“Ma è una follia?” Scappa di dire così dinanzi a una quindicenne che ti annuncia, emozionata, di aver acquistato con le amiche i biglietti per un concerto che, badate bene eravamo a ottobre 2022, si sarebbe svolto a Milano il 15 luglio dell’anno dopo. Cioè ieri, per l’appunto.
Dove? All’ippodromo. Viene subito in mente San Siro. No, a San Siro ci sono gli Iron Maden. E’ l’ippodromo Snai La Maura. Mai sentito, al pari dell’inviata di Rolling Stone e della sua storica amica. A differenza della giornalista della rivista cult “del mondo della musica, della cultura e dell’intrattenimento”, non avevo mai sentito parlare della band che emozionava l’adolescente di cui sopra, gli Artic Monkeys, a tal punto da prenotare l’ingresso dieci mesi prima, e felice di esserci riuscita.
Al pari di tante persone con la puzza sotto il naso, tento di smitizzare con una frase – memore dei ricordi dei concerti dei Rolling Stones, di Vasco, Paolo Conte, Pink Floyd (ah, che tempi) – la band di Sheffield: e chi sarebbero questi smandrappati? mi viene da chiedere, pentendomene in un baleno. Ma voce dal sen uscita…. Lascio immaginare la reazione.
Per una serie di circostanze sfavorevoli, avviene che le amiche debbano rinunciare al concerto. E allora chi va ad accompagnarla a Milano? Chi si sacrifica? La persona meno indicata nel farlo, per via della noia mortale che nella sera di un sabato milanese avrebbe assalito anche il padre più affettuoso.
Sobbarcarsi il viaggio da 250 chilometri, Caronte in agguato, sull’autostrada del Sole che a ogni starnuto o accelerata ti costringe a rallentare o a cambiare corsia non è cosa agevole. E poi per che cosa? Per un concerto che attirerà sì e no qualche migliaia di ragazzi e ragazzine? Una nicchia.
L’area dell’ippodromo si riempie già delle prime schitarrate delle band del contorno: gli Hives, un gruppo di svedesi talmente arrabbiati e urlanti che penso già alla ghigliottina che mi sarebbe caduta sul collo da lì a poco. Aria umida, caldo che solleva l’inferno _ come hanno scritto il Times di Londra e, sullo stesso tono, il Guardian – birra a 8 euro a bicchiere, bibita a 5 e acqua minerale a 3. Una follia anche questa. Ma 65mila giovani non se ne adontano.
Solo giovani? Ma no, ci sono tanti adulti che, penso tra me e me, tentano di fermare il tempo per restare ragazzi. Si brontola qualcosa, ma arriva il momento di ascoltare queste “scimmie artiche”. All’ultimo minuto tento di documentarmi su Google, per capire dove sono capitato. Ma non c’è campo per gli smartphone. E vabbè, stiamo a sentirli.
Si presentano in cinque. Il loro frontman, mi informano, è tale Alex Turner. Cantautore, elegante, strumento al collo. Noto sulla chitarra la E simbolo dell’Europa: un caso, un affronto alla Brexit oppure l’Europa si è messa a produrre anche chitarre elettriche?
Vi risparmio l’elenco e i titoli delle canzoni che quel tipo elegante snocciola e intona con assoluta padronanza della scena per i 65mila. I quali, e qui la prima piacevolissima sorpresa, cantano – insieme all’adolescente in moto perpetuo al mio fianco e al leader stesso degli Artic – tutte le canzoni, parola per parola. In inglese.
Addio “the book is on the table”. Qui l’inglese lo parlano e lo capiscono tutti, ma proprio tutti. Ma la vera grande scoperta di questa mission milanese è un’altra: aver ascoltato, ed esserne rimasto affascinato, un grande cantante. Una voce calda e decisa. Un grande artista, toni straordinari, presenza scenica altrettanto straordinaria. Pubblico entusiasta, nanche a dirlo.
Ammetto il peccato di quella definizione di “smandrappati” pronunciata a voce alta mesi fa, me ne pento e mi scuso. Esco sconfitto dalla competenza di migliaia di persone che hanno sfidato il caldo, le zanzare e l’umidità per accompagnare un tale Alex Turner da Sheffield, a me città nota solo come squadra della League inglese. (La foto è di Maria Laura Artuni su Rolling Stone)
Un grande che non si dà le arie da apostolo del rock sempre pronto a lanciare messaggi. Non ha urlato neanche al pubblico adorante appena è comparso sul palco “Ciaoooo Milanoooo” . Uno che il rock, corrente indie, ce l’ha dentro e che riesce a fartelo sentire con una voce e con tonalità uniche. E che non ha bisogno di sgomitare tra un social, un giornalista amico o un dj altrettanto generoso in immeritati complimenti.
Stamani, la prima cosa che leggo è la recensione su Rolling Stone. La scrive Marianna Tognini, una giornalista che ha visto questo fenomeno prima che la stella dell’ippodromo milanese brillasse anche per i miscredenti della band che piace tanto ai ragazzi e li coinvolge. L’hanno visto e ascoltato dodici anni fa a Bologna.
E che scrive Marianna? “Nella prima data italiana del tour ‘The Car’, il frontman della band inglese ha dato prova di una bravura, un’eleganza e una grazia che nessuno della sua generazione è in grado di vantare. Sul palco esiste solo e soltanto lui, ed è uno spettacolo per gli occhi e le orecchie”.
E poi cita The Guardian: «Esistono pochi frontmen oggi capaci di avvalersi della teatralità tipica della rockstar con la stessa facilità di Alex Turner», ha scritto Sian Cain, circoscrivendone in maniera chirurgica il carisma: una rockstar che pare arrivare dagli anni Cinquanta, capace di tenere il palco come pochi, di una bravura eccezionale e di una grazia quasi extraterrestre”.
“In un mondo di musicisti mitomani smaniosi di sgomitare per farsi notare, Turner fa l’esatto opposto: mette in scena una performance dove l’unica protagonista è la ‘sua’ musica – ancora, senza forse, uno dei songwriter più dotati di sempre – e vince a mani bassissime”. Non avrei saputo dire e scrivere meglio. (Piero Di Antonio)