di Piero Di Antonio
— Un primo messaggio, forte e nuovo, arriva dal numero di persone, tante e molte in piedi, che hanno affollato il cinema Apollo per ascoltarlo. Soprattutto per ascoltare la decisione, più volte attesa, di una sua discesa in campo come candidato sindaco del centrosinistra. Fabio Anselmo non ha deluso. Anzi, ha infuso nuova energia che l’anno fatale del 2019 e le sue conseguenze politiche e amministrative sembravano aver affievolito.
Discorso punteggiato da continui e puntuali applausi nei passaggi cruciali, preceduti da una sincera e inaspettata biografia di un figlio di esuli delle foibe, all’inizio simpatizzante di destra, poi con il graduale avvicinamento alla sinistra senza mai tessere in tasca, e poi ancora una serie di attività di quel tempo, comune a tanti studenti: lavoratore per pagarsi gli studi, venditore porta a porta dei libri degli Editori Riuniti, per intenderci roba da comunisti, con temporanei approdi in altre occupazioni fino ad arrivare alla professione forense, condotta sempre in salita ma con un faro sempre acceso a orientarla: la difesa dei diritti umani. Concetto onnicomprensivo, sufficiente a includere tutto, la giustizia sociale ed economica, e soprattutto l’attenzione verso gli ultimi. Se manca il rispetto nei loro confronti prima o poi quei diritti potrebbero essere negati a tutti.
La scelta di candidarsi, stando ai riumors della vigilia, sarebbe dipesa da come il corpaccione del centrosinistra avrebbe accolto una sua eventuale discesa in campo. L’accoglienza, c’è da dire, non poteva essere delle migliori. Non si vedeva tanto entusiasmo e partecipazione da tempi immemori, forse perché nel 2019 la sinistra dava per scontato ciò che scontato non era: la vittoria e il naturale ritorno di un suo candidato al palazzo municipale, come sempre avvenuto da decenni. Senza accorgersi, distratta com’era, che tirava avanti a fatica con il freno a mano tirato mentre il turbo di destra la sorpassava.
Oggi Anselmo ha impresso accelerazione e chiarezza all’imminente campagna elettorale con un però: dovrà fare i conti con uno scenario che non vede al centro l’attuale ri-candidato sindaco, l’ologramma Alan Fabbri, bensì il “vero numero uno” dell’amministrazione: Naomo, leghista e, solo sulla carta, vicesindaco. Ma con l’ombra di un’ulteriore novità familistica come usa da quelle latitudini: l’affermazione del duo Balboni, padre senatore e figlio assessore.
La prima sensazione rassicurante della serata all’Apollo – per chi ne ha passate tante nel doversi rassegnare a divisioni e capricci – è constatare che una parte preponderante del centrosinistra, spesso litigiosa e cavillosa nei suoi ragionamenti e comportamenti, sia tornata in campo pronta a battersi per un “civico” che prima di dire “sì, mi candido” ha voluto riunire un mondo che troppo spesso si guarda con diffidenza se non in cagnesco.
Il discorso di Anselmo è stato di esemplare chiarezza, con alcuni efficaci riferimenti oggetto di perplessità dell’opinione pubblica come il ruolo della società del servizio di onoranze funebri che sponsorizza eventi, o delle strombazzate misure per la sicurezza, a pensarci bene non tanto efficaci vista la necessità di chiamare l’esercito. Ma anche la mancanza di un trasporto pubblico organizzato e capillare che unisca i quartieri di Ferrara al centro ha il suo peso, così come le hanno le politiche per i giovani, mettendo nel conto il sempre maggior numero di ferraresi che alla prima occasione fanno le valigie. Ferrara rischia di diventare una casa di riposo. E gli immigrati? “Ne abbiamo bisogno”.
L’obiettivo: riempire una città che invecchia inesorabilmente di nuova energia, di studenti non vessati da affitti esosi e insopportabili, di una nuova progettualità e di un piano che faccia soffiare a Ferrara il vento dell’Europa e che le consenta di salire nelle classifiche della qualità della vita.
Ma a galvanizzare la platea è stata anche una frase che Anselmo ha scandito con la tranquillità e la fermezza di chi sa il fatto suo e di chi in 66 anni è entrato in contatto con situazioni poco commendevoli. Una frase semplice, di cui, riflettendo, si sentiva un gran bisogno, soprattutto in quelle città come Ferrara che hanno colpevolmente mostrato le spalle al loro ammirevole passato: “Io non ho paura” ha detto l’avvocato dei casi Aldrovandi, Cucchi e del marine Massimiliano Latorre.
Applausi dai mille e più che ce l’hanno fatta a entrare.