Il garante della privacy italiano ha multato di oltre 400mila euro il comune di Roma e l’agenzia municipalizzata dei cimiteri per la pratica, ormai abbandonata, di apporre il nome della madre sulle tombe dei feti abortiti.
La questione è emersa nel 2020, quando un gruppo di donne che avevano interrotto le loro gravidanze ha trovato targhe con i loro nomi su un luogo di sepoltura al cimitero Flaminio-Prima Porta di Roma. (Foto da internet)
Alcune di loro hanno presentato denunce giudiziarie, sostenendo che la pratica violava il loro diritto alla privacy, e hanno avviato indagini sui fatti. E’ quanto riferisce sul suo sito l’agenzia Reuters in una corrispondenza da Roma firmata da Angelo Amante e Alvise Armellini.
Costa caro, quindi, al comune di Roma e ad Ama, la vicenda dei dati delle donne esposti sulle targhette delle sepolture dei feti al Cimitero Flaminio, di cui tanto si è scritto nell’ottobre 2020. In particolare il Garante ha sanzionato per 176mila euro Roma Capitale e 239mila per la municipalizzata.
La decisione è motivata dal fatto che per il Garante non solo i dati sull’interruzione di gravidanza rientrano tra quelli relativi alla salute, e dei quali è quindi vietata la diffusione, ma la legge 194 del 1978 prevede un rigoroso regime di riservatezza quando una donna decida di abortire.
Oltre alla sanzione per il Comune e per la municipalizzata che gestisce i servizi cimiteriali, il Garante ha anche deciso di ammonire la Asl Roma 1 che aveva trasmesso la documentazione con i dati identificativi delle donne, informazioni che poi erano state riportate negli appositi registri e sulle croci, e questo nonostante la normativa in materia preveda che i dati da indicati nel cippo di una tomba debbano essere quelli relativi al defunto, e non altri.
Il Garante ha dunque rilevato l’illiceità nel trattamento dei dati personali effettuato dalla Asl. Perciò viene anche ordinato all’azienda sanitaria di non riportare più “in chiaro” le generalità sui vari documenti necessari.
Il Garante indica inoltre alla Asl il modo per far sì che non sia possibile risalire in maniera diretta all’identità della donna da quella del feto sepolto: oscuramento dei dati identificativi, uso di pseudonimi, cifratura dei dati. Ma spetterà comunque alla stessa ASL adottare le misure in questione e poi a comunicarle al Garante.