L’esperienza dell’alluvione deve portare a segnare una svolta nelle politiche urbanistiche, scongiurando il ripetersi degli errori del passato. Purtroppo, allo stato attuale, in Emilia-Romagna non si sta andando più in là delle parole. Da Cantiere Bologna (sito)
di Silvia Zamboni *
Si può continuare a edificare o ricostruire nelle aree alluvionate ed esondabili della nostra regione come se niente fosse stato? La mia risposta è NO. Per questo, con un’interrogazione urgente discussa il 28 febbraio in Aula, ho sollecitato la Giunta regionale a introdurre una moratoria a nuove urbanizzazioni in aree a rischio, tenendo conto della drammatica alluvione del maggio scorso e in attesa della predisposizione del Piano Territoriale Regionale. Come fece la Regione Liguria dopo l’alluvione del 2015 che mise in ginocchio il territorio ligure.
Della necessità di questa moratoria avevo parlato con un gruppo di urbanisti bolognesi incontrati un paio di settimane fa. Anche il Rapporto della Commissione tecnico-scientifica incaricata dalla Regione Emilia-Romagna di indagare sugli eventi meteorologici estremi del maggio 2023 non lascia dubbi in proposito.
Insieme ai dati relativi a quanto accaduto, all’analisi degli scenari di probabilità di accadimento di eventi simili e alle prime indicazioni rispetto ad azioni di adattamento del territorio e miglioramento delle infrastrutture, il Rapporto sottolinea l’importanza di aggiornare la pianificazione territoriale e di non ricostruire e tornare a costruire come si faceva prima, analogamente alla richiesta avanzata all’indomani dell’alluvione da un gruppo di urbanisti e architetti.
Sul punto concorda Legambiente. Nell’articolato documento “Ricostruire meglio – Adattamento, sicurezza, innovazione, partecipazione”, che ha presentato il 12 febbraio, si sottolinea l’importanza di «costruire meglio e nei luoghi opportuni». Il periodo transitorio prima dell’entrata in vigore della Legge regionale urbanistica, cessato dopo vari rinvii il 31 dicembre scorso, per i Comuni alluvionati è stato però prorogato fino al 3 maggio 2024, per cui in alcuni territori si continua esattamente come prima ad autorizzare nuove costruzioni e urbanizzazioni anche in zone interessate dall’alluvione, come sta accadendo, per esempio, a Faenza e a Castel Bolognese.
Per evitare che si (ri)costruisca in zone a rischio, Legambiente rilancia la richiesta di bloccare l’autorizzazione a edificare nelle zone alluvionate, in attesa dell’approvazione di nuovi strumenti di pianificazione territoriale che aggiornino le mappe del rischio idraulico. Stessa cosa aveva chiesto una mozione approvata nel 2023 all’unanimità dal Consiglio Federale Nazionale di Europa Verde, richiamando la moratoria introdotta dalla Regione Liguria nel gennaio 2015.
Allora, la Liguria varò una normativa di salvaguardia e una moratoria che prevedeva la non edificabilità nelle aree inondate per un periodo di dodici mesi. Solo «dopo una rivalutazione del rischio idraulico e degli elementi di garanzia che verranno adottati», si sarebbero potuti riconsiderare progetti nuovi o in corso. Un provvedimento analogo era già stato adottato nel 2011, sempre dalla Regione Liguria, dopo le alluvioni a Genova e nelle Cinque Terre.
Di fronte al rischio che si riprenda a costruire in aree a rischio, l’interrogazione che ho presentato in Aula mercoledì scorso, oltre a chiedere la moratoria, evidenzia l’urgenza di rivedere e aggiornare la pianificazione e programmazione territoriale regionale, e di procedere alla redazione e adozione del nuovo Piano Territoriale Regionale (previsto dalla Legge 24 del 2017) e all’aggiornamento delle mappe del rischio idrogeologico e dei Piani di Assetto Idrogeologico (Pai).
La risposta interlocutoria che ho ricevuto dall’assessora regionale all’urbanistica Barbara Lori, pur condividendo la criticità della situazione, non ha soddisfatto la mia richiesta. Auspico quindi che i futuri passi che l’assessora ha annunciato in Aula portino in breve tempo alla moratoria, al fine di associare il contrasto al consumo di suolo alla sicurezza idraulica e idrogeologica, a tutela delle popolazioni residenti e delle attività economiche dei territori interessati. L’esperienza dell’alluvione deve portare a segnare una svolta nelle politiche urbanistiche, scongiurando il ripetersi degli errori del passato.
* capogruppo di Europa Verde, vicepresidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna
Gabriele Bollini
Perché una proposta di questo tipo dieci mesi dopo l’alluvione? Quando la Rete per l’emergenza climatica e ambientale dell’Emilia-Romagna ha lanciato una richiesta di moratoria a giugno dello scorso anno alla Regione, all’Autorità di Bacino, alla Protezione civile, dov’era la consigliera regionale? (posto che fare la richiesta è meglio che non farla 😉)
Paolo Bignami
Ciao a tutti, purtroppo decenni e secoli di protervia culturale nei confronti della natura, che condividiamo con la massima parte del pianeta s’intende, non si cancellano dall’oggi al domani.
Qui il problema è che anche se (ho letto da poco un articolo molto positivo su Qualenergia in tal senso) riuscissimo a contenere l’aumento di temperatura globale diciamo attorno ai 2 gradi e senza che si verifichino “tipping points” (punti di rottura di equilibri ambientali) catastrofici, la Regione dovrebbe cominciare a pensare di gestire l’evacuazione e lo sgombero minimo minimo dei territori situati sotto o pari ad un metro di altezza s.l.m per esempio Comacchio. Per non parlare del ridisegno e del rafforzamento della protezione della costa soprattutto da Cervia a Cattolica dove vivono centinaia di migliaia di persone.
Vietare di costruire in zone di esondazione non è nemmeno l’antipasto, dobbiamo ancora accendere il forno e apparecchiare la sala, anzi dobbiamo proprio metterci nell’ordine d’idee di mangiare 😁
Cordiali saluti