venerdì 25 Ottobre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

DISINFORMAZIONE / Il Brasile blocca X (ex Twitter), si muove anche l’Europa

I governi e i giudici cominciano a rendersi conto dei danni che la disinformazione social sta infliggendo alle democrazie. Nel mirino è finito ancora una volta X, l’ex Twitter, il social di messaggi di proprietà del tycoon di estrema destra Elon Musk. A muoversi è stato il Brasile di Lula dove il giudice della Corte Suprema brasiliana Alexandre de Moraes, ha ordinato la “sospensione immediata” della piattaforma social X nel Paese, dopo che era scaduto il termine imposto dal tribunale per la nomina di un rappresentante legale in Brasile. La decisione del giudice de Moraes è solo l’ultimo capitolo di una guerra contro gli attacchi alla democrazia e l’uso politico della disinformazione.

“Abbiamo il diritto di difendere i diritti fondamentali. Coloro che violano la democrazia, che violano i diritti umani fondamentali, sia di persona che attraverso i social media, devono essere ritenuti responsabili”, ha detto Moraes in un discorso di venerdì, senza menzionare X per nome o la sua decisione.

Moraes è salito alla ribalta nel 2019, due anni dopo la sua nomina alla Corte Suprema, quando ha iniziato a guidare un’indagine sulle “fake news” generate durante il governo dell’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro. L’indagine, ancora aperta, si è concentrata su quello che lo stesso Moraes ha descritto come un “gabinetto dell’odio” che operava dall’interno del palazzo presidenziale di Bolsonaro con l’obiettivo di attaccare gli oppositori e diffondere bugie e distorsioni.

Musk ha reagito accusando de Moraes di avere “scopi politici”: “La libertà di parola è il fondamento della democrazia e uno pseudo-giudice non eletto in Brasile la sta distruggendo per scopi politici”, ha affermato. “Il regime oppressivo in Brasile ha così tanta paura che la gente venga a conoscenza della verità che manderà in bancarotta chiunque ci provi”, ha aggiunto in un altro messaggio, per concludere che “stanno chiudendo la fonte di verità numero 1 in Brasile”.

Nella decisione, de Moraes ha ordinato la sospensione totale e immediata di X nel Paese fino a quando non saranno rispettati tutti gli ordini del tribunale, compreso il pagamento di multe per 18,5 milioni di reais (quasi 3 milioni di euro). Per evitare l’uso di reti private virtuali (VPN) per aggirare il blocco, Moraes ha detto che individui o aziende che avessero cercato di mantenere l’accesso al social network in questo modo avrebbero potuto essere multati fino a 50.000 reais al giorno (poco più di 8 mila euro).

De Moraes ha inoltre concesso ad Apple e Google cinque giorni di tempo per rimuovere l’app dall’Apple store e dal Google Play store e per rendere impossibile agli utenti Ios e android l’utilizzo dell’app X. Termine massimo di cinque giorni anche ai fornitori di servizi internet, come Claro, Vivo e Net, affinché “inseriscano ostacoli tecnologici in grado di rendere impraticabile l’uso dell’applicazione “X”, ha scritto il giudice.

All’inizio dell’anno, Moraes aveva ordinato a X di bloccare alcuni account coinvolti in indagini sulle cosiddette milizie digitali, legate all’ex presidente Jair Bolsonaro, accusate di diffondere notizie false e odio. Musk, denunciando l’ordine come un atto di censura, aveva risposto chiudendo gli uffici della piattaforma in Brasile e licenziando tutto il personale. X è rimasto comunque disponibile in Brasile. Musk ha sempre avuto ottimi rapporti con l’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro che, nell’ambito di questa vicenda, lo aveva chiamato: “un mito della libertà”.

Il sostegno di Musk a Bolsonaro fa il paio con lo stesso  sostegno che il padrone di X (oltre che di Tesla, StarLink, SpaceX e molto altro ancora) ha dato a Donald Trump nella campagna elettorale in corso negli Stati Uniti. Vicende parallele, anche nello svolgersi delle fasi violente ed eversive dopo le rispettive sconfitte elettorali. L’assalto a Capitol Hill a Washington dopo la vittoria di Joe Biden e l’attacco violento alle sedi del potere politico nella capitale Brasilia, subito dopo l’annuncio della vittoria di Lula.

Elon Musk «deve accettare le regole del Brasile e rispettare la decisione della Corte Suprema. Chi investe in questo Paese ne deve rispettare le regole. Se vale per me, vale anche per lui». Così il presidente del Brasile, Luiz Inacio da Lula da Silva, in un’intervista radiofonica, «Non è perché il ragazzo ha un sacco di soldi che può essere irrispettoso», ha aggiunto Lula. «È un cittadino americano, non un cittadino del mondo. Non può andare in giro a offendere presidenti, deputati, il Senato, la Camera dei Rappresentanti e la Corte Suprema. Chi crede di essere?», ha detto il capo di Stato brasiliano, insistendo che il miliardario deve rispettare la decisione della giustizia. «Se vuole, bene, se non vuole, pazienza», ha concluso.

 

Si muove anche la Commissione Europea. La Commissione, infatti, ha informato la proprietà del fu Twitter, oggi X,  che ha rilevato violazioni del Digital Service Act. Le violazioni sono state riscontrate in aree legate ai dark pattern, che sono interfacce studiate per indurre gli utenti a compiere azioni indesiderate, alla trasparenza della pubblicità e all’accesso ai dati da parte dei ricercatori.

  • X progetta e gestisce la sua interfaccia per gli account ‘verificati’ con la spunta blu in un modo che “non corrisponde alla pratica del settore” e “inganna gli utenti”. Dato che “chiunque può iscriversi” per ottenere lo status di “verificato”, questo influisce “negativamente” sulla capacità degli utenti di prendere decisioni “libere e informate” sull’autenticità degli account e sui contenuti con cui interagiscono. Ci sono prove, osserva l’esecutivo Ue, di malintenzionati ​​che abusano dell'”account verificato” per ingannare gli utenti.
  • Inoltre, secondo la Commissione, X non rispetta la trasparenza richiesta sulla pubblicità. Il social network non fornisce un archivio pubblicitario “consultabile e affidabile”: al contrario, ha caratteristiche di progettazione e barriere di accesso che rendono l’archivio “inadatto” allo scopo, la trasparenza nei confronti degli utenti. In particolare, la progettazione “non consente la necessaria supervisione e ricerca sui rischi emergenti derivanti dalla distribuzione della pubblicità online”.
  • In terzo luogo, X non fornisce ai ricercatori l’accesso ai propri dati pubblici in linea con le condizioni stabilite nel Dsa. In particolare, X vieta ai ricercatori idonei di accedere in modo indipendente ai dati pubblici, ad esempio tramite scraping. Lo screen (o web) scraping (da “to scrape”, grattare, raschiare) è una forma di data mining – estrazione di dati – consistente nell’utilizzo di un software per estrapolare in maniera automatizzata dati da determinati siti web e nella loro pubblicazione, eventualmente in forma rielaborata, su un altro sito. Il software, programmato per accedere ai dati pubblicati online in maniera sistematica e automatizzata, simula la navigazione di un utente, filtra i dati e li archivia in un database. È una tecnica simile a quella utilizzata dai motori di ricerca che, tramite i cosiddetti crawler o spider, reperiscono automaticamente informazioni già pubblicate su altri siti e forniscono servizi (in questo caso, risultati di ricerca) ai propri utenti.Lo screen scraping è utilizzato in particolare dai cosiddetti aggregatori per offrire agli utenti la possibilità di confrontare informazioni presenti su siti web differenti. Si pensi a quelle piattaforme che forniscono una lista di hotel e voli aerei, comparando i relativi prezzi proposti nei diversi siti web, al fine di permettere all’utente di scegliere il prezzo migliore.
  • Inoltre, il processo che X prevede per garantire ai ricercatori ammissibili l’accesso alla sua interfaccia di programmazione sembra dissuadere i ricercatori dal portare avanti progetti di ricerca o non lasciare loro altra scelta, se non quella di pagare tariffe “sproporzionatamente elevate”

X ha ora la possibilità di esercitare i propri diritti di difesa, esaminando i documenti contenuti nel fascicolo dell’indagine della Commissione e rispondendo per iscritto alle risultanze preliminari. Parallelamente verrà consultato il Comitato europeo per i servizi digitali. Se le opinioni preliminari della Commissione dovessero essere confermate, la Commissione adotterà una decisione di non conformità, constatando la violazione del Dsa da parte di X.

La decisione potrebbe comportare sanzioni per un importo fino al 6% del fatturato annuo mondiale totale di X con l’ordine di adottare rimedi. Secondo fonti di stampa, i ricavi da pubblicità di X, che non è più quotata in Borsa, nel 2023 si sono aggirati intorno ai 2,5 miliardi di dollari; la sanzione potrebbe dunque arrivare, in teoria, a circa 150 mln di dollari.

Una decisione di non conformità può anche innescare un periodo di supervisione rafforzato per garantire il rispetto delle misure che il fornitore intende adottare per porre rimedio alla violazione. La Commissione può anche imporre penalità periodiche per obbligare una piattaforma a conformarsi.

“Il Dsa è disinformazione”. Così il patron di X Elon Musk replica sulla stessa piattaforma al post con cui la vicepresidente esecutiva della Commissione europea responsabile della politica della concorrenza, Margrethe Vestager ha annunciato le conclusioni preliminari ai sensi del Digital Services Act secondo cui X non sarebbe conforme al regolamento “in aree chiave di trasparenza, utilizzando dark pattern e quindi fuorviando gli utenti, non fornendo un repository di annunci adeguato e bloccando l’accesso ai dati per i ricercatori”.

“La Commissione europea ha offerto a X un accordo segreto illegale: se censurassimo silenziosamente i messaggi” degli utenti “senza dirlo a nessuno, non ci multerebbero. Le altre piattaforme hanno accettato l’accordo. X no”, accusa ancora Musk che si rivolge direttamente alla vicepresidente della Commissione europea, Margrethe Vestager.

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