Pane Quotidiano è un’associazione onlus laica, ultracentenaria, che a Milano distribuisce da anni, ogni giorno, un pasto ai poveri o a coloro che non ce la fanno ad arrivare a metà mese. Ai bisognosi non viene chiesto nulla: basta allungare una mano per avere di che mangiare.
Nella città più ricca d’Italia, con il reddito procapite di 37mila euro l’anno, coloro che si rivolgono a Pane Quotidiano sono passati dai 300 degli albori dell’attività ai cinquemila di questi giorni prenatalizi, quando la povertà mostra tutti i suoi artigli e fa da contrasto alla società opulenta che le ruota intorno, indifferente e forse infastidita per un’immagine, quella dei poveri e dei senzanulla, che inficia il Natale dei sorrisi e dei pacchettini-regalo.
Cinquemila assistiti ogni giorno smentiscono le fredde cifre dei vari think-thank e istituti dell’economia, della statistica e della sociologia, spesso diffuse per supportare le tesi di chi governa a colpi di pil, di andamento delle Borse, di export e via magnificando. In Italia la povertà assoluta è aumentata a dismisura, toccando livelli ormai inaccettabili.
Un esercito che ha sempre più bisogno di sostegno, testimonianza reale del divario sempre più largo tra chi ha e nuota nel benessere e chi, per varie ragioni, ha poco se non nulla. L’agenzia di stampa AdnKronos ha raccolto alcune testimonianze davanti ai cancelli di Pane Quotidiano, dove ogni giorno si affollano migliaia di persone per avere del cibo gratis: “Sempre peggio – dicono – non arriviamo a fine mese”.
Tanti sono stranieri e vengono da ogni parte del mondo. Ci sono badanti, babysitter, il rider che arriva in sella alla bicicletta che usa per lavorare. Non mancano italiani, anziani e pensionati ma anche giovanissimi, che nonostante svolgano un’attività non riescono ad arrivare a fine mese. Il lungo serpentone che da viale Toscana si snoda verso via Castelbarco (nella foto) non lascia spazio a dubbi. La crisi colpisce duro e Milano non è immune.
“Vengo qui da 14 anni – dice Andrea, 27 anni, un lavoro come magazziniere e tre figli a carico -. Ultimamente riesco a farlo solo il sabato ma prima non era così. La fila si è moltiplicata per venti. Fino a qualche anno fa eravamo in 300, ora ci sono migliaia di persone in coda ogni giorno”. Quasi cinquemila, secondo i numeri snocciolati in questi giorni dall’associazione.
Per portare a casa un sacchetto di cibo, Andrea resta in fila per più di un’ora. “Ho notato che fare la spesa al supermercato è aumentato di circa 80 euro rispetto a due anni fa, e parliamo degli stessi prodotti. Qui ci danno un aiuto importante, quel poco che c’è è buono, ed è un gran risparmio, ci aiuta tantissimo. Io ho un lavoro ma tra l’affitto e le spese non ce la faccio ad andare avanti e ogni sabato lo devo passare qui. Ci sono tante persone che non lavorano e sono costrette a venire qui per sopravvivere”.
Viene dal Perù Maximina, una badante di 52 anni che ammette di recarsi in viale Toscana solo di sabato. “Riesco ad aiutare la mia famiglia in Perù con quello che guadagno in Italia, dove sono arrivata da due anni, ma fare la spesa al supermercato è impossibile” racconta. Ha iniziato a mettersi in coda insieme a una sua amica da circa un anno e con l’aiuto di Pane Quotidiano riesce a mangiare per “due o tre giorni” senza preoccupazioni. Poi si ricomincia.
Prova a nascondere lo sguardo dietro a una mascherina nera Sara, studentessa 32enne iraniana, a Milano da circa un anno per studiare management. “Non ho tempo di venire ogni giorno. Qui ci danno un aiuto, dei dolciumi, delle arance, del pane, a volte pasta e formaggio. Vivo da sola e l’affitto è aumentato, non riesco a farcela”.
Diana, invece, lunghi capelli neri raccolti in una coda di cavallo, spinge un passeggino con a bordo la figlioletta di due anni. E’ scappata dalla guerra in Ucraina l’anno scorso e ha trovato accoglienza nel capoluogo lombardo assieme a sua madre. Lavoricchia, fa le pulizie per tre ore al giorno, a volte la babysitter ma di certo questo non è sufficiente per andare avanti. “Ho 27 anni – dice – vengo qui da un anno, ogni sabato, per prendere un po’ di cibo, lavora solo mia madre e l’affitto è molto alto”.
A colpire sono i molti anziani che in silenzio attendono di ricevere il proprio pacco alimentare. Come Adele, 80 anni da compiere, originaria di Udine, che vive a Milano dagli anni Sessanta. Ogni sabato prende i mezzi pubblici da Lorenteggio, dove vive, per mettersi in fila in viale Toscana. “Lavoravo in un’impresa di pulizie – racconta – ma prima si viveva meglio. Ora prendo meno di 800 euro al mese di pensione e non ce la faccio”.
A Milano, osserva, la situazione è degenerata. “Fa schifo da quando c’è Sala e con la Meloni al governo è anche peggio. Lei non pensa alla povera gente e continua a tagliare sulle pensioni e sulla sanità”. La signora, come molti suoi coetanei, fa fatica a tirare avanti e da mesi rimanda dei controlli cardiologici importanti perché troppo cari. “Mi hanno chiesto 255 euro per tre esami – lamenta – ma io con 800 euro di pensione come faccio? Come posso continuare così? Sarà sempre peggio”.
Molti altri serrano le labbra. Inutile insistere, non vogliono parlare. C’è chi si schermisce e scompare nel bavero della giacca, quasi vergognandosi di farsi vedere lì. Qualcuno fa calare una mascherina chirurgica sul volto. C’è chi tiene un neonato in braccio, chi trascina dei bambini o si accompagna a una stampella. Ci sono donne ben vestite e uomini in abiti sporchi. Chi litiga con il vicino che ha provato a rubagli il posto e chi si lamenta dell’attesa.
Sono tutti in fila. Tutti aspettano che arrivi il loro turno per aggiudicarsi un pasto. Per molti l’unico per i giorni a venire.