di Piero Di Antonio
— Detroit (Michigan), agosto 2023: “Come sindacato, dobbiamo portare avanti la battaglia per la giustizia economica – non solo per noi stessi ma per l’intera classe lavoratrice”. Shawn Fain, presidente della UAW, il più importante sindacato americano del settore automobilistico all’indomani della proclamazione a larghissima maggioranza degli scioperi contro le tre big dell’automotive – Ford , General Motors e Stellantis.
Detroit, settembre 2023: “Non dobbiamo scioperare solo per i nostri associati, ma per la classe operaia mondiale”. La nuova lotta di classe di Shawn Fain durante gli scioperi.
Contea di Wayne, 40 chilometri da Detroit, ieri: “Le aziende automobilistiche hanno avuto un periodo di difficoltà, ma poi si sono riprese e ora devono darvi un aumento significativo”. Joe Biden visita il picchetto di lavoratori, accolto dallo stesso Fain (insieme nella foto tratta dalla Cnn). Altro che salario minimo: qui volano richieste di aumenti del 20-25 per cento degli stipendi. Le tre Big offrono di meno. “Non se ne parla neanche” replicano i lavoratori.
Biden ha fatto una scelta di campo, forse fiutando l’aria che sta cambiando. In Italia si assiste al tira e molla sugli extraprofitti delle banche, delle aziende farmaceutiche, delle assicurazioni e dell’energia. Poverette… si sentono tartassate, mentre azionisti e top manager gonfiano le tasche di euro pur non avendo mosso un dito per arrivare a bilanci record. “Più che il talento potè la pandemia” si potrebbe dire.
Che cosa sta succedendo in America, ovvero nella patria degli ultraliberisti, del suprematismo anche economico che a sentir parlare di sindacati e di “comunisti” mette subito mano alla pistola? E che dire dei sindacati, non immuni dalla corruzione, che firmavano accordi con i padroni? E di quei sindacalisti della stessa UAW che accettavano mazzette? 3,5 milioni di dollari, per l’esattezza, dalla ex Fiat che ha dovuto ammettere tutto con l’aggiunta di una multa di 30 milioni di dollari. Guai a farti scoprire, però, non te la fanno passare liscia. Vale per i capitalisti e per i sindacati. In America fanno così.
Oggi sta avvenendo qualcosa di impensabile: in Usa è forse sbarcata la lotta di classe? Per adesso si ha un anticipo nel Michigan, lo Stato che fece vincere Trump, che quattro anni dopo consegnò la rivincita ai democratrici e che, per ora, si limita a dare una lezione di organizzazione sindacale alla sonnacchiosa Europa.
Che altro sono quelle parole del capo UAW e quella visita, mai vista prima, del presidente al picchetto di operai in sciopero, se non le avvisaglie di una società che sta cambiando e che alla lunga deciderà il destino dell’America e di coloro che aspirano a tornare alla Casa Bianca? Trump, con il suo carico di processi e che oggi sarà in Michigan, ma Fain non lo incontrerà (della serie “con la Destra non si parla nemmeno”), e Biden con il suo carico di anni e il bisogno di ridurre lo svantaggio da Trump che gli assegnano i sondaggi, 9 punti
L’affermazione del nuovo sindacato viene da lontano, dall’agosto di due anni fa quando i lavoratori degli stabilimenti delle cosiddette Big Three assegnarono ai loro rappresentanti un plebiscitario 97% di voti per dare avvio agli scioperi per il rinnovo del contratto di lavoro.
I media statunitensi segnalarono subito il cambio di strategia sindacale con il suo nuovo leader, Shawn Fain, e l’approccio più assertivo che hanno rotto la tradizionale contrattazione all’americana, quando i vertici dell’UAW e i manager discutevano amichevolmente e alla fine si stringevano la manio.
Ai giornalisti che hanno chiesto il perché di questo cambio di atteggiamento e di una campagna a tappeto per il contratto, Fain ha risposto che stringerà la mano alla controparte “quando i nostri lavoratori avranno la giustizia economica”. Fino a quel momento, non se ne parla nemmeno. E per far capire che era deciso butta nel cestino della carta le proposte fatte dalle aziende, dicendo che le stava rimettendo al loro posto. Il tutto filmato in un video. Per la precisione, la proposta cestinata era quella avanzata da Stellantis, che comprende i marchi Chrysler, Peugeot, Citroen e Fiat.
Ma chi è Fain? E’ stato eletto con i voti della “corrente” progressista Unite All Workers for Democracy con una piattaforma contro la corruzione, le concessioni ed il sistema dei tier, rompendo la regola del partito unico che durava da 70 anni nel sindacato automobilistico.
Secondo quanto riporta Luis Feliz Leon, in un’inchiesta di Jacobin Magazine (rivista vicina al socialista Bernie Sanders), la nuova leadership ha spinto i lavoratori ad organizzarsi in ogni stabilimento, pubblicizzare la vertenza, organizzare manifestazioni nei parcheggi, fare pratica dei picchetti, vedersi sul posto di lavoro con gli altri lavoratori. In buona sostanza Fain ha introdotto un sindacalismo più militante.
IL DECLINO DELL’ARISTOCRAZIA DELL’AUTO
Per molto tempo in America avere un lavoro nel settore dell’auto, in un’azienda che ammetteva la presenza del sindacato, ha significato avere buoni stipendi e stabilità. Nonni e padri degli attuali operai sindacalizzati se lo ricordano bene. L’aristocrazia operaia del settore automobilistico statunitense si considerava, non a torto, quasi middle class per gli standard di vita che aveva nel tempo acquisito.
Ma non è più così. E le condizioni dei lavoratori del settore – considerati “essenziali” durante la pandemia – non sono migliorate, anzi. Un lavoratore ha detto: «Se vai a lavorare per Ford ora, puoi guadagnare di più da McDonalds o White Castle». Molti lavoratori sono costretti a fare un secondo lavoro, magari part-time, per andare avanti.
Un altro lavoratore intervistato in un’inchiesta di Jacobin ha fatto questo esempio: «Mia madre è andata in pensione dalla Ford nel 2004, e la sua top pay era di 28 dollari all’ora. La nostra paga massima è di 31,77. Così in vent’anni, il livello di paga più alto è aumentato di appena 4 dollari». Con un’inflazione alle stelle, i salari non sono stati più adeguati al costo della vita. Un problema che prima non sussisteva perché il contratto collettivo della UAW prevedeva un adeguamento in busta paga, il cosiddetto COLA, acronimo che sta per cost-of-living adsjustments (adeguamento al costo della vita). Insomma, la scala mobile, inopinatamente abolita in Italia con un referendum.
I lavoratori della General Motors l’avevano ottenuto nel 1948, e negli Anni Settanta la UAW era riuscita ad estenderla a tutti i suoi iscritti. Quando l’industria dell’auto era sul punto del collasso, nel 2008, il sindacato rinunciò a questo meccanismo affinché il settore potesse riprendersi, con la promessa che sarebbe stato ripristinato quando le industrie automobilistiche avessero risalito la china.
Ma non è stato così. E non è stata l’unica concessione “a vuoto” fatta nel tempo. Le Big Three, insieme, nei primi sei mesi di quest’anno hanno realizzato 20 miliardi di dollari di profitti. 250 negli ultimi dieci anni, secondo il sito Labor Notes. E Fain, in diretta social ha galvanizzato i propri iscritti con una frase che è tutto un programma: “Profitti da record significano contratti da record”.
«Ho fatto sacrifici affinché la Ford possa continuare ad assumere persone a 16 dollari all’ora?», si è chiesto un vecchio membro del sindacato. I lavoratori assunti prima del 2009, finita la loro attività lavorativa, avevano diritto a pensione e cure sanitarie, e raggiungevano il massimo della paga in 3 anni. Ora i tempi si sono estremamente dilatati: «Mi ci sono voluti 9 anni e mezzo per prendere la paga più alta», senza garanzie per una pensione e senza assenza sanitaria.
Il risultato è stato deleterio anche per il sindacato, perché vi sono operai che fanno lo stesso lavoro con paghe e standard differenti. L’altro problema è quello dell’uso discrezionale dei contratti a tempo, per cui i temp workers in realtà lavorano ad orario pieno.Una delle altre richieste principali è assicurarsi che la transizione all’auto elettrica non venga usata per minare ulteriormente le condizioni dei lavoratori.
I contenuti delle rivendicazioni dei workers e il modo in cui vengono portate avanti stanno facendo fare un “salto di qualità” alle relazioni industriali. Ne è la dimostrazione il fatto che il presidente degli Stati Unitgi abbia avvertito l’esigenza di stare accanto ai lavoratori in sciopero. La riscoperta dell’azione collettiva per raggiungere determinati obiettivi – che un tempo in Europa veniva sintetizzata nella radicale, ma non sempre esatta, definizione di lotta di classe – sta occupando molto spazio nelle analisi dei media e degli esperti.
Il Financial Times si interroga se Wall Street, il cuore della finanza, debba preoccuparsi delle maggiori aspettative salariali e di questo nuovo slancio militante dei sindacati, quantificabile in un aumento degli scioperi. La risposta della centrale sindacale (AFL-CIO) non si è fatta attendere: «Forse dovrebbero preoccuparsi. Se continui a fare le cose scorrettamente, le persone si organizzeranno per cambiarle».
E a riprova di ciò negli States aumenta la combattività dei lavoratori di altri settori, dai corrieri ai metalmeccanici, dai lavoratori della ristorazione agli infermieri. Sono ora disposti a “rumble”, a combattere. Che vuol dire, letteralmente, “picchiarsi per strada”.
E IN ITALIA?
Il nostro Paese sembra arrancare, non arriva ai risultati. Sono in molti a chiedersi se il sindacato italiano non sia stato superato da quello americano. Le cause sono molteplici, ma se, ad esempio, si osserva in prospettiva la manifestazione nazionale indetta per il 7 ottobre, si può afferrare la differenza.
Dice infatti la sociologa Francesca Coin sentita dal Fatto Quotidiano: “Troppi obiettivi, giusti, ma che rischiano di confondere. Meglio uno chiaro e preciso come il salario minimo”. Qual è allora la lezione che arriva daglI Stati Uniti? Quale differenza tra le due sponde dell’Atlantico? “In Europa- sintetizza ancora la Coin – i sindacati hanno continuato ad avere un ruolo socio-politico, ma svuotato di vera forza e capacità organizzativa”. Insomma, sarebbero carenti nella voglia di combattere.