di Piero Di Antonio
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca, stavolta con tutta la ferocia che si accompagna a un ossessivo desiderio di rivincita covato per quattro anni, è un fatto positivo. Non equivocate. Non per quel che di riprovevole il neo presidente dice e sta cominciando a fare, ma per come potrà aiutare noi europei a uscire dallo stato di debolezza e di frustrazione che quella riunione di miliardari ed estremisti a Washington ha instillato nel nostro essere europei.
La prima impressione a caldo è che Trump si conferma un miles gloriosus, uno sbruffone forte dei miliardi e del potere che gli ha conferito alle elezioni la gran parte degli Stati americani. Tra la parole e i decreti che si è affrettato a firmare – vuole convincere tutti che non sta scherzando e che andrà dritto al bersaglio – ci corre però un oceano. Trump parte da un convincimento: che con la sua forza presidenziale può disporre del mondo a suo piacimento e che il mondo stesso, oltre agli Stati della Federazione, si piegherà ai suoi voleri.
E’ il classico comportamento di chi la fa sempre breve e semplice, di chi per andare da A a B tira diritto perché convinto di arrivare con facilità a destinazione. Ma per arrivare a B, molto spesso, bisogna fare percorsi più lunghi, pieni di curve e soprattutto affollati di altre entità con cui qualsiasi Stato deve prima o poi fare i conti. Non si è soli in questo mondo. Molti, sopratttutto autocrati e uomini soli al comando, tendono a dimenticarlo.
Le presidenziali della vendetta di Trump si stanno riflettendo in ogni dove, perfino nelle nostre città. All’elegia americana, che sarebbe poi la base sociologica e piscologica della cavalcata del “designato da Dio” verso la Casa Bianca, si potrebbe contrapporrre un’altra elegia: la nostra.
Ciò che sta avvenendo a Washington o nell’America profonda, e nella cosiddetta Cintura della ruggine, dove la crisi ha smantellato ampia parte dell’industria pesante, riguarda anche noi italiani, anche chi vive nella prosperosa Emilia, contesto socio-economico che deve fare i conti con la crisi industriale e con l’impatto sulle comunità locali.
La ruggine è un’espressione che non indica soltanto la regione tra i monti Appalachi settentrionali e i Grandi Laghi, un tempo cuore dell’industria pesante statunitense e oggi afflitta da fenomeni come il declino economico, lo spopolamento e il decadimento urbano, ma può riguardare molte regioni italiane, perfino la nostra arrugginita Ferrara, che vivono un periodo grigio dovuto allo smantellamento di aziende manifatturiere o alla rivoluzione tecnologica sempre incalzante che impone di orientarsi verso servizi e industrie ad alta tecnologia se non si vuole che aumentino povertà e calo demografico.
In verità, passeggiando per le antiche vie di Ferrara, l’era Trump sembra meno pericolosa di come viene dipinta. Influisce di sicuro la natura di noi italiani, avvezzi a guardare alla storia e da sempre maestri del contropiede, delle ripartenze per usare metafore calcistiche. Le parole minacciose di Trump in città perdono forza. Ne sono esempi alcuni discorsi captati al volo, dove l’avvento del Trump-bis ha preso il posto della Spal o della Juve che non ingrana.
Un professore universitario frena la bici e chiede a un gruppo di distinti signori, suoi amici: “Avete sentito quello sbruffone?”. E la parola “sbruffone”, di colpo, ridimensiona l’alea del comandante in capo di una nazione che ama pensarsi come la più potente al mondo.
“Ma dove va? Tutti quelli che pensano di governare nel nome di Dio fanno una fine miserevole – gli risponde, sorridente e malizioso, uno del crocchio – lo ricordate il rosario di Salvini? non lo ha di certo aiutato. Meglio evitare questi accostamenti”.
“E l’uscita dall’Organizzazione mandiale della Sanità? vi sembra poca cosa?” incalza qualcuno. “Vuol dire che ci cureremo con l’aspirina e cocktail di vitamine” sorride chi la sa lunga.
Ma si arriva inevitabilmente alle tasche di noi europei e italiani minacciati dai dazi. Stamani i giornali scrivono che Trump vuole imporre dazi del 10 per cento su tutte le merci che arrivano negli Stati Uniti dalla Cina, facendo prima riferimento a un 25 per cento sulle importazioni da Canada e Messico, e poi soffermandosi, senza fornire dettagli, sui prodotti che provengono dll’Unione Europea. Ritiene necessaria un’equità commerciale: «Ci trattano molto, molto male – ha detto il numeno uno in versione pecorella – quindi dovranno pagare dei dazi».
E qui la curva Nord del tifo italiano si agita dopo aver incassato il gol pesante messo a segno da Trump. “E se mettessimo noi i dazi sulle importazioni americane?” azzarda qualcuno del gruppo, e via l’elenco di aziende made in Usa che se la passerebbero male se tutti impugnassero l’rma del boicottaggio. “Io boicotterei McDonalds, perdippiù si mangia male” consiglia qualcun altro guardando proprio l’insegna che gli sta sopra. Ma come, lo scatenato tycoon dimentica il terzo principio della dinamica che può benissimo essere esteso alla geopolitica: ve lo ricordate? a ogni azione corrisponde una reazione uguiale e contraria. Lo sappiamo da Newton dal 1787 e lo sanno anche coloro che hanno pianificato la nuova e feroce politica americana attraverso algoritmi immessi nell’Intelligenza Artificiale.
E’ facile prevedere che a dazi americani corrisponderanno reazioni uguali e contrarie da parte dell’Europa, almeno si spera, a cominciare dal cancellare i privilegi fiscali ai colossi tech e del commercio Made in Usa. Quei miliardari in prima fila a Capitol Hill che hanno applaudito il nuovo corso impiegherebbero un battito di ciglia a cambiare cavallo, a saltare su un altro carro e Trump si trasformerebbe nel marziano a Roma di Flaiano. Il business prima di tutto, dopo si potrà discutere di ideologie e “chiamate di Dio”.
Il discorso nella piazza di Ferrara sembra simile ai tanti discorsi che in queste ore si stanno facendo nelle altre piazze italiane, nei bar e nei luoghi di lavoro. Qualcuno affascinato dal decisionismo trumpiano azzarda a dire che “la pacchia è finita”.
“Ma quale pacchia? – si inalbera l’uomo con il sigaro che se ne stava zitto a osservare che piega avrebbe preso la discussione sui massimi sistemi calati nella provincia emiliana – L’America ha sempre fatto il buono e cattivo tempo in Italia. Apriva e chiudeva aziende a suo piacimento, bastava un fax o una mail per mettere sul lastrico centinaia di lavoratori”.
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