NEGLI ultimi mesi nelle redazioni dei giornali stanno avvenendo cose inimmaginabili. L’avvento del gruppo Gedi, ex Fiat, in quello che era un sistema informativo ed editoriale di prim’ordine sta sconvolgendo le redazioni e le relazioni tra colleghi. La premessa è doverosa visto che l’ultimo espisodio riguarda La Stampa di Torino (nella foto, la redazione), per decenni il braccio giornalistico del potere della Fiat e degli Agnelli.
Con la conquista della Repubblica e di altri giornali locali di grande prestigio e tradizioni (quando li nominavi i soloni al calduccio di ben remunerate poltrone storcevano il naso), il colosso torinese ha messo in risalto una verità che è sempre stata sottaciuta: un conto è confezionare un giornale con alle spalle un colosso come il Lingotto, un conto è allargarsi e dimostrare di avere le capacità di competere sul mercato dell’editoria, dove i principali azionisti non sono più i padroni in senso classico, ovvero coloro che detengono i pacchetti di maggioranza, ma i lettori.
Cosa che Maurizio Molinari, direttore della Repubblica, non sembra aver mai afferrato: di quel giornale non sa che fare, o meglio sa che cosa fare per compiacere John, il suo padrone (lui sì che non sa che fare), ma quanto a pubblicare un quotidiano di successo ce ne corre.
Al direttore di Repubblica non possono essere perdonati i tratti cafoneschi mostrati fin dai primi giorni dell’avvento di Gedi dai suoi dirigenti nel licenziamento di alcuni colleghi, avvertiti dall’oggi al domani del cambio di direzione. Atteggiamenti da padroni delle ferriere e non da illuminati intellettuali come vorrebbero apparire. Chiedere ai silenziosi giornalisti della Repubblica che cosa stia avvenendo nel giornale, in privato, te ne raccontano di tutti i colori. Qui bisognerebbe ricorrere a Ennio Flaiano: evidentemente l’insuccesso gli ha dato alla testa.
Dicevamo del nuovo problema, La Stampa, il giornale capofila. Il comitato di redazione ci va duro: “Sembra una nave alla deriva, non quel vascello corsaro agile e veloce che il direttore Giannini aveva promesso al suo arrivo, infondendo nuovamente speranza, determinazione, impegno”. Ecco la spiegazione: “Settori e redazioni sguarniti, colleghi usati come tappabuchi, mancanza di organizzazione, caos sistematico nelle chiusure, arroganza o indifferenza nei rapporti umani, professionali e sindacali non sono più tollerabili”.
“Qualsiasi nuova iniziativa, riorganizzazione, accordo (prepensionamento, master…) non potrà prescindere da un immediato cambio di rotta della direzione per ristabilire la necessaria fiducia e corrette relazioni sindacali e redazionali”. Nel comunicato si scrive che “la misura è colma” e “il clima in redazione è pessimo”.
L’ultimo episodio: una redazione (“Settore Sinergiche”) della Stampa si occupava tutti i giorni di preparare le pagine nazionali per i giornali locali del gruppo; quella redazione è stata chiusa e il servizio è stato appaltato all’Ansa. “Imbarazzante e inaccettabile -secondo il Cdr- il modo con cui sono stati trattati i colleghi del settore. Questo passaggio, annunciato da mesi, è come al solito arrivato a tempo scaduto, nella totale disorganizzazione e senza il minimo rispetto personale e professionale nei confronti dei colleghi. Più volte, anche di fronte all’azienda, il direttore aveva dichiarato che avrebbe sentito i colleghi per valutare insieme a loro aspirazioni e prospettive dopo la chiusura del settore. Tutto ciò non è avvenuto. L’ordine di servizio è arrivato solo dopo che il settore ha ricevuto un timone dell’Ansa con delle pagine proposte. Qui non siamo all’1 vale 1, siamo al voi valete Zero”.
(Il resoconto del comunicato del Cdr della Stampa da Professione Reporter)
Su questi problemi, l’assemblea dei redattori della Stampa ha autorizzato il cdr a proclamare 5 giornate di sciopero.
Leggo “La Stampa? ‘Una nave alla deriva. Caro Giannini, misura colma, clima pessimo’”. Che delusione e che rabbia produce questo squarcio di verità su una testata storica che non merita un tale procurato declino.
È un linguaggio che colpisce quello del Cdr, perché rivela una redazione ferita più che incazzata. Una redazione che ci ha creduto ed è stata ingannata. Una redazione che ce la mette tutta, ma riceve solo porte in faccia.
La parabola verso l’abisso del Gruppo Gedi appare ormai irreversibile e quel che più impressiona è che tutto ciò accade per mano anche di autorevoli colleghi, che pure abbiamo stimato e riverito, e che oggi invece si fanno braccio armato di una proprietà editrice ormai senza più scrupoli.
È un giorno triste per i giornalisti de La Stampa, ma anche per il giornalismo italiano.
Gianni Giovannetti
g.giov2011@gmail.com