La nuova mafia si muove e si organizza facendo ricorso alle nuove tecnologie della comunicazione. Usa software estremamente sofisticati, criptati e difficili da penetrare. Nonostante accorgimenti di ultima generazione, la notte scorsa ha subito a Palermo un duro colpo con un’operazione che ha visto impegnati mille carabinieri, che ha portato all’arresto di ben 183 mafiosi. Cosa Nostra si stava ricompattando senza troppo clamore, con i capimafia in carcere e quelli ancora liberi che utilizzavano telefonini di ultima generazione con particolari software criptati per i summit fra i vari mandamenti.
L’operazione è stata coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia. In mattinata è prevista una conferenza stampa. Colpiti in particolare i mandamenti mafiosi di Tommaso Natale, Porta Nuova, Noce, Pagliarelli, Carini e Bagheria.
In una delle cinque indagini confluite nella maxi operazione antimafia di questa notte a Palermo, gli investigatori dei carabinieri del comando provinciale hanno scoperto il nuovo sistema con il quale i boss si riunivano per riorganizzare la nuova commissione provinciale, azzerata già una volta con gli arresti di dicembre 2018. I capimafia in carcere e quelli ancora liberi utilizzavano telefonini di ultima generazione con particolari software criptati per i summit fra mandamenti. Applicazioni di comunicazione con sistemi di crittografia avanzatissimi e difficilmente intercettabili.
Alcuni boss erano talmente sicuri di non poter essere intercettati da non prendere alcuna precauzione nelle riunioni online per decidere le strategie di riorganizzazione della commissione provinciale. A tal punto da svelare i nomi dei capi dei diversi mandamenti e i nuovi organigrammi. Non sospettavano che dall’altra parte i carabinieri del reparto operativo e del nucleo investigativo guidati dal colonello Ivan Boracchia e dal tenente colonnello Domenico La Padula stessero ascoltando ogni parola dopo essere riusciti a bucare la crittografia dei loro telefoni.
Gli arrestati di oggi sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, tentato omicidio, estorsioni (consumate o tentate) aggravate dal metodo mafioso, associazione finalizzata al traffico di droga, favoreggiamento personale, reati in materia di armi ma anche contro il patrimonio e la persona, esercizio abusivo del gioco d’azzardo.
Da canto suo Cosa nostra era riuscita ad avere una serie di informazioni riservate su indagini in corso. Il capomafia Antonino Gagliardo, tramite fra il mandamento di Bagheria e quello di Brancaccio, il 7 novembre 2023 informò un altro mafioso di aver appreso di tre imminenti operazioni di polizia (“tre zampate, tre camurrie”) previste per “fine anno”, circostanza per cui si era già provveduto a fare “sparire” alcune cose, mentre taluni affiliati di Brancaccio (“quelli più pesanti”) si erano già “buttati latitanti”.
Anche il 12 gennaio 2024 si è assistito all’ennesima rivelazione di informazioni riservate sugli arresti da compiere, come comunicato, a un capomafia messo al corrente di imminenti operazioni di polizia. “Giochi di fuoco dal ventuno al ventitré”, dicono i mafiosi intercettati. “Poi un’altra cosa dice che dal ventuno al ventitré c’è…ci sono i giochi di fuoco, però questa, ‘sta notizia arriva dal Villaggio di Santa Rosalia”, spiegano.
L’ultima rivelazione è del 4 settembre scorso quando Paolo Lo Iacono racconta al  suo interlocutore dell’imminente esecuzione di un imponente provvedimento cautelare (una “bomba”) che avrebbe riguardato sia lui che numerosi altri affiliati “Per adesso c’è una bomba che sta scoppiando! Può essere oggi, può essere domani, può essere dopodomani..si portano a tutti, hai capito? Per adesso ci sono cose molto più importanti, hai capito?… perché qua si discute di carcere! Andare a prendere vent’anni, capito?! (..) Chi siamo, chi sono? Boh. non lo sappiamo, capito? Già siamo tutti pronti, capito? Hanno duecentottanta fotografie”.
Erano pronti a darsi alla latitanza alcuni dei mafiosi arrestati oggi dai carabinieri. Il cognato del boss Nunzio Serio, ad esempio, dopo avere ritrovato le microspie sulla Smart della moglie e temendo di essere presto raggiunto da un provvedimento giudiziale, si è allontanato da Palermo per scappare al Nord. “Siamo tutti bombardati”, diceva.
Anche un altro capomafia, dopo essere sfuggito all’inseguimento di una pattuglia della Finanza, aveva programmato, con la propria famiglia, di rifugiarsi all’estero e di mettere al riparo il patrimonio, accumulato con i giochi online. “Me ne devo andare da qua – diceva – devo cambiare la residenza me ne vado, a me quello che mi potrebbe colpire sono la mia famiglia, ma se io ce li ho accanto posso essere sperduto in un pizzo di montagna, sono a posto. Io me ne vado..! L’Italia per noi è diventata scomoda, io me ne devo andare perché non intendo assolutamente perdere quello che ho creato fino ad oggi. Cominciate a farvi i passaporti”.
Una folla di famigliari di alcuni degli arrestati nell’operazione antimafia si è radunata davanti alla caserma ‘Giacinto Carini’ di piazza Verdi, sede del Comando provinciale dei carabinieri, dove sono stati condotti gli indagati. (In collaborazione con Agenzia Dire – www.dire.it)