di Sara Di Antonio
Qualcuno si sposa. Abbiamo passato anni a interrogare il nostro futuro, decenni fa -ti ricordi, vero?- a guardare le stelle, sperando le cose che sperano tutti: l’università, viaggiare, fare l’amore. E adesso siamo in un negozio speciale in un giorno normale, a Roma, a misurare infiniti capi che devono valorizzare e accarezzare il tuo corpo.
Fuori, la città vorace di sempre, caotica, gigantesca, perfino affettuosa rispetto alla mia piccola Reggio Emilia. Qualcuno mi chiama signorina nonostante i cinquant’anni, altri mi fanno passare mentre scrutano veloci il mio corpo (può andare? Me lo chiedo anch’io).
Sono felice di essere qui con te, oggi.
Nel torpore del mattino, siamo attorniate dal pizzo, il tulle, e tutti quei tessuti dai nomi francesi con cui giocavamo quando avevamo le bambole, poiché allora non esistevano ancora i telefonini ad avvelenare l’infanzia.
Poi ci guardiamo, e ridiamo, perché sembra davvero strano ritrovarsi, il quindici di giugno, in una boutique del centro di Roma, a misurare abiti lunghissimi, e sposto le mie insulse Birkenstock grigie per non calpestarli, e per guardarti meglio.
Ricordiamo i maritozzi – quelli abruzzesi, mica quelli romani! – divorati voracemente da bambine, gli schiamazzi, le risa per motivi inutili, le figure da sciocche, in cui gli altri ridevano di noi, e noi del mondo. Per un minuto, la leggerezza di quegli anni si riverbera sul pizzo esposto in vetrina, il suo profumo mi ricorda quello della panna bianca sulle nostre labbra golose, ignare dei dolori della vita.
Poi, in meno di un baleno, infili l’abito che fa per te, quello che ti renderà sposa, il tuo. La voce squillante dell’amica lontana – ma sempre vicina – pronuncia una battuta che ci fa sorridere, elimina con un colpo di spugna l’inutile sacralità del momento, coprendo le tue parole concitate e fin qui nervose.
Attraverso le vie di Roma più serena, trascino i miei sandali impolverati nella città rumorosa del Gay Pride, io invisibile tra i molti. Dietro di me, silenziose, camminano serene le bambine che eravamo un tempo, le ragazze che fummo e che ancora riescono a stupirsi della vita.
Auguri, amica.