domenica 24 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

A quando i cartelli “Locale vietato a cani e bambini”?

Negli ultimi anni si è acuito il fenomeno del Baby? No, thanks! e molte strutture preferiscono vietare l’ingresso ai più piccoli. A quando i cartelli nei locali e sui treni con scritto “Vietato l’ingresso ai cani e ai bambini”? E’ una scelta saggia o così facendo rischiamo di diventare più intolleranti? La svolta, quotidiano online (sito), propone quest’ultimo interrogativo per affrontare un problema che sta assumendo proporzioni preoccupanti in quanto individua i bambini e gli adolescenti come un  peso e non una ricchezza.

di Elisabetta Beretta *

Ultimamente pare esserci una certa insofferenza nei confronti degli under 15, apertamente manifestata sui social media, ma palesata tranquillamente anche nella vita reale. Bambini e bambine in primis, ma anche adolescenti, per moltissime persone rappresentano un fastidio, soprattutto in determinati ambienti o circostanze.

Le lamentele più frequenti sono quelle dei viaggiatori infastiditi dalla presenza rumorosa dei figli altrui, considerati una vera e propria calamità. Non di rado, per fare un esempio, si verifica questa situazione: siamo in treno o in aereo e il bambino/ragazzino occupa proprio il posto davanti oppure accanto al nostro e da quando si siede finché, finalmente, si giunge a destinazione è un concerto di rumori, suoni di vario tipo, incluso il chiamare un centinaio di volte i genitori per qualunque cosa.

Ma può andare peggio, come quando ci troviamo in aereo e il fanciullo che occupa il sedile dietro al nostro pensa bene di trasformare il nostro schienale in un pungiball per sgranchirsi le gambe! Il tutto con il genitore seduto accanto a lui, tranquillo, che evidentemente non ritiene sia necessario rimproverarlo (esperienza diretta!).

Questo aneddoto raccoglie e (in parte) giustifica le motivazioni del proliferare delle situazioni No Kids. Ma perché al bambino non viene insegnato a rispettare lo spazio altrui e l’adulto non ha la sufficiente tolleranza nei suoi confronti?

Gli ingredienti principali per rispondere a questa domanda sono due: da un lato un’educazione precaria, che vacilla e non sempre sa impartire quelle poche e semplici regole del convivere con gli altri; dall’altro la mentalità anti-famiglia, che sta guadagnando sempre più terreno, e che ci fa percepire i bambini come un peso anziché come una ricchezza per il domani.

Il prodotto di questi fattori è il continuo proliferare di alberghi, ristoranti, spiagge, villaggi turistici, centri termali e altri luoghi che vietano l’ingresso ai bambini e, in alcuni casi, anche agli adolescenti fino ai 15 anni di età. Infatti, il messaggio che deve arrivare chiaro è: maggiore relax, migliore vacanza, senza bambini.

Il sito tedesco Urlaub ohne Kinder (attualmente chiuso) aveva fotografato la situazione pre pandemia da Covid19 e i numeri mostravano una tendenza in forte crescita in tutta Europa, Italia compresa.

Ormai le espressioni child free e family oriented non ci sorprendono più, anzi, le ricerchiamo accuratamente mentre interroghiamo il web per decidere la meta della nostra prossima vacanza. Chiaramente, se rientriamo nella schiera dei “without children stay better” (senza bambini staremo meglio), saremo interessati al primo, mentre se siamo genitori in cerca di una struttura in cui soggiornare con figli al seguito, il nostro filtro di ricerca sarà puntato sul secondo.

Se un ristorante espone sul proprio sito la dicitura child free significa che il gestore ha fatto la scelta di escludere dalla clientela persone sotto una certa età, per garantire la tranquillità degli adulti, consapevole che che a volte i bambini abbiano un comportamento alquanto molesto, sotto agli occhi di genitori indifferenti.

La tranquillità di alcuni però può trasformarsi in un grosso problema per altri (genitori con figli), che si vedono chiudere le porte in faccia da diverse strutture. Vivre sans (Vivere senza), l’ultimo libro di Mazarine Pingeot, scrittrice francese e docente associata di filosofia all’università Paris VIII, tratta il tema della filosofia della mancanza, dove il ‘senza’ è inteso come sinonimo di migliore, e il concetto di no kids rappresenta una raccomandazione con uno scopo finale positivo, alla stessa stregua di “senza alcol” o “senza glutine”.

Sembra uno slogan commerciale. Sembra o lo è? a ogni modo, funziona ed è decisamente efficace. E se funziona, in base alle più basiche regole del mercato, vuol dire che c’è domanda.

Ma che fine ha fatto il metodo Maria Montessori? Sì, perché includere i bambini, anziché allontanarli, creando degli spazi dove si possano esprimere, è la base per crescere gli adulti sereni di domani, un fatto che porta giovamento alla società nell’interesse di tutti noi alla fine. Invece la tendenza contemporanea va proprio nella direzione opposta, perseguendo la creazione di due mondi paralleli che non si devono disturbare a vicenda. Da una parte, spazi e occasioni di divertimento ad hoc per i più piccoli; dall’altra, locations e situazioni riservate al relax e allo svago degli adulti.

Come se gli uni e gli altri dovessero stare a osservarsi a debita distanza, senza interferire, esattamente come quando guardiamo il contenuto prezioso di una teca in vetro con sotto il cartello “No touch”. La domanda da porci è dove ci porterà questo atteggiamento alla continua ricerca di no-children zone?

***

* Elisabetta Beretta scrive per La Svolta, quotidiano che racconta i grandi cambiamenti in corso, prestando attenzione all’Ambiente, ai Diritti, all’Innovazione sociale, culturale e tecnologica. Dando voce soprattutto ai giovani e alle donne, nelle cui mani è riposto il futuro, a partire dalla transizione ecologica.

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