Audrey Hepburn e Colazione da Tiffany: un binomio impresso nella storia del cinema. Holly è una provinciale – ma molto sofisticata – che vive a New York. Ha frequentazioni di gente di ogni tipo: artisti, ricchi, malviventi. Paul è un giovane scrittore protetto da un’amante più anziana di lui. Holly e Paul abitano nello stesso palazzo. Si conoscono, diventano amici.
La ragazza, che mira a sposare un miliardario, passa da una festa all’altra, rincorre il tempo, è fragile, passa da depressioni profonde a esaltazioni sfrenate. Ma non manca mai, la mattina, rientrando da una festa, di far colazione davanti alle vetrine di Tiffany, la leggendaria gioielleria.
Emergono, dal passato di Holly, scheletri e fantasmi, ma sono solo frutto della sua ingenuità. E comunque, sposare un ricchissimo messicano cancellerà tutto. Ma il magnate si tira indietro. A Holly rimane Paul, che l’ama davvero, e forse anche lei contraccambia. Alla fine i due si abbracciano nella pioggia scrosciante.
Un classico della commedia americana, ma con tanti valori aggiunti, a cominciare da Truman Capote, autore del romanzo. Il film, nei decenni, è diventato un sempreverde. Anche se molti episodi e caratteri sono di maniera e scontati, qualche magia continua ad essere dispensata.
A cominciare da Audrey Hepburn, nevrotica e insicura, da proteggere e scusare. Un personaggio certo datato, ma trasferibile decennio dopo decennio anche ai caratteri contemporanei, dove vale più che mai lo smarrimento e la ricerca di un’identità. C’è poi la canzone Moon River di Henry Mancini, diventata uno dei grandi temi abituali del cinema, sempreverde, appunto, e frequentatissimo.
Comunque la Hepburn riesce a impersonare una nuova e fresca femminilità: eccentrica, emancipata, padrona di quel savoir-faire provocatorio che non scade mai nella volgarità e che la consacrerà a icona.
Indimenticabile la scena iniziale di una New York deserta, con Audrey Hepburn in tubino nero firmato Givenchy e un biscotto danese mangiato (con grande sforzo) davanti alla vetrina della gioielleria più famosa della città che, per l’occasione, aprì la prima volta di domenica.
E poi Tiffany: impari, per esempio, che lì puoi comprare anche spendendo solo dieci dollari. Nessuna agenzia pubblicitaria e nessun budget avrebbero potuto valere la “testimonial” Hepburn, davvero una delle attrici e dei personaggi più significativi del cinema e del secolo, capace, come forse nessuna, di dettare mode e comportamenti, e sogni.
Nel film l’attice è Holly Golightly, ad affiancarla sul set ci sono, tra gli altri, George Peppard, che interpreta Paul Varjak, il vicino di casa di Holly, Mickey Rooney (Oscar giovanile nel 1939 e Oscar onorario nel 1983), Patricia Neal (Oscar alla migliore attrice protagonista nel 1964) e Buddy Ebsen.
Il film, nelle sale il 1961, è tratto da un libro di Capote (Breakfast at Tiffany’s). Per quanto riguarda la sceneggiatura di Colazione da Tiffany, è George Axelrod a occuparsene, che, proprio per questo suo lavoro, ottiene la candidatura al premio Oscar.
Per la sua interpretazione la Hepbrun ha ottenuto la candidatura all’Oscar come migliore attrice protagonista, premio che aveva vinto nel 1954 per Vacanze Romane. Per restare in tema di riconoscimenti, Hepburn per il suo ruolo in Colazione da Tiffany ha vinto il David di Donatello come migliore attrice straniera: premio che già aveva vinto nel 1960 per la sua interpretazione nel film La storia di una monaca e che rivincerà nel 1965 per My Fair Lady.
Curiosità: nella scena del fischio che Holly utilizza per chiamare il taxi, Audrey Hepburn è stata doppiata in quanto non sapeva fischiare. Il ruolo di Holly oggi legato indissolubilmente ad Audrey Hepburn, in realtà era secondo Capote perfetto per un’altra attrice icona, Marilyn Monroe
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