Che cosa c’entra, vi chiederete tra poco, il New York World con le vicende che dovrebbero animare la nostra politica e le nostre scelte? In apparenza non molto, anzi nulla, ma pur sempre in apparenza. Scuse doverose se si vola un po’ alto con questa premessa: la storia del grande giornale americano ci consegna prestigio e coraggio; le vicende italiane scarso coraggio e poco prestigio.
Sono due facce di una medaglia coniata in epoche diverse ma che il tempo non ha affatto usurato anche se la seconda è oggi, purtroppo, quella predominante.
Quel che è mutato in profondità nella nostra società è l’insorgere e l’affermarsi di una nuova classe che definire maggioritaria è poco: un tempo c’era l’aristocrazia, poi sopravvenne la borghesia, poi i populisti, poi i sovranisti e, da buon ultimi, i nuovi protagonisti dei tempi moderni: gli indifferenti.
Quest’ultimi non sono altro che il risultato dell’azione dei primi. Sono diventati predominanti, vincenti, non scalfibili. Non è l’astensionismo elettorale il male italiano, bensì la sottostante indifferenza. Perché questo è il risultato che volevano i padroni del carro, a questo volevano portarci. A far scorrere tranquillamente l’acqua degli eventi, a creare l’atmosfera giusta per l’affermarsi di teorie strampalate ma funzionali agli interessi e ai desiderata di chi il carro lo guida e lo indirizza dove vuole. E i princìpi? Servono ancora?
Non si invoglia a studiare e a valutare gli eventi e le decisioni, ma ad accettarli perché ce lo dice dai vari pulpiti editoriali il tal dei tali, il tal professore, il tale esperto, il tale giornalista. E se ce lo dice chi ha curriculum e competenze che senso ha andare a confutare i fatti? Mi fido, mi conviene, così risparmio tempo. Altrimenti, come si giustifica il fatto che ricchi e potenti imprenditori facciano a gara per accaparrarsi giornali e tv, giornalisti compresi? Vogliono acquistare anche le coscienze, modellarle.
La nuova classe degli indifferenti è la creatura moderna e raffinata di un sistema che ha magagne poco visibili, ma che hanno corrotto dall’interno il frutto della conoscenza e della consapevolezza, dell’impegno e della sobrietà, del coinvolgimento nella vita pubblica e del rigetto delle tante idee sconclusionate gettate nell’agone per confondere, per dare coraggio ai militanti e ai supporter, per infangare l’avversario, per far sì che sia difficile distinguere le cose per quello che sono davvero, riconoscere il falso dal vero, distinguere il buono dal cattivo, riconoscere il colore dei gatti al buio.
Il moderno sistema dell’informazione ha come compito principale far calare il buio, evitare che la luce possa entrare in qualche crepa. Tutto dev’essere funzionale al consumo del futile ma estremamente utile ai fini elettorali e delle convinzioni sottostanti.
Ma torniamo al New York World. Quando Joseph Pulitzer acquistò il declinante foglio di notizie banali e tranquillizzanti impose ai suoi giornalisti un metodo di lavoro che i “nemici” alla Hearst definirono subito “populistico”.
Sentivano già il fiato sul collo. Ne avevano ben donde. Perché la rivoluzione di Pulitzer ebbe un successo clamoroso: il Nyw divenne il primo giornale degli Stati Uniti. Siamo agli inizi del 1900. Ne furono esempi illuminanti i reportage sulle condizioni degli immigrati e dei lavoratori più umili, sulle critiche al governo, sui comportamenti delle classi dirigenti e dominanti. E non si parli di un nascente socialismo. Erano i bisogni e la vita dura dei tempi a spingere il giornale in quella direzione.
Per impedire il pagamento di un esoso pedaggio sul ponte Verrazano (una sola Z per non italianizzare troppo il nome), Pulitzer condusse una grintosa, coraggiosa ed efficace campagna di stampa con una motivazione che all’epoca fece parecchio scandalo: quella somma da pagare era un insulto a migliaia di lavoratori che dopo una giornata in fabbrica venivano taglieggiati di un pedaggio. Vinse Pulitzer.
Da quel momento il Nyw divenne il giornale dei lettori, grazie anche a coraggiose innovazioni tecniche e di stampa. Aveva creato un legame, sulla base dei fatti, con i suoi lettori. Non aveva spento la luce sulle notizie, ma le aveva messe sotto la lampada dei suoi giornalisti e delle sue pagine. Non aveva trattato i lettori da cittadini di serie B, che avrebbero continuato ad attraversare il ponte delle meraviglie pagando il pedaggio, ma da veri azionisti e padroni del giornale.
E oggi, in Italia? Metà della popolazione ha issato bandiera bianca, si è arresa alla generalizzazione dei fatti, iscrivendosi al club degli indifferenti. Esempi. A iosa. Si parla del cambiamento climatico come il generico responsabile delle tragedie sul territorio.
“Ah, sto maledetto clima che fa le bizze?” Si sente ripetere. E nessuno che con documentato coraggio ci ricordi di paesi e città senza piani regolari, alle mercé di abusivi e mafiosi, di speculatori del territorio e di imprenditori senza scrupoli. Ci sono enormi agglomerati urbani abusivi, addirittura sulle falde di un vulcano, e tutto viene lasciato scorrere. E la politica della demolizione? Ce la siamo scordata?
Si parla il giorno dopo di danni, mai con i nomi e cognomi di chi a quei danni ha aperto colpevolmente le porte. Si è costruito dove non si doveva. La colpa non è del clima, questo clima lo abbiamo cambiato noi e continuiamo a farlo.
E l’economia, piccola e grande? Cinici operatori del turismo non rispettano le minime regole e fanno a gara nello spellare il malcapitato. Sui giornali e in tv vengono riportate, con sommo scandalo, le notizie, mai però nomi e cognomi dei protagonisti. Ci sono truffe e raggiri? Tutto generico, mai descritto con completezza.
Ah, e voi giornalisti? Vil razza dannata. E no, cari amici: nomi e cognomi, per favore, perché non a tutti fa piacere essere accomunati a certi feroci maggiordomi dell’informazione in perenne servizio su tv e giornali.
L’evasore gira in Porsche e Ferrari? Tutti lo vedono, ma nessun sindaco, come avveniva un tempo, lo segnala al Fisco. Primo comandamento, vivere in pace con tutti, anche con coloro che dichiarano ogni giorno guerra a una giusta convivenza. Prima o poi la politica dovrà fare i conti con gli effetti deflagranti della classe degli indifferenti.
Si affacciano sulla scena sociale ignoranti di ogni tipo, perfino in politica, generali e reggicoda razzisti che pubblicano sciocchezze e che hanno la sfacciataggine di ergersi a perseguitati e vittime alla Giordano Bruno. La libertà di espressione viene artatamente confusa con la libertà di offendere e insultare le minoranze, le persone fragili o con la pelle scura. Di arrogarsi il diritto di decidere chi è italiano e chi no per una certa legge sul sangue che non ci ha risparmiato il dover sopportare ignoranti e prepotenti.
E i ragazzi che non sanno ammucchiare dieci parole per una frase di senso e costrutto? Generazioni che procedono a slogan, che non vivono nelle città, ma che emigrano nell’infinito web in una gara di noiose e insignificante sfide e performance che sottintendono il nulla.
Sotto lo sguardo impotente di famiglie che consegnano figli e figlie nelle mani di chi poi li saprà manipolare per i propri fini. “Non ti occupare dei problemi – sembrano dire – lo facciano noi al posto tuo” La classe degli indifferenti è nata da queste distrazioni e dai nostri abbagli. E di ciò anche noi dobbiamo sentirci colpevoli.
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