Nelle vicende giudiziarie che hanno toccato il presidente della Liguria e il sindaco di Venezia si intravedono gli sviluppi sotterranei della corruzione. Mutato il baricentro degli equilibri negoziali, gli interessi collettivi si piegano a quelli privati.
di Alberto Vannucci *
L’interesse dell’opinione pubblica nei confronti del tema della corruzione segue tipicamente un andamento carsico: può restare “sommerso” per periodi più o meno lunghi, salvo emergere per via incidentale, in genere a seguito di inchieste giudiziarie che colpiscono figure politiche di rilievo.
Tra maggio e luglio 2024 due vicende che hanno interessato i vertici politico-amministrativi della regione Liguria e del comune di Venezia hanno fatto sì che il tema del persistere di sacche di “corruzione sistemica” entrasse di nuovo nell’agenda pubblica.
Pur con la cautela necessaria nell’esprimere valutazioni attingendo a procedimenti lontani da una definizione processuale, l’utilizzo delle informazioni disponibili permette di formulare alcune ipotesi sullo sviluppo sotterraneo dei fenomeni corruttivi in Italia. Diversi elementi analiticamente significativi accomunano infatti i due casi.
In primo luogo, nelle due vicende ha un ruolo centrale una tipologia di attori pubblici qualificabile come “politici d’affari”, a dimostrazione del loro persistente vantaggio in una competizione democratica dove possono essere reinvestite le risorse (monetarie, informative, relazionali) ricavate dagli scambi occulti. Si tratta di una figura già tratteggiata nel volume “Lo scambio occulto” del 1992, di Donatella della Porta e Alessandro Pizzorno. Il politico d’affari: “combina intermediazioni d’affari, leciti e illeciti e, in genere, partecipazione all’attività economica, con intermediazione politica in senso tradizionale”.
Sono figure “forti” nel confronto con altri soggetti nell’arena istituzionale in quanto dotati di spregiudicatezza, “competenze d’illegalità”, capacità di convertire il potere politico in potere d’acquisto, prendere decisioni arbitrarie, allacciare indiscriminatamente relazioni con ogni tipo di interlocutore politico, sociale, economico – al limite criminale. Si tratta invece di figure “deboli” quanto a capacità di avanzare programmi di lungo periodo, formulare e realizzare politiche pubbliche, generare appartenenze ideali e valoriali. In particolare, i nuovi “politici d’affari” sembrano più orientati alla proiezione affaristica che alla propria matrice politico-rappresentativa, anche perché privi di solidi legami con le organizzazioni partitiche in termini di selezione, reclutamento, carriera. Sembrano oggi prevalere legami laschi, con liste o “mini-partiti personali” aggregati intorno ai leader in occasione di consultazioni elettorali.
In entrambi i casi del 2024 emerge come il tipo di contropartita messa a disposizione dagli attori pubblici, nell’ipotesi accusatoria delle procure, non consista tanto in un ben identificabile “atto contrario ai doveri d’ufficio”, ossia in decisioni che comportano una violazione evidente dei vincoli (come leggi o regolamenti) all’esercizio di una funzione pubblica, configurata dall’art. 319 del codice penale.
Questa tesi è presentata in modo netto nella memoria difensiva del presidente ligure, da luglio 2024 dimissionario, che sottolinea di aver provveduto “nel rispetto della legge, a sollecitare analisi e risposte dai soggetti coinvolti nell’ambito e all’interno dei confini già tracciati dai percorsi amministrativi e autorizzativi in essere”, in un’attività “di sostegno e ascolto alle iniziative private” non dettata da “vicinanza politica o personale”, né dalla “presenza di una contribuzione (ancorché in tutto e per tutto legittima)”.
Analoghe giustificazioni sono state addotte dal sindaco di Venezia, che sottolinea come l’alienazione di un immobile pubblico – oggetto di attenzione della magistratura per il presunto “sconto” assicurato all’acquirente – avrebbe seguito “una procedura trasparente dal punto di vista amministrativo”. Nella ricostruzione dei magistrati, si tratta di processi decisionali in cui l’ipotizzata risorsa di scambio del patto corruttivo diventa più difficilmente individuabili – e quindi dimostrabile in sede di giudizio – poiché convertita su una pluralità di arene in un amalgama di legami e crediti informali, favori indiretti e differiti nel tempo, scelte assunte in conflitto di interesse.
Del resto, anche il “prezzo” della corruzione sarebbe stato spesso versato seguendo meccanismi di formale legittimità, dissimulato in finanziamenti messi a bilancio di iniziative e associazioni politiche, o in contributo a campagne elettorali: “sto aspettando anche una mano, eh? (…) ti devo venire a trovare che qua se no finiscono le elezioni (…)” – così in un’intercettazione il presidente della regione Liguria si rivolge all’imprenditore.
Queste modalità di interazione potrebbero rispecchiare un’evoluzione adattiva dei meccanismi corruttivi, volti a minimizzare – pur senza azzerarli – i rischi di coinvolgimento giudiziario e di sanzione dei protagonisti, frutto di processi di apprendimento e imitazione. A mutare negli ultimi decenni sono state le condizioni di contesto che dettano i rapporti di forza e il potere negoziale dei soggetti coinvolti. Si osserva infatti un rovesciamento dei rapporti di forza negoziale rispetto agli equilibri “partitocentrici” che emersero negli anni Novanta del secolo passato con le inchieste di “mani pulite”, dove a dettare le regole non scritte della “corruzione sistemica” erano i vertici di quei partiti.
Nelle due vicende analizzate i magistrati ipotizzano che dirigenti e manager imprenditoriali siano stati in grado di “programmare” di fatto e propiziare l’adozione di provvedimenti relativi a contratti pubblici e operazioni immobiliari, concessioni portuali, aperture di supermercati. Gli ingenti profitti avrebbero avuto come contropartita la redistribuzione di una minima percentuale sotto forma di retribuzione indiretta, in qualche caso quale “mancia elettorale” di poche migliaia di euro, rimborso di spese matrimoniali, pagamento di escursioni al casinò.
Da ultimo, nelle sue nuove manifestazioni di “corruzione legalizzata” il suo “costo” appare più difficilmente quantificabile e confinabile nella sua dimensione meramente monetaria o economica. In entrambi i casi analizzati le ricadute negative investirebbero piuttosto gli stessi processi di definizione degli interessi collettivi, di fatto piegati a interessi privati. Questo vale per la trattativa relativa alla vendita di terreni pesantemente inquinati, di cui si profila una “bonifica” solo parziale, con un potenziale danno alla salute pubblica; o la pianificazione della “privatizzazione” di una spiaggia pubblica per garantirne un utilizzo esclusivo ai proprietari di un condominio in costruzione, facendo così lievitare il valore degli immobili realizzati dal costruttore.
Questo il tono dell’intercettazione riportata nell’ordinanza: “Sto pranzando con la famiglia S., bisogna trovare una soluzione per la spiaggia di Punta dell’Olmo…. Razionalizziamo le libere che ci sono attrezzate, accorpiamo, spostiamo (…) Sì ma in realtà lì diventerà una concessione, intanto mettiamoci un piede dentro”.
* Alberto Vannucci insegna Scienza Politica nel Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa, dove dirige il Master in Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione, organizzato insieme a Libera e Avviso pubblico.