giovedì 24 Ottobre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

Miliardi di extraprofitti senza briciole

Ricchi sempre più ricchi e gli altri ancora in attesa che le briciole della ricchezza – secondo le tesi tanto care a Reagan, alla Thatcher, a Trump e ai parecchi Briatori di casa nostra – cadano dal tavolo e risolvano una volta per tutte questa enorme scocciatura che è la povertà. E’ quel che ci dicono i dati diffusi dalle ong Oxfam e Action Aid basati sulle classifiche delle imprese mondiali di Forbes.

La dura realtà dei numeri ci conferma ancora una volta che il mondo del laissez faire laissez passer vede ancora una volta vincitori i grandi agglomerati industriali e finanziari con guadagni spaziali.

Basandosi sulle analisi di Forbes, la rivista che ama studiare i bilanci delle aziende e multinazionali e poi organizzare le Olimpiadi dei più danarosi e potenti, le organizzazioni Oxfam e Action Aid ci fanno sapere che negli ultimi due anni (2021 e 2022) 722 tra le più grandi imprese del mondo hanno realizzato, in media, “quasi 1.000 miliardi di dollari di extraprofitti all’anno”, duemila miliardi nel biennio.

Un colpo sensazionale, ben assestato, soprattutto se si pensa “che i prezzi dei beni di consumo, del cibo e dell’energia schizzavano alle stelle assieme ai tassi di interesse con un impatto devastante sul costo della vita per miliardi di persone in tutto il mondo”.

Negli specifici settori dell’economia abbiamo:

45 società energetiche che hanno realizzato in media nel biennio 2021-2022, 237 miliardi di dollari all’anno di profitti in eccesso, cioè oltre i normali guadagni nei bilanci storici. Se i governi avessero tassato al 90 per cento gli extraprofitti realizzati nel settore dei combustili fossili e riversati ai ricchi azionisti, avrebbero avuto risorse sufficienti per aumentare del 31% gli investimenti globali in energia prodotta da fonti rinnovabili”.

Invece, oggi nel mondo ci sono 96 miliardari che hanno costruito le proprie fortune grazie ai combustibili fossili e possono vantare un patrimonio complessivo di quasi 432 miliardi di dollari (50 miliardi in più rispetto all’aprile dello scorso anno).

Le multinazionali del comparto alimentare, le banche, le maggiori aziende farmaceutiche e i principali rivenditori al dettaglio hanno visto migliorare le proprie posizioni durante la crisi inflattiva, che ha visto portate alla fame 250 milioni di persone in 58 Paesi, spiegano ancora Oxfam e ActionAid.

Nel settore alimentare 18 colossi hanno realizzato in media oltre 14 miliardi di dollari all’anno di extraprofitti. Una cifra equivalente “a oltre due volte il finanziamento di 6,4 miliardi di dollari indispensabile per fronteggiare la crisi alimentare che in Africa orientale – tra Etiopia, Kenya, Somalia e Sud Sudan – rischia di far morire per fame 1 persona ogni 28 secondi nei prossimi mesi, a fronte anche del drastico aumento, di oltre il 14%, dei prezzi dei prodotti alimentari.

Nel comparto farmaceutico 28 grandi imprese hanno totalizzato 47 miliardi di dollari all’anno di extraprofitti;

42 grandi rivenditori al dettaglio e le catene di supermercati hanno registrato utili in eccesso per 28 miliardi di dollari all’anno, in media.

Le nove tra le più grandi società del settore aerospaziale e della difesa hanno realizzato 8 miliardi di dollari all’anno di profitti in eccesso in media mentre 9.000 persone muoiono ogni giorno di fame, in gran parte a causa di conflitti e guerre.

Forbes. Ma se i poveri continuano a piangere e a lamentarsi, i ricchi non smettono di sorridere. La famosa classifica di Forbes, ovvero il torneo a suon di fatturato e valori azionari tra ricchi e capitani d’industria ci dice parecchie cose.

Per la prima volta Berkshire Hathaway è la più grande società quotata al mondo. E’ la holding di Warren Buffett (nella foto da internet) che ha scavalcato la Industrial and Commercial Bank of China al primo posto della classifica Forbes Global 2000. La banca cinese, in testa nelle ultime nove edizioni, è seconda, davanti alla Saudi Arabian Oil Company (Saudi Aramco), che pochi giorni fa è tornata a essere la società più capitalizzata al mondo.

La classifica comprende aziende di 58 paesi. Gli Stati Uniti sono i più rappresentati, con 590 società. Seguono Cina (297, o 351 se si considerano anche le 54 di Hong Kong) e il Giappone (196). Il Regno Unito, sesto, è il paese europeo con più aziende in classifica (57), davanti a Francia (54) e Germania (52). La classifica viene stilata in base a quattro parametri: fatturato, utili, asset e capitalizzazione di mercato. Berkshire Hathaway ha conquistato il primo posto con un fatturato di 276 miliardi di dollari, 90 miliardi di utili, asset per 959 miliardi e una valutazione di mercato di 741 miliardi.

Le prime nove posizioni, a eccezione di Saudi Aramco, sono occupate da Stati Uniti e Cina. Al quarto posto c’è JPMorgan Chase, che precede China Construction Bank e le due principali aziende tecnologiche al mondo: Amazon e Apple. Seguono quindi altre due banche: la Agricultural Bank of China e la Bank of America. Le prime dieci posizioni sono completate da Toyota.

La lista delle più grandi aziende compie vent’anni. L’economia è cambiata radicalmente in questo periodo di tempo e con lei le realtà che occupano i primi posti del ranking. Un cambiamento che dimostra come si siano evoluti i rapporti di forza nell’economia mondiale.

Le aziende presenti in classifica rappresentano 50.800 miliardi di dollari di vendite, 4.400 miliardi di profitti, 231.000 miliardi di asset e 74.000 miliardi di valore di mercato. Tutti i parametri sono in leggero calo rispetto alla lista del 2022, ma per la prima volta il fatturato totale supera i 50.000 miliardi di dollari. In classifica sono rappresentati 58 Paesi: gli Stati Uniti sono la nazione che conta più aziende, 611, seguiti dalla Cina, con 346 imprese.

Le aziende italiane presenti in classifica sono 28. La prima, in 81esima posizione, è Eni. A farla da padrona sono soprattutto le banche: sono dieci infatti gli istituti di credito del nostro Paese inseriti nella lista, da Intesa (in 113esima posizione) alla Banca Popolare di Sondrio (1.799). Deludono invece i marchi storici che caratterizzano l’eccellenza italiana nel mondo, come Ferrari solo 1.125esima e Prada 1.867esima.

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