Il tonfo di Credit Suisse (scusate, ma oggi voliamo alto fino a toccare le stelle del capitalismo-finanziario e un po’ mafiosetto) ha già bruciato 100 miliardi di franchi. Dov’è il falò? Nella piazza centrale di Zurigo? Vallo a sapere.
Le Borse tremano, secondo un cliché mediatico ormai super-collaudato. Del tipo l’esodo di Ferragosto uguale a tutti gli esodi di Ferragosto: basta ritirare fuori dall’archivio il pezzo scritto tanti anni fa, vale sempre, basta correggere la data di pubblicazione. Ora a ogni sussulto entra in azione la contraerea giornalistica che deve difendere, ricorrendo a frasi fatte e alterazioni linguistiche, lo status quo che alla fin fine è ciò che ha permesso la crisi per la quale molti si strappano le vesti. C’è la corsa a ritirare i soldi e gli azionisti, che riescono sempre a fiutare in tempo l’arrivo della tempesta, a disfarsi dei titoli sempre più vicini al bidone della spazzatura.
Si teme, dicono i commentatori di cose economiche, il contagio accompagnato, dico io, da lacrime di coccodrillo. A Napoli direbbero “chiagni e fotti”. Per soccorrere i poveri correntisti, gli azionisti e gli investitori ecco che scende in campo la Banca centrale svizzera che fa quadrato, con le altre banche centrali, per salvare un istituto che lamenta passività per 492miliardi di euro. Se non lo facesse crollerebbe il sistema, verrebbe scardinata l’inespugnabile cassaforte svizzera che oltre ai miliardi conserva tanti di quei segreti che verrebbe voglia di custodire i nostri quattro soldi sotto il materasso.
Mi chiedo: bisogna essere in apprensione per quel che avviene a Zurigo e, per contagio, nelle altre piazze finanziarie?
Mi rispondo: neanche un po’.
Che se la vedano loro, i grandi strateghi. Se negli anni non hanno mai arginato la corruzione e le scandalose complicità, abbracciando la filosofia del “pecunia non olet” – invece olet, oh se olet!- non possono adesso limitarsi a piangere o a rassicurare che il sistema è solido. Il sistema è solido, cari amici banchieri, perché c’è sempre una massa enorme di risparmiatori, lavoratori e borghesia produttiva da spremere.
Il salvataggio di una qualsiasi banca ha sempre un costo, enorme. Invece, gli abili uomini di finanza che stanno in alto, complici avidi politici di mezza tacca, riescono a dividere le riparazioni facendole scivolare giù per li rami. E in basso ci sono sempre loro, gli ultimi della catena. E i responsabili? Gli uscieri e gli impiegati dell’accettazione. A pagare saranno sempre le basi della piramide, come insegna dalle nostre parti il caso Mps.
A questo punto consiglio di leggere una perla del giornalismo investigativo SUISSE SECRETS che ha portato a galla gli scheletri che il colosso svizzero ha tentato di nascondere per 167 anni. In Italia è La Stampa di Torino il partner di Irpi. Meritano la citazione i tre giornalisti investigativi italiani Cecilia Anesi, Lorenzo Bagnoli e Gianluca Paolucci (“bravi”).
IL RAPPORTO COMPLETO SUISSE SECRETS
Mi affido ora all’introduzione del rapporto di IRPI Media del 22 febbraio 2022. Eccola:
*** Politici corrotti, impiegati pubblici che hanno sottratto milioni dalle casse pubbliche di Paesi in via di sviluppo, narcotrafficanti e trafficanti di uomini, l’Obolo del papa destinato alle opere pie accanto a medi e grandi evasori italiani e delinquenti, anche in odore di ‘ndrangheta. Sono alcuni degli oscuri personaggi che hanno posseduto conti correnti in Credit Suisse, la seconda banca della Svizzera. Da almeno vent’anni l’istituto bancario promette una stretta su criminali e corrotti, prende tempo e patteggia con amministrazioni giudiziarie di Europa e Stati Uniti per omessi controlli sui loro clienti.
Suisse Secrets è un progetto di giornalismo collaborativo guidato dal Süddeutsche Zeitung e Occrp a cui partecipano 48 media partner da tutto il mondo e 163 giornalisti. Nato da un leak, una segnalazione anonima, contenente i dati di 18mila conti correnti e 30mila correntisti, Suisse Secret scardina i segreti di casseforti nascoste per decenni tra le Alpi.
E rivela un aspetto inquietante: nonostante il segreto bancario sia formalmente archiviato, la «cultura della segretezza» e la legge bancaria svizzera difendono ancora i patrimoni di chi possiede un conto presso una banca svizzera.
Il lavoro di inchiesta di Suisse Secrets è durato oltre un anno. I giornalisti hanno analizzato migliaia di dati bancari e intervistato decine di banchieri, legislatori, procuratori, esperti e accademici. Per arrivare a raccontare ciò che i giornalisti svizzeri non possono, pena il carcere: anche per loro è reato violare il segreto bancario nel loro Paese.
«Ritengo le leggi sul segreto bancario svizzero immorali. Il pretesto di proteggere la privacy finanziaria è semplicemente una foglia di fico che nasconde il vergognoso ruolo delle banche svizzere quali collaboratrici degli evasori fiscali. Questa situazione facilita la corruzione e affama i Paesi in via di sviluppo che dovrebbero ricevere i proventi delle loro tasse. Sono i Paesi che più hanno sofferto del ruolo di Robin Hood invertito della Svizzera».
– Whistleblower Suisse Secrets ***