Si è estesa da Firenze a Genova, Venezia, Rimini e Milano la protesta contro le key box, le scatolette di plastica di cui il proprietario di un’abitazione fornisce al turista un codice numerico che permette di aprirle e ritirare le chiavi dell’appartamento, in modo tale che tutto avvenga senza contatto e a qualsiasi ora del giorno.
Key box delle città citate sono state marchiate e rese inutilizzabili nella notte con nastro adesivo e una X. Il primo blitz contro le cassette con le chiavi si era registrato a Firenze lo scorso 9 novembre (nei giorni del Forum sul turismo), adesso la partita su uno dei simboli del boom degli affitti turistici brevi si è allargata, dopo 50 giorni, alle altre città e tutto lascia prevedere che toccherà altre località turistiche italiane.
I vari comitati per il diritto all’abitare, nati dopo la prima azione di Firenze, stanno facendo rete e la notte scorsa si sono coordinate in una prima azione contro gli scrigni ermetici agganciati a porte e portoni, i simboli dell’overtourism o del turismo mordi e fuggi.
DA INNOVAZIONE A PROTESTE. Con in mano la sequenza corretta, l’accesso dei turisti ai diversi immobili – spesso delegati a società specializzate che si occupano della gestione per conto dei proprietari – è automatizzato. In questo modo, una soluzione all’inizio considerata rivoluzionaria, per praticità e sicurezza, si è trasformata, a poco a poco, in uno degli oggetto-simbolo delle proteste contro il turismo di massa che sta cambiando l’aspetto dei centri storici.
Se a Firenze le keybox saranno vietate dal 2025 (ma restano sospesi molti dubbi sull’entità e l’efficacia dei controlli) nel resto d’Italia la denuncia passa lo stesso attraverso l’affissione di adesivi e marchi che ne segnalano la presenza. Deturpando il paesaggio urbano, di fatto, si moltiplicano a dismisura laddove la richiesta di soggiorni brevi aumenta a sua volta: alimentando una pratica di ospitalità che rischia, davvero, di uscire da ogni controllo.
Ogni appartamento messo sul mercato degli affitti brevi “è una casa sottratta alla residenza, forse per sempre – scrivono gli attivisti del comitato ‘Salviamo Firenze per viverci’ in una nota comune con gli altri attivisti – La crisi abitativa si inasprisce proporzionalmente all’aumento della capacità ricettiva di ogni città, toccando anche i servizi. Sanità, scuole, trasporto pubblico sono allo stremo, sia per la difficoltà del personale a trovare casa, sia perché la riduzione del bacino di utenza si traduce nel taglio delle risorse a disposizione”.
Così “se il turismo rappresenta certo un settore economico rilevante, i benefici per la città sono ormai ampiamente superati da costi insostenibili, che peraltro comportano un sommerso diffuso”. Le keybox “ne sono una rappresentazione plastica: non è una questione di decoro, ma di vivibilità”. Ed è questa, ecco il punto, “la ragione delle proteste scattate in molte città negli ultimi mesi. Non è il lucchetto, peraltro utilizzato in modo illecito, ma ciò che sottintende. È stato, infatti, ribadito, che tastierini, scatolette porta chiave non possono essere utilizzate per fare accedere i turisti negli appartamenti, senza l’accoglienza di persona. Anche per questo diventano obiettivo delle proteste in atto”. Oggi, concludono, “limitare le locazioni brevi turistiche è necessario e possibile”.
A Firenze, le key box stanotte sono state fasciate di nuovo con un nastro adesivo da cantiere in cui è stata stampata la scritta ‘Rimozione ForXata’. “Siamo partiti il 9 novembre e sulle keybox torniamo dopo 50 giorni, in quanto rappresentano la forma più volgare dello sfruttamento della nostra città”, sostengono gli animatori di Salviamo Firenze. In città “sono stati assunti impegni sulla loro eliminazione dai muri, ma non sono seguiti i fatti e tutto continua come prima. Ed è così in tutta Italia, per questo agiamo in contemporanea ai movimenti per il diritto all’abitare di Venezia, Genova e Milano”. Per questo, si fa sentire Massimo Torelli, portavoce del comitato, “per ricordare e facilitare alla nostra amministrazione l’impegno preso” è partita la nuova operazione.
“Mancano tre giorni all’obbligo, che entra in vigore dal primo dell’anno, di esporre accanto al campanello il codice identificativo nazionale“, il cosiddetto Cin che identifica le locazioni turistiche. Ad oggi “non ci sono nel 95% dei casi. Ed oltre al Cin” i proprietari “devono essere in regola con i requisiti di sicurezza”, come estintori, rilevatori di gas e monossido, “e con le norme edilizie rispetto ad abusi fatti”.
Dal 2025, prosegue, “scattano le sanzioni se i controlli verranno fatti”. Ecco, si chiede, “verranno fatti? Questa azione e le altre che continueremo nel 2025 sono finalizzate a sgonfiare l’enorme bolla immobiliare che sta travolgendo Firenze. Perché ci sono migliaia di appartamenti sui portali di affitto turistico. Perché i nuovi interventiresidenziali sono solo e soltanto per il mercato internazionale del superlusso”, mentre “ogni giorno scompare un’attività economica e apre un pezzo del ‘mangificio’”.
La giunta di Firenze, guidata dalla sindaca Pd Sara Funaro, aveva annunciato il 26 novembre scorso, alla vigilia del G7, il divieto dei keybox nel centro storico a partire dal 2025.
LA GIUNGLA DELL’OVERTOURISM
E in Emilia Romagna? qual è la situazione? Il costituzionalista Roberto Bin sul sito CantiereBologna interviene sul fenomeno affermando che “in Emilia occorre tutelare le zone ad alta pressione demografica, obbligando i “professionisti” dell’accoglienza ad agire nel rispetto dei criteri e limiti fissati dai Comuni. Ci vuole una legge della Regione, che ha competenze in materia di turismo e pianificazione commerciale. Ecco il testo integrale del suo intervento.
di Roberto Bin, costituzionalista
(da CantiereBologna) — Sulla questione degli affitti brevi la Regione Toscana si è finalmente mossa. Ha emanato una legge che limita l’overtourism, quel fenomeno che sta degradando il decoro delle città e complica la vita a chi risiede nelle centri ad attrazione turistica (praticamente tutte le città italiane): sottrazione di alloggi disponibili a chi cerca casa, degrado dell’offerta commerciale sempre più orientata ad attirare il turista di passaggio, trasformando negozi e esercizi storici e stravolgendo l’immagine stessa della città, in cui comitive e serpentoni di gente sciamano guidati da un app che indica le “cose imperdibili” da vedere (o da mangiare)…
I Comuni poco possono fare, si dice, ma le Regioni invece possono fare molto. E la Toscana ha incominciato a capirlo. La legge ancora non c’è, ci sono solo notizie di stampa. Ma la via è chiara: governare la giungla, tutelare i centri storici e proteggere le zone ad alta pressione demografica, obbligando i “professionisti” dell’accoglienza ad agire nel rispetto dei criteri e limiti fissati dai Comuni, pur lasciando liberi coloro che affittano camere nella loro casa di abitazione a continuare a farlo.
Sono linee semplici e “minimali”, su cui anche la Regione Emilia-Romagna dovrebbe riflettere e impegnarsi. I Comuni, da soli, poco possono fare: qualsiasi limite introducessero si troverebbero subito davanti al giudice amministrativo, immediato sarebbe infatti il ricorso da parte degli “interessi forti” inevitabilmente “offesi”. Ci vuole una legge della Regione, che ha competenze in materia di turismo e pianificazione commerciale. Perché non le usa?
La risposta non è difficile, ma non è piacevole. La Regione (e non solo la nostra, a dire il vero) ha perso quella carica innovatrice che aveva avuto nelle prime legislature, quando furono le leggi delle Regioni – per dirne una – ad anticipare la riforma del Servizio sanitario nazionale: si è burocratizzata, “aziendalizzata”, ha perso obiettivi politici alti, quasi che la politica regionale non possa avere margini di innovazione ma debba accontentarsi tutt’al più di aspirare a qualche forma di collaborazione “al vertice” con il Governo.
Ma non è così: le Regioni sono state dotate dalla Costituzione di un potere legislativo perché solo con una legge possono aprire gli spazi e introdurre novità importanti nella legislazione italiana. Naturalmente i funzionari regionali, abituati e rassegnati a sbattere contro gli ostacoli opposti dalle burocrazie ministeriali, ripeteranno che non si può, che il governo impugnerebbe qualsiasi innovazione promossa dalla Regione. Ma questa è una partita tutta da giocare: le leggi bisogna farle bene tecnicamente e chiare politicamente. Poi si discuterà davanti alla Corte costituzionale della loro legittimità: e la Corte non è il Tar, capisce bene le ragioni delle autonomie, come il ministro per gli affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli, ha dovuto imparare di recente. Ma le ragioni devono essere espresse chiaramente e supportate da una buona elaborazione tecnica. Così si può vincere.