venerdì 22 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

Capitale drogata=Nazione infetta

di Piero Di Antonio

– A Roma “il traffico di stupefacenti è quasi fuori controllo perché la domanda, a qualsiasi livello, è enorme”. Questo, uno dei passaggi chiave dell’audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia del procuratore della Repubblica di Roma, Francesco Lo Voi. Situazione allarmante, in cui prosperano mafie tradizionali e clan di recente costituzione.

Ad aggravare lo scenario il pericolo che i soldi del Pnrr finiscano nelle loro tasche e che ci si limiti a considerare l’abuso d’ufficio solo un reato-spia. E’ un reato che apre molro porte. Il traffico di droga è uno dei comparti più prosperi del commercio illegale nella Capitale e garantisce enormi profitti a una molteplicità di organizzazioni criminali. E a gruppi di colletti bianchi.

Dinanzi alle parole del magistrato, riaffora subito l’articolo di Manlio Cancogni sull’Espresso, il settimanale fondato da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari, nel dicembre di 68 anni fa: “Quattrocento miliardi”. In copertina il titolo era invece “Capitale corrotta=nazione infetta”. Rimase celebre per la sua denuncia del dilagare della speculazione edilizia a Roma. Fece enorme scandalo perché, ovviamente, fotografava e diceva la verità.

Oggi – al posto della speculazione edilizia, che ha devastato la capitale con una delle più brutte e abbandonate periferie d’Italia – dovremmo scrivere, parafrasando quel titolo, Capitale drogata=Nazione infetta. Perché la droga, in primis la cocaina, ha devastato e sta devastando il corpo sociale di una grande città e, per la logica estensione del fenomeno che suggeriscono le cronache, un grande Paese.

La relazione del procuratore comincia con un paragone con i sette anni passati alla procura di Palermo. “Lì – ha detto Lo Voi – la situazione era chiara: c’era Cosa Nostra, che occupava l’80 per cento delle indagini. Qui abbiamo una serie di mafie, alcune discendenti da Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e camorra, altre nate qui ma legate alle mafie tradizionali. Poi ci sono la mafia albanese, quella nigeriana e le altre di origine internazionale”.

Cercano di prosperare ed espandersi ma il territorio, per quanto esteso, è limitato. E per convivere si collabora, ci si spartisce le piazze, finché non sorgono contenziosi che si risolvono con altri crimini: sequestri di persona, gambizzazioni, incendi, omicidi.

Ma non c’è solo la droga. Per capire dove operano le organizzazioni criminali basta seguire la traccia dei soldi. Come quelli in arrivo dal Pnrr, su cui bisogna stare molto attenti. L’abuso d’ufficio non può essere considerato solo un “reato-spia”, ma un reato che permette di ottenere una serie di risultati: ad esempio gli appalti per le mense, la gestione rifiuti, la riparazione di strade.

Poi ci sono i soldi da riciclare, quelli guadagnati con l’attività criminale: “Esistono – ha spiegato il procuratore di Roma – organizzazioni che si occupano esclusivamente di riciclaggio, che svolgono la funzione di agenzie di servizi. Il riciclaggio non è solo ripulitura dei capitali illeciti ma reinvestimento, ossia inserimento della criminalità organizzata nei settori economici legali, primo tra tutti quello della ristorazione, con disponibilità di denaro ben superiore a quella degli operatori ordinari, tutto ciò determina l’alterazione del mercato e della concorrenza”.

Come si scopre la mafia. Lo Voi ha descritto il lavoro della Direzione Distrettuale Antimafia elencando i principali settori in cui è stata riscontrata l’attività dei clan. Come quello dei rifiuti. La DDA ha portato a misure cautelari per traffico illecito e inquinamento ambientale ddl depuratore di Ceccano. A dicembre 2021 sono state eseguite misure cautelari, sempre per traffico illecito di rifiuti speciali, fanghi di depurazione provenienti da un impianto Acea e di fosse settiche provenienti dai campi rom di La Barbuta e Castel Romano. Un’altra società è stata raggiunta da decredo di sequestro preventivo del gip ad aprile 2021. Altre indagini a Ardea e a Latina.

È parlando di Latina che il procuratore individua almeno un caso di collusione tra mafia locale e politica. “Vi sono state delle condanne per il reato da 416bis, e una delle due aree di intervento si occupava di finalità di natura elettorale. Ci si incanalava verso quei settori per ottenere, non soltanto voto di scambio, ma per avere appoggio e sostegno nella gestione della campagna elettorale”.

Tra i clan autoctoni c’è il clan Spada a Ostia che sembra testimoniare come il fenomeno mafioso non si possa sradicare solo con gli arresti: “È un altro di quei capitoli che non si chiudono solo perché vengono arrestati alcuni soggetti proprio perché il rischio di collegamento con ambienti mafiosi più qualificati rimane”. E prospera.

E qui bisogna spendere parole di elogio per una sindaca, Virginia Raggi, che ha avuto il coraggio di affrontare i clan. Ma è stata massacrata dai giornalisti, che non le hanno riconosciuto alcun merito, e punita dagli elettori che non l’hanno rivotata.

Quindi una capitale, Roma, diventata non da oggi capitale della droga. Le parole del procuratore dovrebbero, badate “dovrebbero”, far riflettere sulla deriva che ha raggiunto l’Italia. Ma l’attenzione, ahinoi, è tutto molto debole. Come mai? Semplice, la cocaina è uno degli stupefacenti più richiesti dal mercato dello sballo. Non solo a Roma, però. La cocaina è la seconda droga illegale più utilizzata a livello globale, dopo la cannabis.

E’ la droga dell’efficienza, così come richiede una società votata all’essere sempre presenti, in forma, concentrati, con la mente scattante e, ma solo in apparenza, lucida.  Ti fa perdere il contatto con la realtà e ti dà una sensazione di felicità. Quindi viene sdoganata nella percezione di una certa parte dell’opinione pubblica, perché l’alcaloide ti prepara a vivere una giornata da leoni, desiderio di tanti personaggi in carriera o aspiranti tali.

Magari viene dimenticato, in un carcere qualsiasi della penisola, qualche giovane ammanettato perché trovato con pochi grammi di hashish. Voleva farsi uno spinello, una canna. “E’ un drogato, è un drogato” urlavano i benpensanti nascosti dietro le penne di giornalisti compiacenti e ben allenati alla ferocia verso gli ultimi. “In galera, gettate le chiavi” ripetevano.

Non risulta agli atti del giornalismo italiano una simile e reiterata invocazione per tanti ragazzi rovinati da minime quantità di droga, dall’alcol, dalla leggerezza dei tempi e dell’età. Un grande favore fatto alla criminalità, al quale il sistema politico e mediatico si è sottomesso.

Ci sono stati importanti personaggi che la droga, ovviamente polvere bianca, se la facevano portare dallo spacciatore a Palazzo Chigi; oggi il percorso è più breve, la consegna è a Palermo, direttamente nell’auto blu. Milano dicono, e non si stenta a crederlo, che galleggi su fiumi di coca, purtroppo richiestissima anche dai giovanissimi.

Nelle discoteche ne gira parecchia ma vale anche lì la consuetudine del consumo di  alcol: è vietato servirlo agli under 16, ma nei fatti si beve a cannella. Droga se ne spaccia ovunque, dalle Alpi alle Piramidi, a Firenze, a Bologna, a Ferrara, a Napoli, a Bari, negli uffici dei manager e dei professionisti. Un dubbio: ma se la droga ha un mercato così vasto e capillare e una richiesta così forte, come mai non vengono individuati e perseguiti in un batter d’occhio coloro che la spacciano?

Esiste forse un tacito accordo di omertà tra il mafioso della ‘ndrangheta (l’organizzazione mafiosa che controlla la distribuzione della polvere bianca nel mondo) e la classe dirigente che dovrebbe contrastarla? Non si sa. Ma sappiamo però che da questo commercio si traggono miliardi di euro che vanno ad alimentare il riciclaggio di denaro sporco che fa la fortuna di tanti colletti bianchi, gente inappuntabile, con abito giusto e fuoriserie in garage.

Un’ultima domanda, una curiosità. La cocaina viene prodotta e smerciata dai cartelli dell’America latina. I narcos possiedono, ben protetti, conti di miliardi di dollari nei forzieri di grandi banche talmente efficienti che se vai in rosso di 50 dollari ti scoprono in un nanosecondo e ti chiedono di rientrare.

Ma quando all’inappuntabile, servile e sorridente banchiere si presenta il tizio che dice di chiamarsi Escobar, Guzman o Garcia, oppure qualche elegante emissario delle cosche e depositano in contanti milioni di dollari sul conto come mai non sovviene un dubbio: ma da dove vengono tutti questi soldi? Lo sanno già, oh se non lo sanno… Ma forse non sono banchieri, meglio chiamarli ricettatori.

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