lunedì 31 Marzo 2025

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

BOLOGNA / Nella baldoria del concerto “trapper” con le mie figlie adolescenti

di Sara Di Antonio
Bambini non lo sono più, ora che le loro pance sono effettivamente nude sotto la maglietta che fa fatica a proteggerli, picchiettati da una pioggia insistente che il cielo di Bologna, di Zola, o della nostra grigia Emilia ha deciso di impartire loro, come una piccola lezione. Sono tutti schiacciati tra le transenne, non riescono neanche a respirare o a guardare il cielo, che peraltro non ha nulla loro da mostrare, essendo prevalentemente grigio o nero.
Eppure, la loro felicità è palpabile, altrettanto intensa quanto l’ansia che pervade noi genitori, che ci troviamo dall’altra parte della cancellata. Diversamente da loro, siamo coperti da ombrelli di diversi colori, incappucciati, infreddoliti e probabilmente stanchi.
Alle nostre spalle c’è uno dei tanti luoghi mostruosi delle città, un centro commerciale dalle proporzioni gigantesche. E lì abbiamo trovato rifugio, mentre loro, elettrizzati dalla fila che li porterà a vedere il loro trapper preferito, continuano a sentirsi degli incompresi eroi.
Aspettano le strofe degli “occhi Bancomat”, la poetica sdrucita del grande cantante attorniato da canzoni, e sono tutti minorenni quelli disposti a trasformarsi, una volta entrati nell’arena, in un’accondiscendente corte reale.
Noi ci chiediamo come si può fare, e davvero non ci ricordiamo quello che facevamo -esattamente lo stesso- alla loro età. Ogni tanto ci scappa un consiglio, una raccomandazione, ma i loro sguardi taglienti ci giudicano probabilmente delle persone senza forza, quali probabilmente noi siamo.
Perché, davvero, siamo inermi di fronte a questa baldoria, che è la loro adolescenza, i loro ormoni impazziti, la loro difficoltà ad ascoltare. Le parole degli adulti ricadono nel vuoto, e sembrano alzarsi verso il cielo come il fumo delle patatine maleodoranti che proviene dallo stambugio di turno.
Eppure sogniamo, sogniamo un po’ anche noi, dopo essere entrati nell’Arena gigantesca, accesa da 15mila telefoni che restituiscono la potenza di una retorica che dalle periferie (da Cinisello Balsamo!) arriva a illuminare i grandi palasport.
Ci sentiamo persino parte del club, orecchiando di cose che ora non riusciamo neanche più a sfiorare: gli amori funestati, le continue alzate di spalle e le parolacce, le invidie degli altri – che in realtà non sentiamo davvero più. Come siamo lontani; anche se siamo stati una volta identici a questi ragazzi.
Alla fine del concerto, mi sento toccare il braccio: è già lei, la Sfinge soddisfatta e senza voce che per un attimo mi ricorda la bambina di ieri. Una pallida ragazzina che riemergeva dalle altalene di un parco giochi, che la facevano fuggire dal mondo, e anche da me, con la stessa soddisfazione.

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