sabato 23 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

EDITORIA / La Repubblica in rosso, Elkann chiede altri pre-pensionamenti

di Piero Di Antonio

— La Gedi chiede altri prepensionamenti per i giornalisti di Repubblica. Dal 2009 sono state più di mille le uscite. John Elkann parla di un buco nel bilancio di 15 milioni di euro. Invece di piani di investimento collegati ai tempi e ai cambiamenti in atto nella società, il gruppo dirigente si rifugia in provvedimenti che sottintendono una debolezza di fondo e una mancanza di strategia. E in queste ore si parla anche della trattativa avanzata per la cessione alla famiglia Angelucci di Radio Capital. Tutto ciò rende auspicabile l’uscita di scena della Gedi dall’editoria italiana. (Foto: il primo numero di Repubblica).

Domanda preliminare: come mai esistono giornali che riescono, nel mondo e anche in Italia, a sopravvivere e in molti casi a battere la crisi della carta stampata, e giornali che non ce la fanno a risalire la china, prede ormai della legge di Murphy (“Se qualcosa può andar male, lo farà” oppure “Se un congegno meccanico si rompe, lo farà nel peggior momento possibile“)?

I giustificazionisti attribuiscono questa incapacità a un fenomeno talmente generico e impalpabile,  la crisi provocata dal digitale, che dimostra un’assoluta mancanza di strategia, il che assolve da qualsiasi responsabilità i gruppi dirigenti, pagati per far uscire l’azienda dalle secche della crisi senza che vengano accampati pretesti e scuse.

Il caso più eclatante è quello della Gedi che si è trovata a gestire giornali di grandi tradizioni – la Repubblica, l’Espresso, i quotidiani locali ex Finegil – ma che, in non pochi casi, ha dovuto alzare bandera bianca e vendere i suoi gioielli.

E si parla in queste ore di trattative avanzate tra Gedi e la famiglia Angelucci per la vendita di Radio Capital. Il parlamentare assenteista della Lega, proprietario di varie cliniche private, offrirebbe alcuni milioni di euro, si parla di 18milioni, per completare la creazione di un grande gruppo multimediale (Angelucci è proprietario di Libero, il Gornale, il Tempo).

Gli eredi degli Agnelli, è la dura verità che gli eventi di questi ultimi mesi ci pongono davanti, non sono in grado di gestire un’impresa del tutto diversa dal costruire automobili (anche se alla fine della fiera anche questo comparto è finito in mani straniere, o meglio francesi).

Per fare finanza, oggi, basta il supporto dell’Economist, notoriamente presente in tutte le case degli italiani, assieme a caffè e brioche. Fare l’editore è leggermente più difficile e complesso, non foss’altro perché richiede tanto coraggio nel portare avanti le generose battaglie che il pubblico si aspetta.

Se si ha questa incapacità – anche di cogliere i cambiamenti che avvengono nella società e nel costume, che impongono di avere antenne molto sensibili per captarli – è giocoforza ricorrere a soluzioni che, lì per lì, danno la sensazione di alleviare il problema, ma che in realtà lo aggravano.

Di quali soluzioni stiamo parlando? Prepensionamenti, richieste se non imposizioni ai giornalisti di ridursi i compensi, incentivi a lasciare l’attività e altri artifici. Mai un piano di sviluppo, un investimento, a parte il non ancora remunerativo digitale, per tentare altre strade, per rendersi accattivante agli occhi di chi non rinuncia a frequentare le poche edicole rimaste aperte.

Il caso Repubblica. Che la crisi imponga una politica di contenimento dei costi è indubbio. Ma impone anche dell’altro: ridurre il numero dei mandarini di redazione pagati non perché portano lettori, ma perché funzionali agli interessi degli editori, che poi editori non sono.

E poi, qui sta il busillis, la mancanza di coraggio nel condurre quelle campagne d’informazione e pressione sul potere per le quali la Repubblica d’un tempo era maestra e sui cui ha saputo costruire il suo innegabile successo. Di opportunità per far sentire una voce alta e coraggiosa, negli ultimi anni, ce ne sono state. Si è preferito invece ridursi a fare bassa cucina. Risultato: una costante e inarrestabile perdita di lettori.

Ricordate per caso una battaglia che l’attuale gruppo dirigente di Repubblica abbia intrapreso? A parte alcuni fiancheggiamenti del potere o pallosi editoriali sui massimi sistemi e sulla politica estera, notoriamente il rifugio di chi è restio nell’affondare le mani nella terra sottostante, nulla si è visto in questi anni. Ogni tanto affacciarsi dalla finestra e dare un sguardo al mondo sottostante in cammino potrebbe dare una mano a risolvere parecchi problemi.

La perdita di mordente e di presa sull’opinione pubblica è andata di pari passo con i bisogni più terra-terra dell’editore-finanziere franco-anglo-olandese. Attutire l’impatto dei problemi, non evidenziarli. Questo lo stilema dell’informazione quasi prefettizia abbracciato negli ultimi anni.

E le ultime notizie non fanno altro che confermare tali assunti. La vendita di Fca a Peugeot, a parte qualche trafiletto, è passata in cavalleria, quasi fosse un dettaglio insignificante del disimpegno dell’impresa da quell’Italia che l’ha ricoperta di miliardi.

E che dire del trasferimento di tutto l’ambaradam in Olanda, e dell’incessante richiesta di aiuti statali, di fronte a utili stellari, per produrre auto, udite udite, in fabbriche all’estero? Non potevano mancare, allora, i prepensionamenti di giornalisti e dipendenti vari, non da oggi gli anelli deboli assieme agli operai, della catena produttiva Gedi-Stellantis-Exor. Spesso facendo ricorso, a quel che sostiene la magistratura, anche a trucchi. La legge  consente i prepensionamenti, ma impone anche di non alterare le carte.

E oggi, grazie a una notizia pubblicata dal benemerito sito professionereporter.eu veniamo a conoscenza della realtà di questo mondo editoriale in declino, preceduto dalla vendita di gloriosi giornali locali per fare sì cassa, ma anche per l’incapacità di gestirli se non entrando con gli scarponi chiodati nelle redazioni e mostrare un nuovo decisionismo cui non è stata estrenea una certa arroganza da padroni delle ferriere.

Ultimo, è bene ricordare, il caso della Gazzetta di Mantova, finita in pasto a industriali locali che, come primo atto, hanno preannunciato tagli di personale. E se il buongiorno si vede dal mattino… tanti sinceri auguri ai colleghi del giornale più antico d’Italia.

Ma che cosa ci riserverà il futuro molto prossimo lo si può ricavare dalla nuova ondata di prepensionamenti alla Repubblica. L’accordo fra governi di ogni colore ed editori italiani per liberarsi, a spese delle finanze pubbliche, dei giornalisti più esperti e soprattutto meglio pagati va avanti dal 2009. Il numero degli esodi ha superato abbondantemente le mille unità. E continua.

Il Comitato di redazione è stato convocato dalla proprietà, il Gruppo Gedi presieduto da John Elkann, ed è stato informato dell’intenzione di effettuare altri 46 prepensionamenti (oggi si possono fare a un’età minima di 62 anni). Gedi sostiene che Repubblica chiuderà il prossimo bilancio in rosso per 15 milioni di euro e che le uscite sono necessarie per risanarlo.

I 46 esodi sono previsti tra aprile e settembre 2024, dopo che sarà stato firmato l’accordo con il Cdr. La proprietà vuole, in quel periodo, un numero minimo di prepensionamenti di 37 giornalisti. In caso contrario promette tagli a stipendi e contratto integrativo. Il Cdr ha convocato l’assemblea per il 15 dicembre, per discutere il Piano.

Da quasi quindici anni al settore dell’editoria è stato permesso di ristrutturare le aziende mandando in pensione i giornalisti con agevolazioni statali, mentre per quasi la totalità delle altre categorie l’età pensionabile veniva alzata.

Con questa notizia possiamo ben dire che il Re è nudo e che  la prevedibile uscita della Gedi dall’editoria (potrebbe a questo punto acquistare qualche giornale olandese) non potrà che aprire le porte alla speranza di risollevare un settore dei media ormai allo stremo e ridare slancio a un giornale dove lavorano, è bene ricordarlo, colleghi di talento.

Avanti, allora. Si facciano avanti i veri imprenditori dell’informazione, quelli che un tempo venivano chiamati editori. Fare peggio è umanamente impossibile.

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