Morto all’età di 89 anni un maestro del giornalismo sportivo italiano: Gian Paolo Ormezzano. Di se stesso diceva: “Sono stato due volte fortunato: la prima perché non sono nato donna in Afghanistan; la seconda perché sono nato a Torino senza mai diventare tifoso della Juve“.
A Torino ci è morto, nella sua casa di via Sismonda. Un malore improvviso se l’è portato via. Non c’era riuscito, per pochissimo, il Covid: era sopravvissuto a 5 mesi di ricovero. Descrisse l’orrore di quell’esperienza in una bellissima pagina per il Corriere di Torino. Anche la vita peggiore l’affrontava per quel che era: vita. Con ironia, dissacrante, immarcabile. Firma de La Stampa e del Guerin Sportivo, per anni direttore di Tuttosport. Soprattutto tifoso del Torino, anche se – ammise una volta – “per Giampiero Boniperti ho diretto, in incognito, il periodico Hurrà Juventus”. Oltraggio.
Era un maestro, Ormezzano. Della vecchia scuola, quella dei miti del mestiere. Uno che può raccontare di quando, inviato a Berlino, le sue finanze furono prosciugate in un night club da “due sanguisughe travestite. Mi salvò Gino Palumbo. Il direttore che, insieme con Antonio Ghirelli, ho amato di più. Gino mi disse: “Non ti preoccupare, scrivi quello che vuoi, ti pagherò bene”. E così risollevai le mie finanze”.
Era un altro giornalismo: “Ho sempre lavorato in piena libertà anche perché i miei padroni sapevano che avevo il “vaffa” facile e quindi si mettevano nelle condizioni di non essere mandati a quel paese”.
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