martedì 26 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

DIMENTICATE SGARBI

Prendiamo atto di una tendenza, scrive il direttore di professionereporter.eu, Andrea Garibaldi, riferendosi alla vicenda di Vittorio Sgarbi e al suo comportamento poco corretto nelle consulenze e partecipazioni ad eventi a pagamento. Primo passo: un giornale pubblica una notizia che lo prende di mira per come esponente di governo tenuto a rispettare, come tutti, le leggi. Secondo passo: l’esponente di governo e i giornali a lui vicini attaccano il giornalista, cercano nel suo passato, trovano denunce finite nel nulla, rivelano sue procedure professionali.

Terzo (fondamentale) passo: la sostanza del problema, vale a dire se l’esponente di governo abbia commesso o no un’irregolarità, finisce nel dimenticatoio. Detta in altri termini: si mette nel mirino chi scopre le notizie, in modo da far dimenticare le notizie stesse. Protagonisti: Vittorio Sgarbi, sottosegretario al ministero della Cultura e Thomas Mackinson, autore dell’inchiesta sul fatto quotidiano.it sui “cachet d’oro” percepiti da Sgarbi.

Mackinson ha pubblicato una serie di articoli sulle conferenze e presentazioni di mostre a pagamento (300mila euro in 9 mesi) che Sgarbi fa pur esercitando una funzione pubblica. Una legge del 2020 stabilisce che “i titolari di cariche di governo, nell’esercizio delle loro funzioni, si dedicano esclusivamente alla cura degli interessi pubblici e si astengono dal porre in essere atti e dal partecipare a deliberazioni collegiali in situazione di conflitto d’interessi”.

Ciò impedisce quindi di “esercitare attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica di governo, di qualunque natura, anche se gratuite, a favore di soggetti pubblici o privati”. Il giornale ha scritto anche che Vittorio Sgarbi risulta indagato dalla Procura di Roma per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Un’inchiesta partita dall’acquisto all’asta di un quadro del 1913 di Vittorio Zecchin “Il giardino delle fate” da parte della fidanzata Sabrina Colle.

Secondo i magistrati l’acquisto è stato fatto con l’obiettivo di impedire qualunque intervento da parte del Fisco visto che il critico d’arte risulta avere un debito con l’Agenzia delle Entrate per un totale di circa 715 mila euro.

Sgarbi ha accusato Mackinson e il Fatto di aver ordito ai suoi danni una “campagna di delegittimazione”, condotta perfino con minacce ai suoi collaboratori. “Non è giornalismo, è una campagna con altri fini”. L’ufficio stampa di Sgarbi, Nino Ippolito, ha rivelato un sms di Mackinson a un ex collaboratore di Sgarbi: “Se non vuole parlare con me io dovrò presto parlare di lei per quello che so. Per questo la invito a parlarmi… Spero di essere stato altrettanto chiaro… Io uscirò lunedì con la mia storia che la riguarda”.

I messaggi -ha scritto Il Fatto– sono però di altro tenore, se letti tutti: “Se non vorrà parlarmi non potrà lamentarsi ‘dopo’ che le cose scritte non siano veritiere o precise, perché la prova di aver svolto con diligenza il mio lavoro invitandola a farlo è in questi messaggi. Io le auguro il meglio, per lei la sua famiglia. E pure per Vittorio”.

Seguito da questo: “Come detto io uscirò lunedì con la mia storia che ti riguarda in parte per la storia delle multe e del reddito di cittadinanza. Spero tu voglia spiegarmi, prima di andare in stampa, anche perché non ho alcun motivo di arrecarti un danno o metterti in cattiva luce. Ho una ‘deadline’ a mezzogiorno di domani, dopo di che scriverò di averti contattato per chiarire, ma la risposta è stata un no comment”.

Poi l’ultimo: “Buongiorno, io assumo sempre le mie responsabilità. Le ho solo offerto per l’ennesima volta l’opportunità di confermare o smentire alcune notizie e dare la sua versione. Non confonda la minaccia con il preciso dovere deontologico del giornalista di informare accertando i fatti e raccogliere le versioni dei protagonisti, anche qualora divergessero da come sono conosciute e prospettate. Anzi soprattutto, direi io. Cordialità”.

Inoltre – ha scritto il Fatto – Sgarbi e i suoi collaboratori tirano fuori “una vicenda archiviata: una lite tra Mackinson e il suo ex-editore, risalente a molti anni fa e per la quale il giornalista non è mai stato indagato. Mackinson sul Fatto ha dato pubblicità alle provvidenze all’editoria percepite dall’ex editore (40 milioni di euro) che lo ha denunciato per “estorsione”, dato che la sua fonte era un ex collaboratore insoddisfatto.

Sui social Sgarbi ha poi dedicato a Mackinson un lungo video in cui accusa il giornale di scrivere falsità e definisce più volte “stalker” l’autore degli articoli. Tutte le argomentazioni del sottosegretario sono finite sulla prima pagina del Giornale. E’ intervenuta anche la Federazione della Stampa: “Additare il giornalista come nemico e delegittimarlo in pubblica piazza, benché virtuale, è esercizio pericoloso, sempre. Se a farlo è un esponente di governo ad essere messa a repentaglio è la tenuta stessa del sistema democratico”.

Infine: nel merito, l’Antitrust ha avviato, a seguito di una segnalazione trasmessa dal ministro della Cultura Sangiuliano, un’istruttoria nei confronti di Sgarbi ai sensi del Regolamento sul conflitto di interessi.

*** Una sintesi efficace e condivisibile quella di Andrea Garibaldi perché coglie la sostanza del rapporto tra media e politica. Quest’ultima, infatti, non ha mai interesse che i primi agiscano con professionalità e rigore, ne potrebbe risultare scalfita in certi casi l’immagine che i politici amano presentare all’opinione pubblica.

La tattica di deviare l’attenzione del lettore dai fatti e concentrarla su chi quei fatti li scrive e li pubblica è vecchia, da quando la stampa ha cominciato a incalzare i potenti e i governi e a chiedere conto di comportamenti poco commendevoli. Il gioco ormai è scoperto e ha perso credibilità.

Il ferrarese Sgarbi – una trottola tra cariche e  incarichi, mostre, libri, presentazioni, conferenze ed expertise – non è apparso affatto convincente nelle debolissime spiegazioni dei suoi comportamenti che è tenuto a fornire in quanto esponente del governo. Si chiama democrazia e non sultanato, monarchia assoluta, autocrazia. Come critico d’arte, va da sé, Sgarbi ha tutta la libertà del mondo: deve dare solo conto al Fisco degli emolumenti che riceve.

Denigrare un giornalista che ha agito con professionalità e il giornale su cui scrive per deviare l’attenzione e quindi assolversi è davvero troppo. La stampa di destra negli anni ha dimostrato di essere più che paladina della libera informazione un manganello da brandire e usare ogniqualvolta il potente di turno resta incagliato in vicende, come si diceva, poco commendevoli. Ma spesso i nodi vengono al pettine e ci sarà sempre qualcuno che griderà, attarverso un articolo o un’inchiesta, che “il re è nudo”. (PdA)

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