I giudici dell’Alta Corte di Londra hanno rinviato il verdetto sull’appello contro la procedura di estradizione di Julian Assange. Il giornalista tra qualche giorno conoscerà il suo destino: se restare nel carcere di massima sicurezza in Inghilterra oppure se ritrovarsi tra breve negli Stati Uniti dove rischia una condanna a175 anni di carcere.
Una vicenda che mette in risalto il durissimo attacco alla libertà di stampa da parte di un Paese, gli Stati Uniti con la complicità inglese, che ne ha fatto un baluardo e che stavolta, pur di nascondere crimini di guerra in Iraq, Afghanistan o Guantanamo, perseguita un giornalista colpevole di averli fatti conoscere al mondo attraverso WikiLeaks.
La motivazione è quella di proteggere le fonti degli apparati di sicurezza americana come se le cosiddette fonti, che altro non sono se non i “complici” consapevoli dei crimini commessi. Assange, come qualsiasi giornalista avrebbe fatto, ha reso pubblico ciò che non doveva essere divulgato. Un colpo per il Paese in cui la Suprema Corte stabilì – nella vicenda dei Pentagon Papers, ovvero della diffusione delle carte segrete sulle menzogne e le omissioni nella guerra in Vietnam – che la libera stampa deve servire i governati non i governanti. Il caso Assange è l’ennesima dimostrazione di come troppo spesso il potere e i crimini non accettano di essere messi in stato d’accusa. Oggi sapremo se oltre a Berlino “esiste un giudice a Londra”.
LE UDIENZE. Assange non si sente bene e anche oggi non ha partecipato, neanche in video collegamento, all’udienza davanti all’Alta corte britannica. E’ l’ultimo disperato tentativo dei suoi legali per impedire l’estradizione del fondatore di WikiLeaks negli Stati Uniti, dove deve affrontare le accuse di spionaggio.
Nel corso dell’udienza di due giorni si dovrà valutare se Assange possa ottenere il permesso di presentare ricorso contro una decisione di estradizione presa nel 2022 dall’allora ministra dell’Interno, Priti Patel.
Se l’appello venisse accolto, Assange avrà un’altra possibilità di discutere il suo caso in un tribunale di Londra, con una data fissata per un’udienza completa. Se i giudici dovessero respingere la richiesta, è possibile che il fondatore di WikiLeaks venga immediatamente inviato negli Stati Uniti. In caso di decisione negativa, potrebbe sempre rivolgersi alla Corte Europea per i diritti umani, ma si teme che possa essere estradato prima di poter presentare ricorso.
In aula, l’avvocato di Assange, Ed Fitzgerald, ha affermato che il suo cliente è vittima di “una ingiustificata interferenza nella libertà di parola”. “L’accusa – ha aggiunto – è politicamente motivata”, è “perseguito per essersi impegnato nella normale pratica di giornalismo di ottenere e pubblicare informazioni riservate, vere e di ovvio e importante interesse pubblico”.
Un altro dei suoi legali, Mark Summers, ha poi dichiarato all’Alta Corte che gli Stati Uniti avevano un piano per rapire o avvelenare Assange mentre era ospite dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, che gli ha offerto asilo per quasi sette anni. Piano che sarebbe fallito per l’opposizione delle autorità britanniche.
Gli Stati Uniti pretendono che il cittadino australiano di 52 anni sia estradato dopo essere stato accusato più volte, tra il 2018 e il 2020, in relazione alla pubblicazione da parte di WikiLeaks nel 2010 di file relativi alle guerre guidate dagli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan. Il sito fondato da Assange ha pubblicato centinaia di migliaia di documenti segreti statunitensi all’inizio dello scorso decennio, per una delle più grandi fughe di dati nella storia del Paese.
La moglie, Stella Assange, ha dichiarato: “La sua vita è a rischio ogni singolo giorno che trascorre in prigione. Se verrà estradato, morirà”, e ha evidenziato le condizioni di salute fisica e mentale sempre più precarie di Julian, dopo quasi 5 anni di detenzione in isolamento nel carcere di massima sicurezza londinese di Belmarsh, dove resta rinchiuso in attesa del responso sull’estradizione, malgrado nel Regno da tempo non abbia più alcuna pendenza penale.
Ha quindi ricordato come queste udienze rappresentino un ultimo tentativo di fronte alla giustizia britannica per bloccarne la consegna – già autorizzata a livello politico dal governo conservatore di Londra – agli Stati Uniti.
“Julian è un prigioniero politico e la sua vita è a rischio: ciò che è successo a Navalny potrebbe succedere a lui” in America, ha detto, parlando davanti al Tribunale. “Gli Stati Uniti stanno portando avanti una persecuzione politica nei confronti di un giornalista che ha esposto i loro crimini in Afghanistan. Gli Stati Uniti stanno usando il loro sistema legale per perseguire e intimidire tutti noi. Perché stiamo parlando di tutti noi, della nostra libertà di parlare senza essere accusati e incarcerati”.
Il fratello del fondatore di Wikileaks, Gabriel Shipton, si è detto molto preoccupato per la sua salute. Ha detto che Julian sarebbe in “una posizione molto delicata” e che sta “attraversando immense sofferenze” nella prigione di Belmarsh, dove si trova dal 2019.