di Piero Di Antonio
— Tra le antiche strade lastricate di pietre a Ferrara pensando all’Europa sotto attacco. Cosa volete che interessino ai passanti infreddoliti e frettolosi le parole di un vicepresidente americano a Monaco? Se le avessero lette o ascoltate in tv esclamerebbero “roba politica”. Lo direbbero con l’espressione leggermente schifata come fanno quasi tutti ogniqualvolta la si pronunci. Dire però “io quest’acqua non la bevo” non vale. Per meglio dire, non è più giustificabile. Di questi tempi le tante parole uscite dalla bocca di Vance alla Conferenza in Germania dobbiamo berle tutte, goccia dopo goccia.
In sostanza, dall’America è arrivato un messaggio che non ammette discussioni, perentorio: i termini del nuovo “contratto” post Yalta sono cambiati, l’Europa dovrà fare da sola. Armarsi fino ai denti, cosa che agli americani piace da secoli, fare la faccia minacciosa con chiunque si avvicini ai confini, mettere sull’altolà chi s’azzarda a manifestare pareri e comportamenti contrari ai suoi interessi. A spese ovviamente dello Stato Sociale.
Il vice di Trump ha visitato il campo di sterminio di Dachau, salvo poi offrire il lasciapassare suo e di Washington ai filonazisti di Afd, l’Alleanza per la Germania che vuole conquistare il potere e che per ora non ce l’ha fatta. Nessuno dei tanti presenti a Monaco, ascoltando le sue chiare e ben affilate parole, che si sia alzato per abbandonare la sala. Nessuno che abbia alzato la mano per chiedere la parola e replicare alle non poche sciocchezze che volavano fino ai soffitti. I progressisti veri, mai come oggi, hanno bisogno di qualcuno che in simili frangenti alzi la mano e dica che “il re è nudo”.
Nel discorso di Vance c’è stato un passaggio in apparenza secondario rispetto alla pesantezza dei concetti geopolitici espressi. Merita di essere esposto per evidenziare, soprattutto, l’esattezza di un concetto della politica: il potere mente sempre. Vance, per rafforzare il suo populismo, ha più volte premesso di aver incontrato a Monaco tante persone desiderose del cambiamento. Ma ve lo immaginate un vicepresidente in giro per la città, con tanto di scorta dei servizi segreti, a parlare con la signora Brunilde o il signor Klaus… a scambiare pareri sul futuro dell’Europa? tuttalpiù avrà stretto la mano a qualche fan o cittadino americano di stanza in Germania. E’ il protocollo, bellezza…
E’ proprio in questa liturgia delle visite di Stato – potenti con i potenti, potenti con gli ammiratori – che si può estrarre il significato edulcorato delle parole e dei concetti. Per capire l’Europa, per afferrare il senso moderno e innovativo della sua costruzione, il signor Vance avrebbe dovuto fare altro: andare in giro da solo o con la moglie per le città e le contrade del nostro continente, alzare lo sguardo e carpire la portata di quel sogno che tanto disturba i sovranisti.
Non avrebbe dovuto, come ha fatto nel suo libro Elegia americana, limitarsi alla sua condizione giovanile in un ambiente famigliare difficile, poi da marine e infine da laureato a Yale. Avrebbe dovuto girare lo sguardo al mondo prima di immortalare la sua appartenenza all’Ohio. Avrebbe compreso anche ciò che stava intorno ai Monti Appalachi.
Un viaggio difficile da compiere soprattutto se ci si limita a lamentarsi della Rust belt, la cintura della ruggine prodotta dalla crisi industriale, dagli alti tassi di disoccupazione e da un abbandono scolastico alle stelle, che hanno prodotto il nuovo proletariato bianco. I bifolchi o hillbilly di un Paese rurale, che gli americani stessi definivano “grezzo e spreghevole” e che alle elezioni hanno abbracciato Trump.(Nella foto redneck – collo rosso – sinonimo in America di contadino)
La medicina contro questo declino che ha scoperchiato il vaso delle rivendicazioni e dell’aggressività contro “il mondo maledetto che si è approfittato dagli Stati Uniti” è semplice: la condivisione della conoscenza, non i pregiudizi. In altre parole, la cultura dell’ascolto che presuppone un animo predisposto alla comprensione dei fenomeni di cui finiamo spesso per considerarci vittime.
Il chiudersi attorno alle fabbriche dismesse e arrugginite dell’America silenziosa ha dato voce a quella classe operaia che un tempo riempiva le chiese, coltivava le terre e faceva funzionare le industrie. E magari voltava lo sguardo per non incrociare le quotidiane e crudeli ingiustizie nei confronti dei deboli, dei nativi, dei neri. Quel mondo non c’è più, al suo posto, appunto, solo ruggine e rabbia, con il conseguente e disperato affidarsi a un certo fanatismo religioso, oggi preminente in Trump e nel suo circolo della fede, e nello stesso Vance, visto che più volte lo ha manifestato nel suo discorso a Monaco.
L’invito che a questo punto si può rivolgere alle persone perbene attraverso la nostra personale elegia è dedicare qualche minuto alla lettura delle fantasiose esternazioni di certi telepredicatori evangelici con milioni di seguaci a bocca aperta e a battere le mani. Si sono accampati perfino alla Casa Bianca, vicino all’uomo che dice di essere in missione per conto di Dio. Non un Belushi qualsiasi, ma addirittura il capo di una potenza economica, armata fino ai denti.
Quel modello è esploso, non poteva essere altrimenti. Ma se l’America è il Paese delle opportunità, come insegna una certa retorica, non doveva solo difendersi, ma rimboccarsi le maniche e passare laicamente al contrattacco, anzichè affidarsi a coloro che ora chiedono al mondo, attraverso le barriere dei dazi, di salvarla. In altre parole, doveva e deve affidarsi alla cultura, alla conoscenza, non alla reazione d’impeto, brutale ma più facile da cavalcare.
La nuova deriva politica di quel Paese, si converrà, è lontana mille e più miglia dall’America dello Sherman Act, la legge antitrust di 135 anni fa, la prima azione per limitare i monopoli e i cartelli. Oggi monopoli, cartelli e oligarchi dettano regole attraverso il dominio e la padronanza della tecnologia. Vance è uno degli ambasciatori di quel mondo involuto, culturalmente mediocre e sfacciatamento ricco, che va a braccetto con il più ricco di tutti, Elon Musk, e con lo stesso Trump che, guarda caso, li ha voluti alla Casa Bianca.
La rivoluzione che l’ha travolta ha un nome: globalizzazione. Fenomeno che ha una caratteristica e che nessuno ha raccontato nei giusti termini: vale sia in entrata, sia in uscita. Aggredire i mercati con merci e uomini che le producono e le consumano, ed essere a sua volta aggredita. Il “guardiano del mondo” si è trovato a dover affrontare un problema enorme: cercava delle braccia ma ha visto arrivare persone e prodotti più a buon mercato per un popolo educato solo a comprare e consumare.
Oggi il mantra sovranista, strumentale, anche in casa nostra, è racchiuso nel dare pieno ascolto al popolo. Concetto più volte evocato dal vice del presidente-sceriffo d’America. Anche qui si finisce nel sotterrare la storia, quella che nell’Elegia americana, il signor J.D. Vance non vede. Eppure tutto era a pochi passi dal suo Ohio. Era soltanto il popolo americano, forse, a volere la schiavitù o il razzismo, la segregazione razziale, i linciaggi dei neri (e degli “sporchi italiani” a New Orleans), la Grande Depressione del ’29, la caccia alle streghe di McCarthy, le bombe al napalm e invasioni varie in giro per il mondo? Oppure erano le minoranze violente e senza scrupoli a non impedirle? Non sempre la volontà del popolo è la volontà di Dio. Non sempre ubbidirgli equivale a essere giusti.
Ma come, vedi miseria e violenza nel tuo quartiere, la tua biografia ti pesa, ti indigni ma non ti accorgi della Elegia indiana, della Elegia schiavista, della Elegia nera, di quella maccartista e delle tante altre, a cominciare dalla Elegia della grande speculazione finanziaria, che hanno avvolto il Paese e il tuo villaggio? C’è stata, a dire il vero, un’elegia mirabilmente raccontata, quella di John Steinbeck in Furore. Gli diedero il Pulitzer, ma anche del comunista.
Spesso dare ascolto al popolo – quando è ben orientato dal potere economico, dall’informazione, dai monopoli e dalle oligarchie – può portare a degenerazioni fatali per la civiltà. Sta arrivando il colpo di scure all’unico grande sogno politico che si stia tentando di costruire tra mille inciampi: l’Europa. Come difendersi e contrattaccare? Per prima cosa non prestando ascolto ai cantori ben remunerati che, alle nostre latitudini, pontificano dall’alto dei loro scranni editoriali per convincerci di com’è bella e generosa l’America. Poi rendersi conto che è venuto il tempo di raccontare un’altra elegia, non fuori bersaglio come quella che ci è stata propinata finora: è l’Elegia europea. Da raccontare bene.