venerdì 25 Ottobre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

SANITA’ ALLO STREMO / Alta adesione dei medici allo sciopero (85%)

Medici, dirigenti sanitari, infermieri e altri professionisti sanitari incrociano le braccia oggi 5 dicembre per 24 ore. Saltano un milione mezzo di prestazioni sanitarie, anche se sono garantiti i servizi assistenziali essenziali. Il momento che vive la sanità pubblica italiana è drammatico. A ciò si aggiunge il fatto, come lamentano le rappresentazne sindacali dei medici, che il governo privilegia smaccatamente la costosa e insostenibile sanità privata.

Lo sciopero ha raggiunto fino all’85 per cento di adesione. A fornire i dati della protesta la Cimo Fesmed, il maggiore dei sindacati degli ospedalieri Anaao Assomed e la sigla che rappresenta gli infermieri Nursing Up. Siamo stanchi e arrabbiati – dicono – Le nostre condizioni di lavoro sono insostenibili”

Lo sciopero ha riguardato il personale appartenente alla dirigenza medica, veterinaria, sanitaria professionale, tecnica e amministrativa in servizio nelle aziende e negli enti del Servizio Sanitario Nazionale, compresi i medici specializzandi (assunti con il decreto Calabria), il personale infermieristico e altre professioni sanitarie.

Secondo i sindacati di categoria (ANAAO ASSOMED, CIMO-FESMED e NURSING UP) le misure contenute nella Legge di Bilancio in discussione al Senato non sono adeguate a risollevare il SSN dalla grave crisi in cui versa ormai da tempo, né soddisfano le richieste degli operatori sanitari in prima linea nella salvaguardia della salute dei cittadini.

Un sistema che non regge più. E’ la constatazione dietro alle ragioni della protesta che fermerà prr 24 ore il personale sanitario (medici, infermieri, dirigenti) è che la lezione del Covid non sia servita a nulla. La mancanza di risposte chiare nella legge di Bilancio del governo, sia pur attenuata dall’annuncio dello stop al contestato taglio nella rivalutazione delle pensioni, è all’origine della protesta. I punti sono i seguenti:

1) Assunzioni. “La carenza di medici e dirigenti sanitari mette a rischio la tenuta del sistema”. E molti medici e infermieri stanno abbandonando la sanità pubblica.

2) Stipendi. Occorre una “detassazione di una parte della retribuzione – dicono i rappresentanti dei lavoratori – Il 50% del nostro stipendio va allo Stato”.

3) Contratti. Sono necessarie “risorse congrue per il rinnovo del contratto di lavoro: le risorse stanziate sono insufficienti perché servono a finanziare i contratti dell’intero comparto sanità dalla dipendenza pubblica alla medicina convenzionata”.

4) Pensioni. Va confermata la cancellazione dei tagli alle pensioni. “Rifiutiamo – spiegano gli organizzatori della mobilitazione – una stangata che colpisce circa 50mila dipendenti con un taglio dell’assegno previdenziale compreso tra il 5% e il 25% all’anno”.

5) Giustizia. Va fatta una “depenalizzazione dell’atto medico: vogliamo restituire maggiore serenità ai medici e ridurre il ricorso alla medicina difensiva”.

Sullo sfondo c’è quello che viene definito come “il momento di rispondere con durezza. Perché il senso di rabbia prevale. Perché il tradimento che leggiamo nell’attacco alle nostre pensioni ci indigna. Perché non è servito morire di lavoro, ammalarsi di lavoro,
cedere tempo di vita per il lavoro se la sanità è solo un costo su cui r.isparmiare”.

Foto: chirurghi del Sant’Orsola di Boilogna (repertorio)

LA POVERTA’ SANITARIA

Il dato è allarmante: nell’anno che ancora non si è concluso ben 427.177 persone si sono trovate in condizioni di povertà sanitaria. Hanno dovuto, cioè, chiedere aiuto ad una delle 1.892 realtà assistenziali convenzionate con Banco Farmaceutico per ricevere gratuitamente farmaci e cure.

Il numero evidenzia un aumento del 10,6% rispetto al 2022: gli italiani fanno insomma sempre più fatica a potersi permettere le cure mediche, anche le più basilari. È quanto emerge dall’11mo Rapporto “Donare per curare – Povertà Sanitaria e Donazione Farmaci”, presentato da Banco Farmaceutico e Aifa. 

Dallo studio emerge anche quanto la spesa farmaceutica delle famiglie sia aumentata e, di contro, come la quota a carico del Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) sia invece diminuita. Nel 2022 (ultimi dati disponibili), la spesa farmaceutica totale è pari a 22,46 miliardi di euro, 2,3 miliardi in più (+6,5%) rispetto al 2021 (quando la spesa era di 20,09 miliardi). Tuttavia, solo 12,5 miliardi di euro (il 55,9%) sono a carico del Ssn (erano 11,87 nel 2021, pari al 56,3%).

Restano, insomma, 9,9 miliardi (44,1%) pagati dalle famiglie (erano 9,21nel 2021, pari al 43,7%) che,  rispetto all’anno precedente, hanno pagato di tasca propria 704 milioni di euro in più (+7,6%).

In sei anni (2017-2022), la spesa farmaceutica a carico delle famiglie è cresciuta di 1,84 miliardi di euro (+22,8%). A sostenere l’aumento sono tutte le famiglie, anche quelle povere, che devono pagare interamente il costo dei farmaci da banco a cui si aggiunge (salvo esenzioni) il costo dei ticket.

“Quest’anno – ha dichiarato Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico Ets – ci preme sottolineare che tante persone in condizioni di povertà non riescono ad accedere alle cure non solo perché non hanno risorse economiche, ma anche perché, spesso, non hanno neppure il medico di base, non conoscono i propri diritti in materia di salute, o non hanno una rete di relazioni e di amicizie che li aiuti a districarsi tra l’offerta dei servizi sanitari”. A compromettere lo stato di salute di chi è economicamente vulnerabile, contribuisce la rinuncia a effettuare visite specialistiche, che è cinque volte superiore al resto della popolazione.

La povertà chiama, di conseguenza, anche la povertà di salute in un circolo vizioso che non conosce soluzione di continuità: la percentuale di chi è in cattive o pessime condizioni di salute è più alta tra chi si trova in condizioni economiche precarie rispetto al resto della popolazione (6,2% rispetto al 4,3% nel 2021).

La qualità della vita legata a gravi problemi di salute, inoltre, è peggiore per chi ha meno risorse rispetto a chi ha un reddito medio-alto (25,2% rispetto al 21,7%). Le risorse economiche non preservano, di per sé, da gravi patologie (specie all’aumentare dell’età), ma consentono di fronteggiarne meglio le conseguenze.

 

Spesa sanitaria - immagine generica

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