lunedì 25 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

Hugo, cocktail di amicizia e legami, con una spruzzata di stupore

di Sara Di Antonio

E ora vorrei parlarvi dell’amicizia, o dello hugo. Si tratta di un cocktail di quelli che ci invidiano all’estero, solo che all’estero proprio non lo conoscono.

Pare che ci sia un ingrediente unico, speciale, un tipo di vino che è consueto solo dalle parti del lago di Garda, dunque in Lombardia o in Veneto, che è un po’ l’Alta Italia, come diceva mia nonna, o un’altra Italia, come dico io.

Qualcosa (ma non sappiamo cosa) lo rende amaro, meno amabile, un po’ speciale, a chi abbia davvero gusto, a chi pensa che il tempo passato a degustare cose anche liquide non sia sprecato, di questi tempi.

Altrove proprio non lo conoscono, anche perché un giorno mia sorella – ricordo che eravamo ad Alba, e il mare era mosso, nervoso, noi attendevano qualcuno, il resto della famiglia ad esempio – provò a ordinarlo, ma nessuno sapeva come fosse fatto, quali fossero gli ingredienti principali; erano tutti smarriti, furiosi, come il mare là fuori, e lei rispose un poco delusa che comunque non importava, che comunque non era il caso.

Provo a elencarveli io, gli ingredienti di base: l’amicizia, il legame profondo, che senti con una persona quanto ti chiama, ti racconta che ha ricevuto una brutta notizia, una malattia, un dolore, un’evenienza inaspettata. Poi, accanto al vino, la vostra reazione, che è quella della rabbia (ricordate? Tutte le fasi dell’elaborazione del lutto, lo avete senz’altro visto in qualche film) e poi di tutte fino all’accettazione, quieta, quasi bovina, del dolore.

In maniera asettica, impalpabile (perché amate molto quella persona, non è vero?) rispondete che sì, ci sarete e ci siete, e che volete istruzioni su cosa come comportarvi, di cosa c’è bisogno e quando, perché voi ci sarete, eccome. Poi la stessa persona vi incontra, e il peggio è passato, del resto lo hugo prevede frutta fresca, e non aspra, al suo interno.

Voi guardate chi amate, e prendete un limone (verde, o giallo, non importa), e lo spremete, ne succhiate il nerbo, e nel frattempo ringraziate la vita, Dio, per avervi concesso di poterne riderne, di essere qui, il vento tra i capelli, a poterne parlare, come si dice. Ridete, vi guardate intorno, vi sentite dei privilegiati – o forse dei sommersi o dei salvati, come disse un grande autore – e di colpo, altro ingrediente, lo stupore; e la sera sembra più mite, serena, sembra quasi di potere capire anche l’arabo, o l’urdu, del nostro vicino di fianco, o di fronte, nella splendente via Secchi.

Chi ci ama – un altro lontano da qui, finalmente rientrato – ci domanda impaziente quando arriveremo, quando partiremo, quando potremo abbracciarci; ma davvero per noi il peggio è passato (sono tanti i punti, ci dicono, ma la ferita è davvero rimarginata), e allora corriamo un po’ stordite, sollevate, verso casa, perché il verde della menta ci ha ricordato che di questa vita ce n’è una, non un’abbondanza, dopo tutto, e che sopravvivere è già qualcosa di grande di cui non possiamo che essere infinitamente grati.

E quindi, questo hugo, lo avete già terminato nel bicchiere – comunque molto dolce, nulla di paragonabile a un bicchiere di Sancerre, ad esempio – e tirate fuori le chiavi, dlin dlin, aprite la porta, e davvero il peggio è passato, anche stavolta, forse.

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