venerdì 22 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

“Con mio figlio a Lampedusa, una frontiera stanca del dolore”

Eh sì, c’è anche chi guarda a quella moltitudine di disperati che arriva tra stenti e pericoli a Lampedusa con occhi diversi, occhi che noi da tempo abbiamo chiuso per non dover assistere al tramonto dell’umanità, alla vittoria delle ragioni delle persone tranquille e appagate che mal sopportano il fastidio di vedere presentarsi l’altra faccia della medaglia del vivere: la povertà, il non avere nulla che cerca l’avere qualcosa.

Su Facebook, Irebe Gubbiotti, ha scritto un post commovente, profondo come quelle acque in cui affondano, purtroppo anche a poche centinaia di metri dalla costa, i barconi con sopra donne incinte, bambini, ragazzi, ovvero l’umanità dolente e disperata, rapinata nei secoli e che non trova mai parole di accoglienza e conforto o un gesto di solidarietà se non in coloro che, a dispetto di feroci e interessati titoli sui giornali, sono quelle persone di buona volontà che fanno grande e civile un Paese. Irene ha voluto far vedere al figlio, per educarlo alla vita, la realtà di Lampedusa, dei barconi, di gente che non ha nulla. Un testo ammirevole, eccolo.

LAMPEDUSA, IL PENSIERO DI UNA MADRE
di Irene Gubbiotti

da Facebook

Ho pensato molto se scrivere o no questo post, d’altronde i social sono diventati una carneficina di odio che qualsiasi confronto diventa impossibile. Alla fine scrivo per due motivi: il primo, l’amore vero che ho per Lampedusa da sempre, pur essendoci stata fisicamente solo quest’anno; il secondo, perché sono parte del genere umano e ogni situazione umana mi riguarda.

Non abbiamo mai interpretato il nostro soggiorno a Lampedusa come una vacanza, ma come un viaggio, in nome del suo essere per forza di cose una FRONTIERA, un luogo che da secoli è avamposto d’Europa e vanta (perché tale è, un vanto), una commistione di etnie. Ho insegnato a mio figlio dodicenne che un conto è arrivare a Lampedusa da Nord, un conto è arrivarci da Sud

Durante il giro in barca, ho mostrato a mio figlio i migranti che salivano sulla Galaxy diretti ad Agrigento e gli ho mostrato le carcasse delle barche sugli scogli: non riuscivamo a credere, vedendo le dimensioni dal vivo, che quelle avessero potuto contenere così tante persone.

Lampedusa non è stanca di essere frontiera, è stanca del dolore e di essere lasciata sola con quel dolore. Ieri è morta una bambina di 5 mesi, Cristo santo, e c’è gente che ancora vuole assicurarsi che “non si vede nulla”. Se scegliete Lampedusa, scegliete anche il suo dolore, scegliete quei pescatori che a ottobre 2013 salvarono vite e aprirono le loro case: dieci anni sono passati e con che cosa ripaghiamo questa terra? Con l’assicurarci che “non si vede nulla”.

Se un giorno non si vedrà nulla, io non andrò più a Lampedusa: perché questa terra mi ha insegnato a farmi carico dell’umanità, a non poter essere indifferente perché sta lì, nel mezzo, tra le grida di aiuto e non si fa sorda. Se non siete pronti a condividere il suo dolore, la stanchezza di assistere alla morte, allora non andate. Perché Lampedusa non potrà mai smettere di essere frontiera e non potrà mai smettere di insegnare ai bambini che ospiterà ad essere Uomini.

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