lunedì 25 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

BIDEN / Il procuratore: “Smemorato”. Il presidente: “Ma come si permette?”

Un’assoluzione sul versante penale, una condanna su quello politico. Si può sintetizzare così, il rapporto del procuratore speciale Robert Hur sulle informazioni riservate che Joe Biden ha conservato e a quanto pare condiviso – documenti sensibili ritrovati nelle sue abitazioni private e risalenti al periodo in cui era vicepresidente di Barack Obama.

Le conclusioni dell’indagine scagionano Biden da responsabilità di ordine penale, ma contengono critiche taglienti alla sua gestione e alle sue capacità di memoria – tanto da fare più danni di un’imputazione formale, in vista dello scontro di novembre con Donald Trump per la Casa Bianca. Tanto da indurre un Biden visibilmente arrabbiato a convocare sui due piedi una conferenza stampa per rispondere di persona.

Robert Hur, repubblicano, procuratore in Maryland durante l’amministrazione Trump, fu nominato consulente speciale sul caso poco più di un anno fa, nel gennaio 2023, da Merrick Garland, procuratore generale degli Stati Uniti. Poco prima, a inizio anno, lo stesso staff di Biden aveva comunicato alle autorità la scoperta di documenti contrassegnati come riservati nella residenza privata di Biden nel Delaware e in un suo ufficio privato, utilizzato nel periodo tra la vicepresidenza e la presidenza. Si trattava di appunti scritti a mano da Obama e altre carte concernenti riunioni di intelligence, comunque riguardanti la sicurezza nazionale.

La vicenda aveva molte similitudini con quella di Donald Trump, anche lui coinvolto nel ritrovamento di documenti coperti da segreto: oltre venti scatoloni contenenti più di 13mila carte, scoperti in alcune delle sue residenze private – inclusa la villa-resort di Mar-a-Lago, in Florida, che l’ex presidente usa come abitazione principale. Con la differenza che Biden ha collaborato da subito, mentre Trump ha mantenuto un atteggiamento apertamente ostile alle indagini, che sono sfociate poi a giugno scorso in una incriminazione formale con 37 capi d’accusa.

Nel caso di Biden, l’indagine di Hur dice che il presidente ha conservato e condiviso intenzionalmente – con un suo ghostwriter – informazioni altamente riservate nel periodo in cui non ricopriva cariche amministrative: ma conclude anche che non ci sono elementi sufficienti per un’incriminazione. Il dipartimento di Giustizia, si sostiene, non potrebbe provare la responsabilità penale di Biden oltre ogni ragionevole dubbio, in particolare trattandosi di persona così anziana.

Proprio qui sta il veleno. Nel suo rapporto, 345 pagine, Hur sostiene che a causa dell’età avanzata la memoria dell’81enne Biden è “confusa”, “difettosa”, “scarsa” e con “limitazioni significative”. È un’assoluzione per le responsabilità penali del presidente ma un impietoso atto di accusa per le sue facoltà mentali. Si cita a esempio il fatto che il presidente non ricorderebbe eventi importanti della sua vita famigliare: come la data della morte di suo figlio Beau – ucciso da un cancro nel 2015.

“Come diavolo osa sollevare una cosa del genere?”, risponde Biden all’accusa di non ricordare la morte del figlio. Lo fa con una breve conferenza stampa, convocata in fretta e furia giovedì sera alla Casa Bianca – in piena notte italiana. Si presenta ai giornalisti visibilmente irritato.

“Non ho mai condiviso informazioni riservate”, insiste, aggiungendo di non sapere come i documenti riservati siano finiti nel suo garage. Ma sono le illazioni sulla sua salute a bruciare di più. Biden sottolinea di essere stato intervistato di persona per cinque ore sui temi dell’indagine l’8 e 9 ottobre, proprio all’indomani dell’attacco di Hamas contro Israele, “mentre ero nel mezzo di una crisi internazionale”. E poi: “Sto bene, non ho risposto alla domanda su mio figlio Beau perché non sono affari loro, non ho bisogno che nessuno mi ricordi quando è morto”.

I giornalisti gli chiedono esplicitamente se non creda di dover lasciare spazio a un candidato democratico più giovane per la difficile sfida di novembre contro Trump. Lui risponde di essere “la persona più qualificata del Paese a svolgere il lavoro di presidente”. E ancora: “La memoria va bene”. Salvo poi, rispondendo a una domanda sulla guerra di Gaza, definire il leader egiziano Al Sisi come il “presidente del Messico”.

L’età di Biden – o più precisamente le sue facoltà cognitive – sono da tempo un dato politico cruciale. Gli avversari repubblicani, primo fra tutti ovviamente Trump, lo accusano di essere ormai troppo vecchio, facile alle gaffe e ai lapsus: quindi, “debole”, “perdente”, inadatto a gestire il timone della prima superpotenza mondiale. Si citano le volte in cui è inciampato salendo sull’aereo, una caduta dalla bicicletta, il suo incedere lento, perfino la tosse e la voce incerta. O le volte in cui ha detto di avere parlato con Mitterrand e Kohl – morti entrambi da tempo – invece che con i leader attuali di Francia e Germania.

Il tema funziona: un sondaggio recente dice che Biden è troppo vecchio per governare altri quattro anni secondo il 77% degli americani in età per votare (l’89% dei repubblicani e il 69% dei democratici). Per dirla con un portavoce della campagna elettorale di Trump: “Se sei troppo rimbambito per affrontare un processo, allora sei troppo rimbambito per essere presidente”.

Non che lo stesso Trump sia esente da errori, gaffe e vuoti di memoria. In un discorso di pochi giorni fa, ha ripetutamente confuso l’ex ambasciatrice all’ONU Nikki Haley, sua principale avversaria per la nomination repubblicana, con la deputata Nancy Pelosi, ex presidente della Camera dei Rappresentanti, democratica. Qualcuno dice che l’abbia fatto apposta. (In collaborazione con RaiNews)

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