di Giangi Franz *
— Da qualche anno il tema dell’overtourism domina il dibattito fra le persone colte, istruite, preoccupate per le sorti del Pianeta, dell’Umanità, del Patrimonio, della Cultura.
Anche sui grandi giornali sempre più in mano agli oligarchi del globalismo il tema è ricorrente. E l’accento è sempre critico, pessimistico, preoccupato
.
Chiunque ne parli o ne legga non si astiene tuttavia dall’essere parte stessa del problema, come ben spiegò Marco D’Eramo nel 2017. La differenza è che molti di costoro, anche per distinzione (Bourdieu), si definiscono ‘viaggiatori’ e non turisti, condizione troppo volgare e bassa perché di massa (ancora D’Eramo).
per i luoghi bersaglio di questo flusso mondiale di uman
É evidente che l’overtourism costituisce un problema grande come un grattacielo per i luoghi bersaglio di questo flusso mondiale di umani, di denaro, di impatti ambientali. É evidente e indiscutibile.
É così non per colpa di qualche sindaco (che di colpe ne hanno Comunque sempre), di presidenti di Regione o di qualche ministra. É così perché oggi il turismo è la più grande industria mondiale in termini di numero di persone coinvolte o come fruitori o come servitori (settore dei servizi vuol dire servire, che serve é servitore). C’è almeno un turista o un servitore di turisti anche fra i cittadini del Burkina Faso.
Anche l’industria dell’auto o quella della chimica, e prima ancora quella siderurgica o quella del carbone erano un problema quando erano le prime industrie mondiali. Vogliamo parlare dell’industria tessile nel 1800, quando i Britannici trasformarono il Bangladesh in un grande campo di canapa impoverendo lo fino ad oggi? O dell’industria dello zucchero che diede vita allo schiavismo di età moderna e contemporanea?
Il turismo è un problema. E i suoi impatti non sono minori a quelli della motorizzazione di massa fra gli anni ‘50 e i ‘70 del secolo scorso. Ed è un settore molto più difficile da regolare proprio perché è un insieme di industria, servizi, mercato formale, informale, illegale (prostituzione minorile, droga, ecc.).
Ma la domanda vera, che rivolgo a chi legge, e che al 95% certamente si duole per lo tsunami turistico che ci travolge, é:
– ma se per miracolo, oggi stesso, riuscissimo a fermare questa onda, se riuscissimo a ridurla del 30, del 50, del 60%, alla gente che lavora nel turismo che resterebbe da fare?
Chiedo questo perché conosco i ragionamenti: il turismo stravolge le città; vero. Il turismo crea genteificazione e rimuove le classi sociali piu deboli dalle aree urbane più centrali e dai territori più attraenti; vero. Il turismo genera lavori sottopagati e a bassa specializzazione; vero. Il turismo produce enormi impatti ambientali, cancella identità, appartenenze, mercifica la cultura e i valori simbolici e spirituali. Tutto vero.
Ma che occupazione alternativa siamo in grado di offrire a milioni di persone?
Perché io già li vedo i miei amici pronti a rispondere: bisogna investire in ricerca! Vero. Bisogna investire in tecnologia e nel digitale! Altro che mortadelle! Vero. Bisogna fare più cultura e investire di più in educazione (termine orrendo per dire istruzione e trasmissione dei saperi)! Vero.
Ora mi chiedo: ma 40 e più anni fa, a Venezia, si parlava di trasformare l’Arsenale in un grande polo tecnologico e di ricerca. Venezia è stata governata da sindaci di tutti i tipi: ex rettori e ex ministri, professori e filosofi, bottegai, e l’Arsenale solo in piccolissima parte é diventato un polo tecnologico, mentre sempre di più alimenta il turismo culturale globale delle mega esposizioni.
In 50 anni la classe dirigente italiana, destra, sinistra, centro, capitalisti, banchieri, università, sindacati, si sono mangiati l’informatica, la chimica, la siderurgia, l’automobile, la moda, la cinematografia (nel ‘60 eravamo la seconda industria cinematografica del mondo). Adesso ci stiamo mangiando le produzioni vinicole e gastronomiche di pregio.
Allora, se siamo stati così bravi da distruggere la sesta economia del mondo (il grande traguardo craxiano degli anni ‘80, che creativamente computò senza vergogna i miliardi prodotti dall’economia sommersa per gonfiare il PIL nazionale), come faremo in tempi brevi a creare nuove industrie avanzate? Nuova occupazione degna e tecnologicamente innovativa?
Ai detrattori del turismo, perché lamentarsene fa chic e non impegna, ricordo che il lavoro sottopagato oggi domina l’agricoltura, l’industria, l’artigianato, il commercio. Ricordo che nei supermercati gli stipendi sono da fame; nella logistica peggio; nelle multi-utilities, a cui abbiamo regalato acqua, gas ed elettricità e rifiuti urbani, ogni anno si staccano dividendi milionari per azionisti e manager, ma molti dei lavoratori privi di competenze sono assunti da cooperative in regime di lavori interinale. Con stipendi da fame e orari da Inghilterra dickensiana.
Ecco. Allora. Va bene, parliamo di overtourism, ma cerchiamo di non fare i soliti discorsi inconcludenti tipici di chi appartiene alla classe agiata, culturalmente attrezzata, esteticamente sofisticata. Pensiamo a chi è in grado di fare solo il cameriere. E asteniamoci un po’ dall’essere turisti…
* Dipartimento di Scienze dell’Ambiente Università di Ferrara