Verso quale futuro si stanno dirigendo le città dell’Emilia? La domanda arriva spontanea leggendo le polemiche delle ultime settimane su Bologna “ormai invivibile”, secondo un articolo pubblicato dal New York Times o prestando attenzione alle rimostranze di numerosi abitanti dei quartieri del centro. Situazioni che possono benissimo essere trasferite in altre città, come Ferrara, non da oggi oggetto di polemiche per le politiche messe in atto dal Comune per quanto riguarda il suo centro storico ormai invaso, a tutte le ore, da auto e da un traffico commerciale che appare ai più parecchio sospetto. Più che città dal passato nobile e accogliente, sembra di vivere in un’enorme pizzeria a cielo aperto, dove i grandi dilemmi riguardano che pizza o vino ordinare. Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia… chiamarle ormai pizzerie city non è un’esagerazione.
Non va sottaciuto, per restare nella città degli Estensi, che negli ultimi mesi hanno aperto a ridosso del Castello due pizzerie, molto frequentate, mentre ai lati delle vie principali si allunga la sequenza di negozi con le serrande abbassate. Quella del “food”, del tagliere, del calice di rosso o di prosecco sembra l’unica attività commerciale che abbia un futuro e che valga la pena intraprendere. I centri storici si sono trasformati, fateci caso, in enormi distese di tavolini. Passeggiare in alcune vie, ad alcune ore della giornata, equivale a uno slalom, figuriamoci se si va in bici. A nulla valgono proteste e critiche. Cresce ovunque il malumore per l’avanzata incontrollata del food, del cibo rapido e nei fatti incontrollato, attività commerciali che di fatto nascondono la città vera. (Nella foto, via Aleardi a Ferrara)
A scatenare roventi polemiche su Bologna è stato il grande giornale americano che, con un articolo di Ilaria Maria Sala, descrive “la dotta” come invasa dal food, una “città del tagliere” e neanche di grande qualità. La giornalista che vive a Hong Kong, ha scritto, suscitando le ire del sindaco Lepore, che “poco più di dieci anni fa, la mia città natale, Bologna, non era considerata una grande meta turistica”. Poi però “le compagnie aeree low cost, gli affitti a breve termine e i social media hanno cambiato tutto”. Oggi Bologna sta diventando “a tutti gli effetti” una di quelle città in cui “evitare le strade troppo affollate del centro”. E “alcuni degli effetti di questo cambiamento sono stati tipici, come i proprietari che hanno convertito gli appartamenti in affitti a breve termine, il che ha aumentato gli affitti e ha spinto gli studenti più lontano dall’università e verso le città più piccole della periferia”. Da qui in poi l’articolo parla dello smodato consumo di mortadella nei negozi del centro e di quanto le attività commerciali abbiano puntato in maniera quasi esclusiva sul tipico salume bolognese.
Apriti cielo. La risposta di Lepore non si è fatta attendere, sebbene il problema persista, anzi lo li possa estendere a tutta l’Emilia.“Come sindaco voglio esprimere la mia più forte indignazione nei confronti di chi insulta la nostra città dipingendola come un mangificio di mortadella” ha scritto Matteo Lepore su Facebook citando alcune ‘eccellenze’ come l’Accademia di Belle Arti, la Cineteca o la Business School, per poi passare ai veri problemi. Delle difficoltà di trovare una casa a Bologna se ne parla ormai da anni e l’amministrazione ha risposto con il Piano per l’abitare da oltre 200 milioni di euro. Bologna rimane sempre – sostiene il sindaco – una città dotata di un welfare solido e in grado di allargarsi di anno in anno. Le città sono la frontiera e il luogo del conflitto tra i vecchi e i nuovi interessi. Tutti viviamo le stesse contraddizioni ma, vi assicuro, nessuno penserebbe mai di definire Bologna una città con cervello, cuore e occhi intasati di mortadella”.
Ormai il fiume delle polemiche ha rotto gli argini. A prendere posizione e a descrivere una Bologna diversa da com’era alcuni anni fa, sono anche gli abitanti e i vari comitati che da tempo pungolano l’amministrazione affinché corra ai ripari e impedisca che la città si arrenda a “lobby commerciali insaziabili”. Un impietoso campanello d’allarme, proprio sull’onda della polemica suscitata dall’articolo del Nyt, arriva anche dal Comitato “Moline (r)esiste” che attraverso un intervento sul sito Cantiere Bologna di Giuseppina Camellini ricorda che i problemi sulla degenezione in atto restano e che ormai la città sia costamente “umilitata dalle lobby”. (PdA)
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BOLOGNA UMILIATA DALLE LOBBY INSAZIABILI
di Giuseppina Camellini *
— Ci dispiace per il nostro Sindaco ma non siamo altrettanto indignati per l’articolo di Ilaria M. Sala che ha descritto sul New York Times lo sconsolante stato di tante antiche strade della nostra città e lo sconforto di chi le abita. Le siamo anzi grati per aver suscitato un’attenzione inaspettata su quella piaga che, con minor fortuna, noi residenti andiamo da diversi anni denunciando, senza trovare grande ascolto.
Ben venga dunque finalmente una discussione collettiva sulla degenerazione commerciale in atto, su certe potenti catene imprenditoriali, su guadagni spropositati e personale sfruttato e mal retribuito, sulla scadente qualità del cibo che svilisce la nostra tradizione gastronomica, sull’espulsione di ogni altro tipo di attività commerciale di vicinato, sull’uso dello spazio pubblico barattato con la vivibilità dei residenti a vantaggio di pochi, sul degrado e la perdita di identità dei luoghi.
Stiamo assistendo attoniti all’accaparramento di ogni spazio commerciale da parte di rapaci imprenditori, privi di etica, scrupoli e rispetto, che stanno stravolgendo definitivamente il volto di intere zone del centro storico. Non intendiamo rassegnarci a una città ogni giorno di più umiliata, in balìa dell’arroganza di una lobby commerciale insaziabile, spregiudicata e senza altro valore che non il profitto.
Noi residenti resistenti, un tempo innamorati della vivace zona universitaria, a fatica continuiamo a resistere alle lusinghe del mercato degli affitti brevi solo perché questo mercimonio della nostra antica e nobile città ci fa profondamente schifo.
In via delle Moline non possiamo raggiungere il nostro portone con l’auto che dalle 20 alle 10.30 del mattino. Le normali esigenze di carico/scarico di spesa settimanale, suppellettili ingombranti, bagagli di viaggio, ma anche di accompagnamento bambini o anziani, sono totalmente condizionate da tali assurdi orari. Già di per sé questa viene percepita come un’ingiusta limitazione, ma il vero insopportabile paradosso è che nella nostra strada il divieto viene rispettato solo dai residenti, perché di fatto commercianti e loro fornitori lo violano da sempre ogni santo giorno, entrando da furbetti in contromano o a marcia indietro per eludere le telecamere e sostando a piacimento in orari non consentiti (ciò documentato e segnalato allo sfinimento all’Amministrazione senza effetti tangibili).
Ma non solo. Come noto di sera la strada è “murata” causa movida e passare tra tavolini a destra e sinistra e pedoni al centro diventa un’impresa che scoraggia il residente a sfruttare quell’esiguo diritto di transito, confinato alle ore piccole. Il risultato è che alla fine noi abitanti ci sentiamo in colpa, siamo noi gli intrusi!
La corsia centrale – metri 3.50 – libera da tavolini per consentire il passaggio dei mezzi di soccorso e dei residenti, conquistata con fatica e impegno, in realtà non si è mai vista, non esistendo alcun segno fisico di delimitazione dello spazio assegnato a ciascun esercizio; sicché i dehors hanno buon gioco a dilatarsi a piacere in funzione della domanda, tanto si sa che i controlli sono pochi o nulli. Se poi il residente avesse l’ardire di lamentarsi e far presente che quella corsia deve essere garantita, ciascun gestore affermerà di occupare coi tavolini esattamente lo spazio che gli è stato assegnato. I conti però non tornano, basta vedere la foto del 3 agosto a mezzanotte in copertina. (Foto sotto il titolo).
Da anni chiediamo all’Amministrazione, anche nella persona dell’Assessora, e senza venirne a capo, che una buona volta sia indicato sulla pavimentazione lo spazio concesso a ogni dehor. Si continua ad accampare la necessità del nulla osta della Soprintendenza per apporre borchie di metallo (che poi permarrebbero obsolete a imperitura memoria, come il famoso percorso per non vedenti dal Cavazza alla stazione) mentre sarebbe più rapido, economico, reversibile – e dunque sensato – segnare semplicemente con quattro tratti di vernice gli angoli entro cui i tavolini sono autorizzati a stare. Così che risulti lampante a tutti distinguere, in modo inoppugnabile, chi rispetta le regole e chi fa il furbo.
Perché possiamo affermare senza tema di smentite che in via delle Moline, dal 2020, tutti fanno i furbi contando sull’impunità e mal che vada, in caso di sanzione, sul comunque più che vantaggioso bilancio costi/benefici. Non ci trastulliamo con Proust, anzi ci sentiamo molto terra terra nell’essere costretti a insistere ancora per ottenere misure tanto banali e scontate, essenziali per un immediato controllo delle infrazioni.
È aberrante che la trasformazione della città sia dettata da interessi di parte e dalla presunta inevitabilità dell’overturism. Il futuro di Bologna dovrebbe essere discusso e prefigurato dalla politica, si spera guidata da nient’altro che l’interesse collettivo. E così pure le associazioni di categoria, che non brillano per lungimiranza, dovrebbero interrogarsi sulle loro evidenti responsabilità riguardo all’attuale triste deriva.
P.S. Ci ha fatto piacere sapere che il Sindaco ha contattato la giornalista per scusarsi e chiarire.
* Comitato Moline (r)esiste da Cantiere Bologna