di Sara Di Antonio
La mia amica C. mi ha raccontato che un giorno Cesare Zavattini si svegliò, si disse che aveva compiuto settant’anni e che era giunto il momento di invecchiare. Da quel giorno, mi ha detto sorridendo, cominciò a usare il bastone, e a zoppicare.
Di solito C. ha sempre ragione, per questo tutte la chiamano Prof, prima ancora che con il suo nome.
Io invece, più modestamente, di anni ne ho compiuti solo – e in coda d’anno, quasi a dimenticarmene – quarantasette, che sono molti o pochi, a seconda.
Per i cultori della smorfia romana, sono il morto che parla, che ispirò un gustosissimo, per me magnifico, film di Totò; ma per un napoletano che si rispetti, il 47 è o’ muort, proprio il morto, e mi perdonerete se lo tiro fuori proprio a inizio d’anno, o a fine 2023, se preferite.
So solo che, insieme a me, sono nati alcuni tra gli uomini più ambiziosi che conosca, un po’ duri, inflessibili, attaccati al denaro, poco romantici insomma. Tra le donne, ci sono questi individui che, come la sottoscritta, si dimenticano di respirare prima di parlare, di contare fino a dieci prima di esprimere un’opinione, di perdonare immediatamente i torti subiti, a volte sbuffano e sacramentano di fronte agli affronti della vita.
Poi, invecchiando, tutti noi, un po’ come Zavattini, ci rendiamo conto di avere bisogno di un bastone e di un’età che ci nobiliti: che è poi solo distanza dalle cose.
A tutti voi buon anno, e a voi tutti un augurio sincero, mentre a me resta un ulteriore compleanno passato, l’ennesimo, con la certezza che ciò che deve arrivare -spero sia lo stesso per tutti- debba avere solo due cose che lo contrassegnano: l’amore e la libertà.