di Sara Di Antonio
Le bolge e le malebolge sono un neologismo dantesco, ricordate, ma i diversi anelli in cui il Poeta collocava le anime assomigliano un po’ ai colloqui generali.
Aula uno o ventisei, passando per la palestrina -la medesima in cui mi rifiutavo di fare ginnastica- in un turbine di saluti, convenevoli, e poi sedute compìte ad ascoltare un giudizio -che non è sulla persona ma è formativo- su nostro figlio.
C’è un po’ di psicanalisi, molto o poco pathos, dipende, una maldestra attività di seduzione da parte del genitore inadempiente e pieno di sensi di colpa, nessuno che abbocca; e poi battute, pezzi di programma, minacce, incoraggiamenti finali, pacche sulla spalla mentre ci accompagnano alla porta.
Incrociamo altre donne, altri padri, gli stessi dai tempi dell’asilo, ci scambiamo solidarietà e saluti: allora bastava qualche disegno maldestro e bere prosecco caldo alle feste, adesso non bisogna dimenticare il discorso di Protagora e comunque avere voglia di studiare. Sospiriamo mentre chiediamo per l’ennesima volta dove si trova l’aula, dove; accanto a me due mamme affermano che i loro figli, comunque, sono “ragazzi meravigliosi”.
Invece noi non siamo meravigliose e non lo sono neppure i nostri figli, mi dico e getto un’ultima occhiata alla chiesa là fuori, da questa scuola che mi sembrava grandissima mentre invece, oggi come trent’anni fa, è un cubo solido e legnoso.
Dalle scale si intravede la biblioteca, quella da cui pensavo che tutto il mondo fosse intelligibile, pensabile, comprensibile. Che errore!
Infine afferro l’ultimo appuntamento della giornata, prometto all’ennesimo prof che studierò, mi impegnerò e farò la brava.
Poi mi rendo conto che non sono io, che ho già dato, e che qualcun altro forse lavorerà; io ho già letto un mucchio di libri per dimenticare tutto, come certi poeti francesi.
E allora mi rinfresco il rossetto e inforco la porta, dando finalmente le spalle al mio piccolo, insignificante, girone scolastico odierno.
#voilá #racconti #Bonsoir