di Piero Di Antonio
— Domani, martedì 21 gennaio, è un giorno importante per molte famiglie: si aprono le iscrizioni scolastiche. Sono obbligatorie online per le prime classi delle elementari, delle medie e delle superiori accedendo, con l’identità digitale, alla piattaforma Unica del Ministero dell’Istruzione e del merito, mentre sono facoltative per le scuole paritarie.
E’ una scelta importante, soprattutto, come vedremo, per le secondarie di secondo grado (licei e istituti professionali), poiché condiziona il futuro di tanti ragazzi. Il ministro Valditara ha anticipato una settimana fa le nuove Indicazioni nazionali dei programmi che saranno definite nel dettaglio a marzo.
Latino alle medie, la Bibbia alle elementari… e via discorrendo. Un elenco di apparenti novità che hanno la pretesa di risolvere i problemi della scuola italiana, nell’illusione di innovarla sebbene con troppi riferimenti al passato. Sulle anticipazioni del ministro è nato un gran dibattito nonostante l’assenza di un testo di riforma.
Si può comunque anticipare un giudizio: le Nuove Indicazioni Nazionali per la scuola, elaborate da una speciale commissione e che entreranno in vigore nell’anno scolastico 2026-27, puntano a una revisione significativa dei programmi scolastici, con un focus rinnovato sulle materie umanistiche e un’attenzione particolare alla storia e alla letteratura italiana.
Ciò che attende migliaia di studenti lo vedremo una volta che la riforma darà indicazioni più precise. Ma un interrogativo si fa strada al momento delle scelte da parte delle famiglie e dei ragazzi: che scuola troveremo davanti?
Se il dilemma è facilmemte risolvibile per chi deve iscriversi alle elementari e alla prima media, non altrettanto si può dire delle superiori. Nel primo caso, infatti, la scelta dei genitori è legata alla comodità della scuola, se vicino o meno a casa, o al buon nome di maestre e insegnanti. Nel caso delle superiori bisogna considerare, invece, un elemento che ha la maggiore rilevanza: la classe sociale della famiglia a cui gli iscritti appartengono.
La costruzione del proprio futuro è importante oltre che strategico per il Paese: non sono però le aspirazioni né le capacità individuali, e tantomeno il tanto decantato merito a orientare una scelto fondamentale, ma il background famigliare e socio-economico, in altre parole il retroterra in cui avviene la formazione psicologica, sociale e culturale di una persona.
Pedagogisti di primo piano non esitano a sostenere che dalle medie in su la scuola perda di efficacia a vantaggio dell’iniquità. Diverse fonti – citate da Cristiano Corsini, docente di Pedagogia sperimentale dell’Università di Roma Tre – convergono nell’indicare come il sistema italiano di istruzione delle superiori sià già estremamente classista e segregazionista. Un apparato a piramide: al vertice il liceo classico, alla base la formazione professionale.
In altre parole un sistema che si basa su ferrei meccanismi di selezione. “Prima della fine della scuola media – scrive Corsini – si impongono scelte che consentono di canalizzare la popolazione studentesca in percorsi che di fatto sono apprezzati in quanto elitari e in percorsi considerati di secondo piano“.
Chi frequenta i licei nel 65 per cento dei casi appartiene a una classe sociale elevata o medio alta, con genitori laureati, mentre il 60 per cento degli studenti che si iscrivono al professionale proviene da famiglie svantaggiate. In buona sostanza con l’iscrizione alla scuola superiore si compie una selezione all’ingresso anziché all’uscita, con il rischio che la scuola del domani sia più povera.
Anzi, sembra che la nuova scuola targata centrodestra sia un’operazione chirurgica per smantellare la scuola pubblica, trasformando le scuole professionali in strumenti per la formazione di lavoratori, non di cittadini. E in questi istituti ci vanno i poveri e gli svantaggiati che non possono aspirare a diventare classe dirigente. L’ascensore sociale così si blocca.
Ma è anche sulle dispute delle Nuove Indicazioni Nazionali che bisogna riflettere. Latino sì, latino no, Bibbia sì. Bibbia No… sembra un derby tra tifosi della curva nord e curva sud. Ma non è mai di per sè l’inserimento di questa o quella materia a garantire lo sviluppo dell’apertura mentale. Non esistono discipline più formative di altre, occorre invece che la scuola invogli ragazzi e ragazze a dare un senso alla realtà. Come tra i banchi ci si innamora di un compagno o di una compagna, può capitare di innamorarsi di certe discipline. “Questo secondo tipo di innamoramento – è la conclusione condivisibile che fa il professor Corsini – avviene quando si realizza che una disciplina arricchisce il nostro sguardo sul mondo. E allora perché non consentire a ragazze e ragazzi fino ai sedici anni di venire a contatto con le “cose belle” che la scuola può condividere con loro?”
Sorge quindi un sospetto: che le “cose belle” della scuola vengano impiegate per canalizzare il futuro, fin dall’età di dodici anni, in percorsi di serie A e percorsi di serie B. Ecco quindi il consiglio, non richiesto ma sincero, a genitori e studenti che si apprestano a fare la scelta delle superiori: trascurate le scuole professionali su cui puntano da sempre le aziende, spacciandole per uffici di collocamente o agenzie di lavoro temporaneo o a chiamata.
Smentite i dati che dicono che la quasi totalità dei ragazzi coinvolti nel fallimento formativo sono figli di genitori con scarse risorse. Date un calcio all’interpretazione della parola “merito” che all’improvviso ci è stata propinata dai nuovi padroni della scuola. Le opportunità dipendono dal luogo dove si nasce e dai soldi dei genitori. Nasce qui la povertà educativa. E’ qui che non arriva mai l’ascensore sociale. Smentite, con lo studio e con la volontà di salire su quell’ascensore, chi ha programmato a partire da domani il vostro futuro.
Ragazzi, per imparare un mestiere c’è sempre tempo.