di Andrea Garibaldi *
Forse non è più il caso che i redattori dei giornali diano del “tu” ai loro Direttori, almeno non a tutti. Il “tu” è dovuto storicamente al fatto che i giornalisti sono colleghi, a prescindere dal ruolo, casomai il Direttore è un “primus inter pares”. Ma spesso non è più così.
Il Direttore di giornale (media, organo d’informazione), chi è diventato? Era figura delicatissima, cerniera, garante, mediatore certo, ma pur sempre un giornalista, non ago della bilancia. Ci si pone il problema a seguito di alcuni episodi.
Il primo, 18 novembre 2020, la redazione del Sole 24 Ore sfiducia il Direttore Fabio Tamburini, per lo spazio eccessivo e acritico dato ai dirigenti di Confindustria, padrona della testata.
Il secondo, 8 aprile 2024, la redazione de la Repubblica sfiducia il Direttore Maurizio Molinari, dopo che ha mandato al macero 100mila copie dell’inserto Affari & Finanza per cambiare un pezzo sulle relazioni industriali Italia-Francia, nelle quali è coinvolta la proprietà, il Gruppo Gedi di John Elkann.
Il terzo episodio, 13 maggio 2024, la redazione dell’Agi sfiducia la Direttrice Rita Lofano, per la sua “perdurante assenza” nella vertenza dei giornalisti contro la vendita dell’Agenzia al Gruppo del deputato della Lega Antonio Angelucci. Sono stati anche sfiduciati Luciano Tancredi al Tirreno di Livorno, Piero Anchino al Centro di Pescara, Guido Vaciago a Tuttosport.
A distanza di tre anni e mezzo, di un mese e mezzo e di una settimana Tamburini, Molinari e Lofano sono saldamente al loro posto (e anche Anchino e Vaciago, mentre Tancredi è stato nominato ad altri compiti, a prescindere dalla sfiducia). Solo Molinari ha chiesto di incontrare la redazione per discutere.
In effetti, dopo che un Direttore perde la fiducia del suo corpo redazionale, l’Editore dovrebbe riflettere, ma questi, evidentemente, sono tempi in cui il principio di autorità prevale sul consenso per autorevolezza; e se un Direttore viene messo alle corde dal basso, l’Editore gli rinnova prontamente il pieno mandato.
Quindi, la sfiducia al Direttore, che le redazioni votano come mezzo estremo di protesta, disagio, esasperazione, è anche un mezzo spuntato? Se non succede niente dopo che una redazione dichiara pubblicamente che non crede più nella propria guida, come farà il Comitato di redazione, o l’Assemblea, ad andare a trattare i problemi quotidiani e particolari?
La figura del Direttore è assai singolare. Il Contratto nazionale di lavoro (scaduto il 31 marzo 2016) dedica ai suoi “Poteri” l’articolo 6. Qui si legge che “le facoltà del Direttore sono determinate da accordi da stipularsi tra editore e direttore”. Queste facoltà però non possono “risultare in contrasto con le norme sull’ordinamento della professione giornalistica e con quanto stabilito dal presente contratto”.
Gli accordi fra Editore e Direttore sulla linea politica, sull’organizzazione e lo sviluppo “sono integralmente comunicati dall’editore al corpo redazionale tramite i comitati di redazione, contemporaneamente alla comunicazione della nomina del direttore”. Inoltre, quale primo atto dal suo insediamento, “il direttore illustra all’assemblea dei redattori gli accordi presi con l’editore e il programma politico editoriale concordato con l’editore”.
In queste parole c’è il nodo di tutto. Il Direttore è promanazione dell’Editore, ma è anche tenuto al rispetto delle norme stabilite dal Contratto e dalla legge sull’ordinamento della professione (numero 69, 1963) che dice all’articolo 2:
“E’ obbligo inderogabile dei giornalisti il rispetto della verità sostanziale dei fatti”. E quand’è, di solito, che le redazioni sfiduciano i Direttori? Quando questi, per assecondare l’Editore, tralasciano il rispetto delle regole professionali, fanno stampare informazioni non complete, offrono spazi esagerati all’Editore o a persone ed entità a lui vicine, non proteggono l’informazione dalla commistione con la pubblicità. Insomma, quando il Direttore scivola verso l’Azienda, deroga dal rispetto della verità sostanziale dei fatti.
Il problema delle redazioni è adesso trovare una strategia per il dopo-sfiducia, visto che né gli Editori, né i Direttori di solito cercano di sanare la ferita (anzi, la allargano): questa strategia potrebbe essere un rispetto sempre più rigoroso delle regole giornalistiche da parte dei giornalisti stessi, regole che dall’alto non sono garantite.
Inoltre, poiché miracolosamente dopo otto anni si è riformato il tavolo Fnsi-Fieg per rinnovare il polveroso Contratto attuale, lottare anche per una riformulazione dell’articolo 6, che riporti i Direttori nettamente al centro delle redazioni. Affinché possano tornare a meritarsi il “tu”.
* direttore di professionereporter.eu