapporto Censis, che continua: L’Italia si colloca al primo posto tra tutti i Paesi dell’Unione europea per numero di cittadinanze concesse (213.567 nel 2023). Con un numero molto più alto delle circa 181.000 in Spagna, 166.000 in Germania, 114.000 in Francia, 92.000 in Svezia, le acquisizioni della cittadinanza italiana nel 2022 ammontavano al 21,6% di tutte le acquisizioni registrate nell’Ue (circa un milione). E il nostro Paese è primo anche per il totale cumulato nell’ultimo decennio (+112,2% tra il 2013 e il 2022).
LE CONSIDERAZIONI GENERALI SULL’ITALIA
1. Si torna a ragionare di crescita. Il nodo di come sostenere il progresso
della società italiana non può più essere rinviato. Il Paese ha iniziato
timidamente a considerare la possibilità di assimilare i processi emergenti e
di costruire percorsi di crescita con essi coerenti, perché è emerso il deficit
di padroneggiamento collettivo delle profonde trasformazioni che lo
scorrere della storia impone alla società italiana, nei comportamenti
quotidiani e negli investimenti a medio o a lungo rientro.
Il rischio della progressiva marginalizzazione dell’Italia e dell’Europa ha un timbo: il dover essere umili, seri e disciplinati
. 2. La trasformazione del comparto industriale, condizionata dalla fragilità di
molte filiere globali e dal rallentamento dei principali attori europei, in un
quadro di crescente incertezza internazionale (specie per effetto
dell’aumento dei costi di molte materie prime), apre a processi di
innovazione e di investimento. La spinta a fare impresa dei giovani e delle
famiglie che li sostengono, nei settori tradizionali come in quelli avanzati,
preme su segmenti economici via via più rilevanti. La rafforzata coscienza
sociale della domanda per la tutela dei fragili, delle donne vittime di
sopraffazione e di violenza, degli anziani non autosufficienti, dei poveri,
chiama il volontariato e il mondo eterogeneo del no profit a una profonda
revisione strutturale degli assetti e delle forme della solidarietà non
emergenziale. Non è senza significato che i richiami più alti e più critici
risuonati più volte nell’ultimo anno per mettere in guardia dai rischi di una
progressiva marginalizzazione dell’Italia e dell’Europa abbiano avuto in
comune il timbro del dovere di umiltà, serietà, disciplina.
3. È alto il rischio che, dopo la vigorosa ripresa post-pandemia, peraltro
eccezionalmente sostenuta dall’indebitamento pubblico, le prospettive di
crescita dell’Italia si vadano rapidamente annuvolando. Esiste forse una
contraddizione tra sentire comune e logica, dove il primo afferma il primato
dell’uscita dall’attesa e la seconda l’incapacità, se non l’impossibilità, di
prendere una strada e percorrerla con il necessario vigore e le adeguate
speranze.
L’Italia le ha provate tutte: governi tecnici, dei migliori o di transizione; i governi sovranisti o populisti; la devoluzione e l’autonomia differenziata; l’antipolitica, con miti e speranze della programmazione e delle riforme, ma senza rimuovere le incrostazioni del passato
4. Il paradosso è più politico che sociale. La via di una società
ultrademocratica – “poliarchica”, scriveva il Censis negli anni ’90 del secolo
scorso –, in cui si governa, o almeno si concertano le scelte di governo, con
i grandi soggetti collettivi, non ha funzionato. Dopo tanti anni di
protagonismo politico, le tante forme di autogoverno nei sottosistemi sociali
e territoriali, dei sindacati, delle associazioni di categoria, delle
amministrazioni locali e regionali, sono rimaste come fumo in aria. Allo
stesso modo, non hanno funzionato le ipotesi di un governo per carisma, per
sovrabbondanza di poteri, per esercizio di capipopolo che decidono per tutti
battendo i pugni sul tavolo. In mezzo, le abbiamo provate tutte: i governi
tecnici, dei migliori o di transizione; i governi sovranisti o populisti; la
devoluzione dei poteri e l’autonomia differenziata; l’antipolitica asfaltante.
Si sono alternati miti e speranze della programmazione e delle riforme,
senza rimuovere le incrostazioni del passato. Il corpo sociale, invece, anche
in una società fragile e slabbrata, segue sempre una sua logica e tende a
riportare a regime l’ingovernabile motore della crescita e dello sviluppo.
5. Dentro l’oscillare di continuità e cambiamento, di attesa e di
trasformazione, di cinismo individualista e di coesione collettiva, in una
complessità temporale povera di regole, come sempre il respiro sociale
cerca un proprio ritmo per esercitare le proprie intenzioni. In questo anno
difficile, e dopo un così lungo tempo trascorso nell’attesa, bisogna prendersi
il rischio di andare oltre.
Per più di quindici anni la società italiana è rimasta alla finestra a rimirare l’orizzonte del nuovo scenario mondiale e tecnologico. Il Paese galleggia con meno famiglie e imprese che competono: essere usciti dalla crisi non basta più
6. Dopo anni – ormai più di un quindicennio – in cui la società italiana è
rimasta alla finestra, si affacciano all’orizzonte un nuovo scenario mondiale
e un nuovo scenario tecnologico nei quali le barche non salgono e non
scendono più tutte con la stessa marea.
7. In larghissima maggioranza, gli italiani tuttavia galleggiano, nonostante
tutto e come sempre. Galleggiare abilmente non ci protegge però da una
lunga serie di inconvenienti. Nell’acqua insipida è più difficile restare a
galla: se il fluido nel quale siamo immersi cambia densità, o aumentiamo lo
sforzo o andiamo giù. Se l’acqua via via diminuisce di livello, non
affondiamo ma smettiamo anche di galleggiare e la parte immersa viene alla
luce (e scopre i suoi difetti). Se le distanze tra gli uni e gli altri aumentano,
perché intorno vediamo sempre meno famiglie e imprese che competono,
l’adattamento resta a responsabilità individuale e smette di essere qualità
collettiva, e sempre di meno saranno gli abili al galleggiamento. Fuor di
metafora, sembra si possa dire che è vero che abbiamo resistito bene alle
crisi, ma è venuto il momento di prendere atto che tutto questo non basta
più.
L’Italia meticcia, occidentale e mediterranea, levantina e mediorientale, contadina e cibernetica, poliglotta e dialettale, mondana e plebea, ma non più una società in corsa per lo sviluppo
8. La nostra società è molto più meticcia di quanto si dica, avvezza a
mescolare valori e significati, persone e comportamenti. Un po’ occidentale
e un po’ mediterranea, levantina e mediorientale, contadina e cibernetica,
poliglotta e dialettale, mondana e plebea. Non siamo più una società in corsa
tuonante per lo sviluppo, ma nemmeno siamo diventati un popolo di poveri
diavoli destinati a rimanere miserabili.
9. In questi mesi, le nazioni europee più grandi e avanzate hanno mostrato
molte fragilità in campo economico e sociale, come nell’espressione di
leadership finanziaria, industriale, amministrativa. Ma l’Italia è un Paese
antico, dove però è difficile tratteggiare una identità collettiva. Emerge
l’immagine di un popolo polverizzato e con uno scarso senso della storia,
comunque alla ricerca di una identità collettiva che riassuma in sé la lunga
stagione della competizione delle identità individuali.
Fare politica è un esercizio alto, è l’arte del consenso e
dell’interpretazione dei sentimenti e dei bisogni sociali, eppure, il 2024 lascia l’amaro sapore di una politica giocata sul gusto non di fare, ma di essere politici
10. In un Paese che sente l’affanno del rimettersi in movimento, che rimette
in gioco le sue dimensioni intermedie, che depotenzia le spinte imitative,
che prova a muovere l’acqua non solo per galleggiare e sopravvivere, ma
anche per muoversi in nuove direzioni, resta l’antico vizio di una scarsità di
direzione, di un’assenza di traguardi e di coraggio per affermarli. È faticoso
dare direzione allo sviluppo, immaginare una rotta e seguire una tabella di
navigazione. Fare politica è un esercizio alto, è l’arte del consenso e
dell’interpretazione dei sentimenti e dei bisogni sociali, è un compito
complesso di responsabilità e di immaginazione: significa leggere nel Paese
lo sguardo nel futuro. Eppure, l’anno che si chiude lascia l’amaro sapore di
una politica tutta giocata sul gusto non di fare, ma di essere politici.
11. In una società chiusa, la crescita o non c’è o è drammaticamente lenta.
Lo sviluppo economico, sociale e del benessere personale matura e diviene
concreto nelle società capaci di aprirsi al nuovo, di spezzare il recinto, di
esplorare nuovi confini, di accogliere nuovi innesti, di correre nuovi
pericoli. Quando, viceversa, a ciascun gruppo sociale non sono accessibili
reali possibilità di mobilità, di avanzamento, di promozione individuale, una
società resta intrappolata in sé stessa, si ripiega, aspetta. Una società aperta
porta con sé dei rischi, per le istituzioni collettive e per la vita privata, e, con
i rischi, porta anche preoccupazioni relative alla perdita di sicurezza, alle
limitazioni alla redistribuzione delle rendite, all’ibridazione culturale. È un
rischio che la nostra società non sembra disponibile ad assumersi, ma che,
allo stesso tempo, non può permettersi di non correre, se vuole crescere e
non più galleggiare.