di Davide Piacenza *
(da Wired.it) Sant Cugat del Vallès, a mezz’ora di auto dalle ramblas di Barcellona, è una cittadina tranquilla, con una grande zona industriale sul limitare di placide colline. Qui sorge il più grande hub europeo di ricerca sulla stampa 3D di Hp, nonché uno dei più grandi del mondo: 14mila metri quadrati di spazi dedicati all’innovazione, che fanno del brand il leader del settore.
Visitiamo un grande Demo Center che stupisce per la varietà degli oggetti “stampati” presenti nella stanza: ci sono protesi anatomiche, scarpe sportive, parti per l’industria automobilistica, occhiali, maschere da snowboard e persino un drone.
Con le sue due divisioni polimeri plastici e metallo, Hp studia – e investe – in soluzioni end-to-end per i clienti, come ci spiegano i grand commis dell’azienda. I responsabili delle due branch, Ramon Pastor (metallo) e François Minec (polimeri) sono luogotenenti di un impero in espansione: soltanto la divisione dei polimeri nell’estate dell’anno scorso aveva già stampato più di 200 milioni di oggetti, con macchine prodotte nella factory di Singapore. Una struttura di ricerca e sviluppo imponente, con circa 300 dipendenti al lavoro su un centinaio di stampanti.
Ecco, le stampanti: i fiori all’occhiello della casa si chiamano Jet Fusion 5200, 5400 e 5600 Series, per i polimeri plastici, e S100 Metal Jet Solution, per il metallo. Viste da vicino sono grandi – o enormi, nel caso della Metal Jet – macchinari industriali dal funzionamento poco noto al pubblico: prima le speciali polveri delle materie prime vengono portate con appositi carrelli all’interno della stampante, e poi inizia la stampa vera e propria, che può durare dalle 5-6 fino alle 12 ore.
L’oggetto viene creato, strato dopo strato, stendendo la polvere e depositando due agenti (fusione e dettaglio), quindi fondendo la sezione del pezzo. Dopo migliaia di cicli, la macchina ha prodotto in tre dimensioni qualcosa che prima non c’era.
Savi Baveja, chief of strategy di Hp, ci accoglie con modi affabili e ci parla delle direzioni di espansione del dipartimento stampa 3D: “Stiamo ricercando nuovi materiali per l’automotive, per il settore delle protesi sanitarie e per altri segmenti di mercato. Il PA12, o poliammide, che usiamo attualmente è il migliore per le sue proprietà meccaniche e dimensionali, e i clienti apprezzano le nostre soluzioni perché migliorano la prevedibilità dell’output produttivo”.
Fra le divisioni la più “giovane“ e pionieristica è quella dei metalli, nata nel 2016 e dedicata alla produzione: consiste anche di sistemi di raffreddamento e fornaci e ha portato a una partnership con GKN Powder Metallurgy, che produce più di 3 miliardi di parti in metallo ogni anno.
Qui la stampa vera e propria dura otto ore, ma l’intero processo può portare via dai due ai quattro giorni, e il titanio è il materiale che la fa da padrone. Sul piano della sostenibilità, spiega Baveja, Hp sta lavorando ad alternative di polveri bio, come il PA11, che però attualmente costa di più e quindi è meno utilizzato dai clienti. E, soprattutto, al programma di riciclo che porta l’azienda a gestire la raccolta e lo smaltimento degli scarti delle lavorazioni.
Interessante, infine, è anche la divisione footwear: Hp ha annunciato un accordo di produzione con il marchio di scarpe da corsa Brooks, ma “sono tanti i marchi del fashion e del lusso interessati a questa tecnologia”, aggiunge Don Albert, designer a capo della divisione con un passato in Adidas e Reebok.
“Sempre più compagnie producono on demand”, e questo rende il settore denso di opportunità per il 3D printing, che richiede soltanto 72 ore più dello standard, con una stampa conclusa in quattro ore e mezza. A Barcellona si produrranno – stamperanno – 10mila scarpe a marchio Brooks, ma si potrà arrivare a 50mila: a toccare uno dei primi esemplari finiti, si fatica a credere che sia il prodotto di una stampante. Eppure, come dice un proverbio spagnolo, «basta crederci e le rose fioriscono anche a Natale».
* Giornalista culturale, autore del libro La correzione del mondo (Einaudi, 2023)